Manovre rischiose sul mar Cinese meridionale

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Nel corso del 2023 si sono acuite le tensioni sulle acque contese tra Cina e Filippine, mentre il Vietnam prova a mantenersi in equilibrio pur approfondendo le relazioni con gli Stati Uniti. Pechino si muove su Cambogia e Thailandia, che hanno entrambe un nuovo premier

Di Sabrina Moles

“Una comunità marittima dal destino condiviso”. Ed ecco che il motto dell’era Xi Jinping sulla “comunità dal destino condiviso” diventa un messaggio lanciato verso il suo vicinato “di mare”. Un vicinato non certo stabile, e ora più che mai oggetto di attenzione per tutte quelle realtà economiche, politiche e sociali che si affacciano su uno specchio d’acqua di 3,6 milioni di chilometri quadrati che interessa il 60% del commercio marittimo globale. Secondo i dati del Center for Strategic and International Studies (Csis) del 2017, su queste acque transitano beni per un valore di oltre 3,37 triliardi di dollari e altrettante opportunità si nascondono ancora nei fondali: metalli, petrolio, gas. 

Se il Pacifico in generale è oggi uno dei punti più caldi delle dinamiche internazionali il mar Cinese meridionale vi si trova come un vulcano attivo che potrebbe eruttare da un momento all’altro. Con la fine della pandemia sono riprese anche le operazioni di monitoraggio e pattugliamento dell’area che ogni governo porta avanti per tutelare la propria sovranità su una parte di queste acque e ogni confronto – in particolare con le imbarcazioni cinesi – potrebbe accendere la miccia. La diplomazia ha fatto pochi passi avanti per tutelare la libertà di navigazione e saranno gli anni futuri a decidere del destino di queste rivendicazioni.

Nel 2016 la Corte permanente di arbitrato dell’Aia ha respinto le rivendicazioni della Cina, a seguito di una denuncia del governo delle Filippine nel 2013. Da allora anche il processo di ridefinizione dei diritti di passaggio e sfruttamento dei giacimenti naturali ha subito continue interruzioni. Da tempo le nazioni dell’area chiedono il rispetto delle norme contemplate dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos), che non contempla il tipo di sovranità “storica” che Pechino sostiene di avere sul mar Cinese meridionale. Un’area circoscritta dalla cosiddetta “linea a nove tratti” sulle sue mappe che racchiude quelle che la Repubblica popolare considera sue acque.

Dagli anni Novanta i paesi della regione hanno cercato di costruire un dialogo che potesse portare alla definizione di regole condivise. Il progresso più significativo risale al 2002 con la ratificazione di una Dichiarazione non vincolante sulla condotta delle parti (Doc), ma da allora l’idea di un Codice di condotta vincolante (Coc) non è mai decollata veramente. Al margine della ministeriale di luglio 2023 la Cina e i paesi dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) hanno stabilito delle “linee guida comuni” per accelerare i negoziati, azione che riflette un tentativo di ridare slancio all’iniziativa ma che vede ancora divisi i paesi del gruppo. 

L’Indonesia, in qualità di presidente per il 2023, ha ospitato le prime esercitazioni marittime congiunte dell’Associazione in prossimità della linea a nove tratti. Segnali che mettono in difficoltà la Cina, ma non troppo. Nell’Asean, al di fuori di Filippine, Vietnam, Indonesia e Malesia, la questione è meno prioritaria e potrebbe tornare ai margini in vista della presidenza di turno del Laos, un paese molto vicino a Pechino. Il principio del consenso inteso come accordo unanime tra le parti non permette, infatti, l’approdo a una strategia più determinata nei confronti della Cina. 

Le aziende e le forze armate cinesi, nel frattempo, continuano a costruire. La Cina ha già piazzato delle basi militari nelle Spratly, al punto che – secondo quanto riportato dalla marina statunitense, tre di questi isolotti si possono definire completamente militarizzati per la presenza di  sistemi missilistici antinave e antiaerei. 

La presenza di navi cinesi rimane costante e “allarmante”, ha dichiarato Manila in merito alla cifra record di 153 imbarcazioni battenti bandiera cinese situate nei pressi della propria zona economica esclusiva. Secondo quanto dichiarato dalla guardia costiera dei paesi dell’area non sono rari i confronti con le navi cinesi che si addentrano fino a 800 mila miglia nautiche oltre la propria zona di competenza. L’elenco include l’avvicinamento a meno di dieci metri nave tra un peschereccio vietnamita pesca e la marina cinese nel marzo 2023, le due collisioni tra imbarcazioni cinesi e navi filippine di ottobre 2023, il confronto tra navi cinesi e guardia costiera filippina con l’apertura di cannoni ad acqua. Il presidente delle Filippine Ferdinand Marcos ha adottato una politica più aggressiva sulla sicurezza marittima, tornando a rafforzare la cooperazione militare con gli Stati Uniti. 

Sono anche in corso i negoziati per un accordo con Hanoi. Proprio la posizione del Vietnam è quella maggiormente sotto attenzione. Lo scorso settembre è stato ad Hanoi Joe Biden, per una visita definita “storica” e che lo ha portato a essere ricevuto nel quartier generale del Partito comunista vietnamita. I rapporti bilaterali sono stati elevati e i contatti sulle forniture militari si sono approfonditi, col Vietnam che dopo la guerra in Ucraina teme un crescente allineamento tra Cina e Russia, con quest’ultima che fatica a mantenere la sua posizione di fornitore di difesa. Ma attenzione a pensare che Hanoi sia pronta a farsi arruolare da qualcuno. Rispetto alle più assertive Filippine, il Vietnam continua a voler bilanciare la propria posizione, come dimostra la visita di dicembre di Xi Jinping. Un segnale di garanzia importante per Pechino.

Dal lato della Thailandia e della Cambogia, invece, l’approccio alla sicurezza marittima appare più morbido nei confronti del gigante cinese. Convalidata l’ascesa di Hun Manet,  figlio dell’ex primo ministro Hun Sen diventato ufficialmente suo erede dopo le elezioni di luglio, è ora davanti agli occhi degli osservatori una prospettiva di continuità delle relazioni di buon vicinato. I primi segnali sono arrivati con l’interdizione all’accesso dei funzionari statunitensi alla base navale di Ream nel 2021, mentre è di dicembre 2023 la notizia del primo attracco di navi cinesi in una delle strutture militari chiave della regione.

Sul piano militare la Cina ha anche recuperato terreno con la Thailandia, con la quale ha da tempo organizzato delle esercitazioni congiunte. Se nel 2017 gli accordi prevedevano l’organizzazione di un’esercitazione navale, nel 2023 la frequenza degli incontri è salita a tre, includendo operazioni di aria e di terra. Washington ha ridotto la portata della cooperazione militare dal colpo di stato del 2014, creando un vuoto che la Cina ha presto cercato di riempire. 

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