Messa in secondo piano (almeno per ora) l’idea del canale, si pensa alla costruzione di un collegamento via terra per aggirare lo Stretto di Malacca. Ecco perché.
Da secoli la Thailandia sogna un passaggio attraverso l’istmo di Kra, il quale divide la penisola malese separando il mare delle Andamane dal Golfo di Thailandia.
L’istmo, nella sua parte più stretta, ha un’estensione di soli 44 chilometri e la costruzione di una rotta da est a ovest attraverso l’istmo ridurrebbe di circa 1.200 km la distanza che le navi mercantili devono percorrere per trasportare merci dall’Asia orientale fino al Medio Oriente e all’Europa. Al momento, l’unica possibilità è quella di navigare a sud fino allo stretto di Malacca, il più trafficato del mondo, allungando il tragitto di due giorni. Ogni anno, infatti, più di 94 mila navi passano per questo stretto, e si stima che circa un quarto delle merci scambiate a livello mondiale lo attraversino, compreso l’80% delle importazioni di petrolio e gas di Cina, Giappone e Corea del Sud.
L’idea di scavare un canale attraverso la penisola malese è stata riproposta diverse volte nel corso dei secoli. Nel 1677, il Re siamese Narai chiese alla Francia di condurre un’indagine per un canale e Ferdinand de Lesseps, il diplomatico francese famoso per aver realizzato il Canale di Suez, visitò personalmente l’istmo di Kra nel 1882. Più recentemente, il primo ministro Thaksin Shinawatra aveva ripreso in mano questo progetto, andato nuovamente in fumo dopo il colpo di stato del 2006. Non sono poi mancate pressioni dalla Cina per portare avanti il progetto e incorporarlo nella Belt and Road Initiative, visto l’interesse di Pechino nel risolvere il cosiddetto “Dilemma di Malacca” e rafforzare la propria posizione all’interno della regione. Infatti, sebbene il governo cinese si sia astenuto dal dichiararlo ufficialmente, Cina e Thailandia avrebbero firmato un Memorandum of Understanding (MoU) sul progetto del canale a Guangzhou nel 2015.
Tuttavia, nonostante ripetute proposte e diversi studi sulla fattibilità del canale, l’idea sembrerebbe abbandonata, considerato – prima di tutto – il costo proibitivo (stimato in circa 30 miliardi di dollari) e le difficoltà tecniche nel collegare i due mari che differiscono di diversi metri in elevazione. Sono poi emerse alcune preoccupazioni sulle possibili ripercussioni sull’ambiente e sulla stabilità regionale. Non è infatti da sottovalutare che un progetto infrastrutturale di tali dimensioni comporti seri sconvolgimenti agli ecosistemi locali, e non sono ancora certe le conseguenze che lo scavo dell’istmo potrebbe produrre nelle dinamiche indo-pacifiche a seguito dell’apertura del nuovo collegamento. Infine, la parte meridionale del paese (a sud del canale proposto) ha visto crescere negli ultimi anni una forte tensione tra buddisti e musulmani e si teme che la costruzione del Canale di Kra possa mettere ulteriormente a repentaglio la coesione nazionale, creando una divisione, anche fisica, all’interno del paese.
Prendendo atto di queste problematiche ma pur non rinunciando all’idea di un passaggio tra il Golfo di Thailandia e il mare delle Andamane, il governo ha deciso di cambiare strategia e quello che un tempo era il sogno di un canale si sta trasformando nel progetto di un ponte terrestre. La nuova proposta, che appare tecnicamente ed economicamente più fattibile della precedente, comprenderebbe la costruzione di un porto di acque profonde nella provincia di Chumphon, sul Golfo di Thailandia, e l’ampliamento del già esistente porto di Ranong, sul Mare delle Andamane. I due porti sarebbero poi collegati da una ferrovia a doppio binario e da un’autostrada. Secondo un rapporto pubblicato a gennaio 2021 dell’’ISEAS-Yusof Ishak Institute, la costruzione del ponte di terra costerebbe 60 miliardi di baht (1,85 miliardi di dollari), ovvero solo il 3% di quanto richiederebbe il canale.
Dunque, il Primo Ministro Prayuth Chan-Ocha e il Ministro dei Trasporti Saksayam Chidchob, sembrano sempre più protesi verso quest’opzione. Inoltre, in un momento di incertezza economica causata dalla pandemia da COVID-19, il governo spera di poter utilizzare questa infrastruttura per ridare slancio all’economia e attrarre capitali privati. Per di più, il progetto si inserirebbe perfettamente nella strategia dell’Eastern Economic Corridor (EEC) e sono stati commissionati degli studi per valutare anche l’eventuale collegamento tra la nuova rotta e l’alta velocità Cina-Laos-Thailandia, fiore all’occhiello dei fondi stanziati nel paese nell’ambito della Belt and Road Initiative.
Ed è così che, già a settembre 2020, l’esecutivo ha ordinato uno studio di fattibilità del ponte terrestre e le relative infrastrutture complementari, che dovrebbe essere ultimato nel 2023. Gli occhi di tutta la regione, e in particolare della Cina, sono dunque puntati su questo possibile megaprogetto. Tanto agognato quanto delicato, considerato il fragile equilibrio dell’Indo-Pacifico.