Alcuni Paesi ASEAN ospitano ancora alcune delle famiglie reali più ricche al mondo. Come vivono i monarchi del Sud-Est asiatico oggi e quale ruolo rivestono?
Elisabetta II è morta, Rama IX è morto…e anche io non mi sento molto bene. Nel mondo dei Paesi ASEAN sono diverse le monarchie che continuano ad avere, in maggiore o minor parte, una certa influenza sulle dinamiche politiche, sociali ed economiche del proprio paese. Con la sola eccezione del Brunei, dove permane un regime di monarchia pressoché assoluta, gli altri stati della regione hanno iniziato da tempo un lungo processo di ridefinizione del proprio ruolo in un mondo sempre più moderno.
Alle famiglie reali sono ancora riservate molte prerogative di potere e rappresentanza, oltre a rimanere delle figure influenti in virtù delle enormi ricchezze possedute. Le dinastie asiatiche fanno parte dell’identità nazionale e ne riflettono alcuni tratti distintivi, come la religione e le consuetudini dell’etnia maggioritaria. L’opinione pubblica sui sovrani ASEAN è altrettanto varia, tra monarchi messi in cattiva luce da corruzione ed eccessi, e figure più apprezzate dalla popolazione per i loro passi avanti nel campo dei diritti civili e sociali.
Thailandia
Il colpo di stato del 2014 non è stato l’unico evento che ha scombussolato l’ordine pubblico thailandese negli ultimi anni. La morte di re Rama IX (Bhumibol Adulyadej), avvenuta nel 2016 dopo 70 anni di reggenza, è stata oggetto di uno dei più spettacolari lutti nazionali. Oltre 250 mila persone si sono riversate nella capitale per celebrare i funerali del monarca, che è stato cremato in un edificio appositamente costruito per l’occasione. Ne è seguito un intero anno di lutto nazionale, che per i primi 30 giorni comprendeva anche il divieto a organizzare feste o accendere la musica nei locali pubblici.
La dinastia Chakri è salita al trono nel 1782 e ha vissuto anni di prosperità e allargamento della propria influenza nella regione. Nel XIX secolo re Rama IV riuscì anche a negoziare degli accordi con il Regno Unito che permisero al paese di mantenere una certa indipendenza (a differenza del vicinato) e avviarsi verso la costruzione di uno stato moderno. L’ascesa di re Rama IX al trono nel 1946 gioca un ruolo fondamentale nella storia thailandese in virtù dei suoi tentativi di tenere insieme il paese davanti a numerosi colpi di stato. Rama IX è stato il “re del popolo” per le sue attività filantropiche e di sostegno alla democratizzazione del Paese, mentre il successore Maha Vajiralongkorn (Rama X) ha dovuto subire delle critiche in questi anni. Come stimò Forbes nel 2011, la casa reale thailandese è la più ricca al mondo, con un patrimonio stimato di almeno 30 miliardi di dollari. La Thailandia possiede una delle più severe leggi sulla Lesa maestà, che negli ultimi anni è stata utilizzata spesso per contrastare le proteste contro il governo che hanno talvolta sfociato in posizioni anti monarchiche.
Cambogia
Anche la Cambogia ha introdotto una legge sulla lesa maestà nel 2018, A partire dal 1993 il re della Cambogia viene eletto dal Consiglio reale del trono, un gruppo di nove autorità cambogiane che comprende il Presidente del Consiglio, il Presidente dell’Assemblea nazionale e il Presidente del Senato. Il criterio per accedere alla selezione? Avere almeno trent’anni e discendere dalla famiglia del re Ang Duong (1796-1860), che oggi si divide nelle casate di Norodom e Sisowath.
Re Norodom Sihamoni continua ad avere un certo potere decisionale nella scelta di alcune cariche governative, tra cui il primo ministro. Sihamoni gode di un certo rispetto anche all’estero, contrariamente al resto della famiglia reale, che nel 2006 i funzionari Usa nel paese avevano definito “una tragedia, una commedia e un melodramma messi insieme che sarebbero in grado di ispirare almeno una mezza dozzina di opere shakespeariane” (commento reso noto al pubblico solo con la diffusione dei cablaggi da parte di Wikileaks).
Malesia
La Cambogia non è l’unico paese ad aver adottato una monarchia costituzionale diversa dallo standard ereditario di una sola dinastia. Anche la Malesia adotta un sistema di governance che prevede l’elezione di un monarca ogni cinque anni, secondo una turnazione che interessa i sultani di nove dei tredici stati in cui è suddiviso il paese. Lo Yang di-Pertuan Agong (“Colui che è fatto Signore”) svolge soprattutto un ruolo di rappresentanza della comunità malese e musulmana. A partire dagli anni Novanta, infatti, i sultani hanno perso gradualmente i propri poteri, fino all’eliminazione della stessa immunità politica.
Lo Yang di-Pertuan Agong può scegliere il primo ministro, ma non può destituirlo. Svolge un ruolo di rappresentanza nelle missioni diplomatiche e viene considerato il capo simbolico delle forze armate. I sultani, in virtù del loro ruolo di “guardiani dell’Islam”, si sono esposti spesso sui temi della corruzione della classe dirigente e dell’estremismo islamico (i cui valori spesso si intrecciano con il suprematismo malese). Negli ultimi anni, per esempio, si sono opposti all’implementazione dello Hudud, un sottogruppo di normative della Sharia (il corpus di precetti derivati dal Corano e che alcuni paesi islamici integrano nel proprio sistema di leggi).
Indonesia
Ancora più marginale è il ruolo delle famiglie reali indonesiane, che non detengono ufficialmente il potere ma mantengono uno status di rappresentanza. La connotazione identitaria, in questo caso, è ancora forte: in alcune aree del paese, come a Giava, Bali e nel Borneo. Ne è un esempio la sopravvivenza della cultura giavanese Halus (“raffinata”) che ruota tutta intorno ai cerimoniali del sultanato di Yogyakarta. Il re Hamengkubuwono X è l’unico sultano riconosciuto dal governo ed è salito agli onori della cronaca per aver rimosso l’obbligatorietà della discendenza maschile al trono. Un decreto del 2015, infatti, ha reso neutrale il titolo di sultano, aprendo così la carriera reale alle sue cinque figlie. Ha anche messo fine alla tradizionale poligamia dei sultani di Giava, sempre in un’ottica di modernizzazione del sultanato e per conferire maggiori diritti alle donne.
Brunei
Ben diversa è l’influenza del sultano del Brunei, unico monarca che ancora oggi detiene il potere assoluto nel Sud-Est asiatico. E non è l’unico record: il Guinness del primati classifica l’Istana Nurul Iman (“Palazzo della luce della fede”) come la residenza reale più grande al mondo. L’edificio occupa oltre 200 mila metri quadri con le sue 1788 stanze, 257 bagni, una sala dei banchetti in grado di ospitare fino a 5mila persone e una stalla climatizzata che ospita 200 pony da polo. Hassanal Bolkiah, oltre a essere uno dei sovrani più ricchi al mondo, è anche diventato il monarca più longevo dopo la morte di Elisabetta II e regna ininterrottamente dal 1967.
Il Consiglio legislativo del Brunei è stato istituito con la Costituzione del 1959 ma, di fatto, i suoi membri hanno solo poteri consultivi. In occasione delle rivolte del 1962, infatti, il re ottenne i pieni poteri dichiarando lo stato di emergenza, tuttora in vigore. Diversamente dalla Malesia, le leggi della Sharia fanno parte del corpus normativo del Brunei insieme ad alcune leggi ereditate dal periodo coloniale.