L’ASEAN punta sulla produzione di veicoli elettrici per conciliare impegni di sostenibilità e crescita delle sue economie emergenti.
Sulla scia della conferenza sul clima di Glasgow 2021 (COP26), i Paesi del Sud-Est asiatico si sono impegnati ad accelerare la diffusione di veicoli elettrici per limitare le emissioni e rientrare negli standard stabiliti dall’accordo di Parigi. Secondo una ricerca di Our World in Data, i trasporti su strada sono responsabili del 15% circa delle emissioni totali di anidride carbonica, e la domanda di automobili è in aumento in tutto il mondo, in accordo con lo sviluppo delle economie emergenti e con l’incremento demografico. Per queste ragioni, molti decisori politici nell’area ASEAN hanno scommesso sulle nuove tecnologie per conciliare crescita economica e imperativi di sostenibilità. Il presidente della COP26, Alok Sharma, ha dichiarato che è necessario accelerare ulteriormente l’adozione di veicoli elettrici (EV) se si vuole fare la differenza per il pianeta: le stime che li vedono rappresentare circa la metà delle vendite di nuove auto entro il 2040, per quanto già ottimistiche, non sono più sufficienti.
In ASEAN la Thailandia e l’Indonesia guidano la svolta per la mobilità green, mentre le Filippine e la Malesia sono i Paesi più in ritardo. Anche il Vietnam, un’economia in rapida evoluzione nel panorama dei mercati emergenti asiatici, ha progetti nazionali molto ambiziosi in proposito. Ma gli approcci degli Stati Membri dell’ASEAN sono ancora frammentari, secondo gli esperti. Ad esempio, il Socio-Cultural Community Blueprint 2025 sulla cooperazione regionale non menziona la necessità di ricorrere alle nuove tecnologie dei trasporti nella sua agenda per il rafforzamento dell’Associazione come attore regionale e globale. In un’intervista rilasciata a Nikkei Asia, Vivek Vaidya, partner associato alla società di consulenza Frost & Sullivan, ha dichiarato che “ogni paese ha il proprio approccio, ogni paese ha le proprie considerazioni e quindi ha le proprie strategie”. Non ci sarebbe dunque una risposta univoca e coerente per la promozione degli EV nel blocco delle 10 nazioni del Sud-Est asiatico.
La Thailandia è stata definita per anni la “Detroit dell’Asia”, per via del suo primato indiscusso nelle catene globali del valore che riguardano l’industria automobilistica. A questo proposito la strategia nazionale “Thailand 4.0” è il vettore della svolta elettrica intrapresa dal Paese, che cerca di mantenere i suoi vantaggi competitivi allineandosi con le istanze ambientaliste e con gli accordi internazionali. L’obiettivo finale per Bangkok è quello di permettere esclusivamente la vendita di veicoli elettrici dal 2035. Il piano prevede incentivi fiscali per attirare investimenti esteri di supporto alla sua crescita economica. Come suggerisce Pietro Borsano del Torino World Affairs Institute, si tratta di una strategia comprensiva volta ad “aumentare la competitività del sistema Thailandia”. La logica del governo thailandese ruota intorno al ruolo delle esportazioni come motore di crescita, per questo, secondo gli esperti, è ben accetto “qualsiasi tipo di investimento nella produzione che aumenterà le esportazioni”. Questo lascia spazio alla competizione tra i principali investitori internazionali del settore dell’automotive del Sud-Est asiatico, tra cui Giappone, Cina, Corea.
Ma il ricorso alle nuove tecnologie ha aperto la strada ad un altro attore chiave nella global value chain delle automobili: l’Indonesia. Già in lizza per superare il primato di Bangkok grazie a una crescita del settore che si concentra più sulla domanda interna che sul commercio internazionale, Giacarta nasconde un asso nella manica che potrebbe segnare definitivamente il destino della sua rivale. Possiede, infatti, uno dei più grandi depositi di nichel grezzo del mondo. Si tratta di uno dei materiali fondamentali per la creazione delle batterie a ioni di litio, che alimentano le auto elettriche. Il governo thailandese ne ha recentemente vietato l’esportazione per spingere le aziende straniere a investire nella realizzazione in loco di prodotti finiti, e sta pensando di dare vita a un’industria di batterie a litio propria attraverso la Indonesia Battery Holding.
Anche se i decisori politici manifestano spesso grande entusiasmo per questa nuova rivoluzione elettrica, alcuni attivisti ritengono che non sia la soluzione su cui puntare. Nonostante l’impiego di veicoli elettrici possa abbattere drasticamente le emissioni di CO2 attribuite ai trasporti su strada, ci sono una serie di altri fattori da considerare: le circostanze di estrazione del litio sono spesso controverse, la libertà di fare scelte sostenibili richiede un’autonomia economica che condanna le persone marginalizzate e, per estensione, i Paesi più poveri alla sistematica esclusione dal sogno della mobilità elettrica, e infine serve la volontà politica di coordinare gli sforzi rispondere alle istanze sindacali di quei settori che verrebbero sostituiti dall’elettrificazione del trasporto su strada.
Quest’anno si è tenuta la prima conferenza su energia e ambiente promossa dall’ASEAN Center for Energy. In questa occasione è intervenuto l’esperto Muhammad Rizki Kresnawan, sintetizzando i temi principali della svolta elettrica nel Sud-Est asiatico. Innanzitutto, l’ingente fabbisogno di capitale per la creazione di infrastrutture potrebbe esporre ulteriormente le economie regionali alla dipendenza da investimenti esteri. Inoltre, i combustibili fossili dominano la produzione regionale di elettricità, e questo potrebbe comportare il ricorso a carburante importato che rischia di compromettere la sicurezza energetica dell’area. Anche se è opinione diffusa che le nuove tecnologie possano accelerare la transizione verso un’economia più verde, le sfide politiche, sociali e ambientali che si intersecano potrebbero rendere la diffusione di veicoli elettrici meno lineare di quanto le economie ASEAN avrebbero sperato.