Il cambiamento climatico colpisce il Sud-Est asiatico. Singapore punta sull’energia solare per la de-carbonizzazione ma, nonostante gli sforzi, la strada per la sostenibilità è ancora in salita
Singapore è uno dei Paesi del Sud-Est asiatico più colpiti dal cambiamento climatico. Tra il preoccupante innalzamento del livello del mare e il caldo estremo dell’unica stagione che caratterizza il clima regionale, la città-stato della penisola malese ha preso molto sul serio gli impegni internazionali dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile. È per questo che, negli ultimi anni, sono stati implementati diversi programmi di de-carbonizzazione, tra i quali ha suscitato particolare clamore la realizzazione di un enorme pannello solare galleggiante, situato nello Stretto di Johor.
L’installazione è stata realizzata dal maggiore fornitore di energia solare a Singapore, il Sunseap Group. È composta da ben 13.312 pannelli, con una superficie pari a circa sette campi da calcio. Sarà poi in grado di compensare fino a 4.000 tonnellate di anidride carbonica l’anno e di alimentare ben 1.400 appartamenti residenziali. Come ha fatto notare un imprenditore locale impegnato nel settore, “dopo aver esaurito i tetti e la terra disponibile, che è molto scarsa, il prossimo grande potenziale è proprio la nostra area idrica”. Il mare è considerato la nuova frontiera per l’installazione del solare, ma per le popolazioni costiere del Sud-Est asiatico il surriscaldamento globale e l’innalzamento del livello dell’acqua rappresentano una minaccia incombente. I pannelli galleggianti del Sunseap Group sono infatti progettati per resistere alle mutevoli condizioni meteorologiche, con un sistema che mantiene stabili sia la piattaforma sia le apparecchiature operative a bordo.
Secondo i funzionari del Ministero della Sostenibilità e dell’Ambiente, Singapore ha abbracciato la sostenibilità molti anni fa: anche conosciuta come “Garden city”, è considerata una delle città più verdi al mondo e ha implementato politiche virtuose a favore del rispetto ambientale, introducendo anche la tassazione sulle emissioni di carbonio. La Ministra della Sostenibilità e dell’Ambiente, Grace Fu, ha lanciato a febbraio il nuovo Green Plan 2030. Secondo il governo, infatti, la green economy può rappresentare un vantaggio competitivo chiave, in grado di creare nuove opportunità occupazionali e di crescita. Per le imprese è stato lanciato l’Enterprise Sustainability Programme (ESG), con l’obiettivo di accompagnarle verso modelli di business più sostenibili: come ha suggerito un funzionario dell’ESG, “sustainability needs not to be at odds with profitability”(“è necessario che la sostenibilità non contrasti con la redditività”) . Edwin Chow, assistente amministratore delegato per l’innovazione e le imprese di ESG, ha aggiunto “Con la crescente consapevolezza dei consumatori nei confronti della sostenibilità aziendale e del commercio, le aziende si trovano sotto pressione per migliorare le pratiche commerciali, poiché la sostenibilità deve essere incorporata in processi, prodotti e servizi”.
Nonostante i progetti di de-carbonizzazione e per l’economia green, Singapore non è affatto fuori pericolo. La piccola città-stato asiatica si trova da decenni a dover fronteggiare fenomeni climatici estremi. Le cosiddette “sfide gemelle” sono la principale minaccia: si tratta di inondazioni costiere e forti temporali con precipitazioni estreme che possono causare l’inondazione dell’entroterra. Gran parte del territorio singaporiano si trova a soli 15 metri sopra il livello medio del mare, e il 30% del Paese a meno di 5 metri.
I fenomeni meteorologici non sono l’unica sfida legata al clima che le autorità sono chiamate a gestire. La città si surriscalda a velocità doppia rispetto alla media globale. A Singapore, infatti, esiste una sola stagione, che i residenti hanno ironicamente diviso in quattro livelli di tolleranza: “hot, hotter, hottest and hell”. Per decenni, i cittadini hanno fatto ampiamente ricorso all’aria condizionata, considerata però una tecnologia divoratrice di energia. Come suggerisce Bloomberg, Singapore è anche un caso emblematico del cosiddetto effetto “urban heat island”: per via delle superfici dure dei palazzi e delle costruzioni che assorbono il calore, la temperatura di un’area urbana edificata può essere decisamente superiore rispetto a quella dei terreni circostanti. La Garden City asiatica non riesce perciò a compensare la produzione di calore antropogenico con i benefici del verde, su cui pure ha investito da lungo tempo.
Singapore deve fare i conti con un dilemma: rendere più vivibile la città per i suoi 6 milioni di abitanti senza aumentare pericolosamente le sue emissioni di carbonio. La realizzazione dell’enorme piattaforma di pannelli solari nello stretto a nord dell’isola sembra andare nella giusta direzione, ma la strada da fare è ancora molta. La città-stato è uno dei maggiori emettitori di anidride carbonica pro-capite dell’Asia. I movimenti ambientalisti locali accusano il governo di non fare abbastanza per affrontare le sfide del cambiamento antropogenico del clima poiché, nonostante l’espansione del settore delle rinnovabili, il gas naturale resta la principale fonte di energia (secondo alcune organizzazioni per la difesa ambientale produrrebbe ancora il 96% dell’energia impiegata). Secondo il Climate Action Tracker, anche se il Paese restasse fedele agli obiettivi annunciati nel 2020 per contribuire alla diminuzione delle emissioni stabilite dall’Accordo di Parigi, questi impegni resterebbero comunque insufficienti. Singapore ha intrapreso davvero la via per la sostenibilità, ma l’urgenza del cambiamento climatico richiederà misure ancora più coraggiose.