Con le pressioni inflazionistiche globali torna d’attualità l’ipotesi di una valuta unica per i Paesi della regione del Sud-Est asiatico. Ma restano degli ostacoli
Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti
Una moneta comune per l’area ASEAN. Tra i primi a lanciare la proposta fu l’ex Premier della Malesia, Mahathir Mohamad, dopo la crisi finanziaria asiatica. Proposta reiterata nel 2019, quando parlò di una valuta commerciale comune agganciata all’oro, “non da utilizzare a livello locale ma per regolare gli scambi”. L’ipotesi è tornata di attualità in queste settimane caratterizzate da turbolenze economiche globali e pressioni inflazionistiche. A rilanciarla è stato in particolare Vijay Eswaran, uomo d’affari malese e Presidente Esecutivo della multinazionale QI Group, con sede a Hong Kong ma operativa in circa 30 Paesi. “Perché la spinta per una moneta comune nell’ASEAN? Basta guardare all’Europa, dove l’euro è il miglior esempio di moneta comune. Nei 20 anni trascorsi dalla sua introduzione, l’euro ha contribuito alla stabilità, alla competitività e alla prosperità delle economie europee. La moneta unica ha contribuito a mantenere i prezzi stabili e ha protetto le economie dell’area dell’euro dalla volatilità dei tassi di cambio”, sostiene Eswaran in un commento pubblicato nei giorni scorsi sul Jakarta Post. Molte economie di mercato emergenti asiatiche detengono ingenti attività di riserva denominate in dollari USA come strumento di autoassicurazione contro la potenziale instabilità finanziaria. Secondo l’uomo d’affari, “con questa dipendenza dal dollaro, i Paesi asiatici sono altamente esposti agli shock derivanti da cambiamenti nella politica economica e nelle condizioni relative agli Stati Uniti”. Una moneta comune, prosegue Eswaran, “potrebbe aiutare a eliminare l’incertezza dei tassi di cambio, a difendersi dagli attacchi speculativi e ad aumentare il potere contrattuale dell’ASEAN”, coi tassi di interesse a lungo termine che “potrebbero diminuire e diventare meno volatili” e i flussi commerciali intraregionali facilitati. I benefici potrebbero esserci anche per i singoli individui, con maggiore accessibilità per i servizi come l’assistenza sanitaria, l’istruzione e il turismo. “Manodopera e talenti potrebbero essere scambiati più facilmente, portando a maggiori opportunità di lavoro e a una maggiore integrazione economica tra i Paesi ASEAN”, conclude Eswaran. Il maggiore ostacolo a sviluppi concreti in materia resta però la grande diversità di sviluppo economico tra i Paesi membri. Basti pensare che Singapore ha un reddito pro capite 60 volte superiore a quello del Myanmar.