Dopo un’impasse di cinque giorni, il consiglio dei sultani ha scelto il nuovo primo ministro della Malesia. Una panoramica delle elezioni più complesse mai tenutesi nel Paese
La Malesia ha un nuovo premier. Ci sono voluti cinque giorni, ore di consultazioni e l’intervento del sultano prima di cristallizare (per ora) i risultati delle quindicesime elezioni generali. Giovedì 24 novembre l’attuale monarca Sultan Abdullah Sultan Ahmad Shah ha convocato un incontro speciale con le controparti dei nove stati malesi (qui una panoramica sul sistema di turnazione dei sultani) e ha preso la decisione finale. Normalmente, lo Yang di-Pertuan Agong svolge un ruolo di rappresentanza, ma può intervenire in situazioni di emergenza o incertezza, come accaduto negli ultimi giorni.
Il Primo Ministro della Malesia è ora Anwar Ibrahim, leader del Pakatan Harapan (PH), la coalizione che aveva trionfato alle elezioni del 2018 per poi venir affossata dai cambi di fazione di alcuni leader chiave. Oggi 75enne, è stato membro del partito storicamente al potere in Malesia, la United Malays National Organisation (UMNO). Nel 1997, con l’arrivo della peggiore crisi finanziaria della storia asiatica, si è scontrato con i vertici del partito per le sue idee riformiste, dando il via a una nuova generazione di attivisti per la democrazia con il movimento Reformasi. Espulso dal partito e imprigionato nel 1998 per sodomia e corruzione (capi d’accusa comuni a molte incarcerazioni politiche in Malesia) è tornato sulla scena politica nel 2004, dopo le dimissioni dello storico premier UMNO Mahathir Mohamad. Con il suo ingresso ai vertici del PH, Anwar avrebbe il merito, affermano gli osservatori, di aver creato la prima vera coalizione veramente multietnica della Malesia, capace tanto di ottenere il sostegno della maggioranza musulmana malese e che quello delle principali minoranze del paese (sinodiscendenti e indiani).
I risultati delle elezioni
Le elezioni del 19 novembre si erano concluse senza una maggioranza netta, sebbene la bilancia dei voti pendesse a favore del Pakatan Harapan (PH). Allo spoglio dei voti il PH aveva guadagnato 82 su 222 seggi alla Camera bassa, contro i 73 del Perikatan Nasional (PN) e i 30 del Barisan Nasional (BN). Ma per avere la fiducia il PH doveva conquistare il sostegno di almeno 112 parlamentari, tentativo avanzato anche da BN e PN. A cinque giorni dal voto, non era ancora chiaro chi avrebbe guidato il paese per i prossimi anni. Fin da subito, una parte dell’opinione pubblica malese si è schierata contro l’ostruzionismo di BN e PN: “È assurdo che il partito che ha vinto più seggi si trovi in qualche modo sconfitto. I malesi hanno votato, Anwar deve diventare premier”.
Le elezioni del 2022 hanno dimostrato quanto lo scenario politico stia cambiando: prima del 2018 non sono mai accadute delle crisi di governo di questa portata, né sono emerse tante frizioni tra i protagonisti della politica malese. I risultati delle quindicesime elezioni generali hanno però confermato il lento declino della fazione etnonazionalista United Malays National Organisation (UMNO). Un tempo il partito del governo malese per quasi sessant’anni, oggi è passato dall’altro lato della competizione politica dopo la peggiore sconfitta elettorale di sempre.
Nella riunione prevista prima dell’incontro con il sultano di martedì 22 novembre, infatti, l’ex premier ad interim dell’UMNO Ismail Sabri Yaakob (subentrato alla guida del governo dopo il rimpasto del 2020) aveva poi confermato di voler rimanere all’opposizione. Successivamente, lo stesso UMNO si dirà favorevole alla fiducia purché non venisse eletto premier il leader del PN, Muhyiddin Yassin.
Vincitori e vinti
Il vero vincitore di queste elezioni, affermano gli osservatori, sarebbe la coalizione del PN. Formatasi dopo la crisi del 2020, il gruppo ha saputo portarsi a casa una maggiore percentuale di voti in più del previsto con la sua forte connotazione identitaria musulmana e malese. A conquistare le anime dei suoi elettori, sottolineano gli analisti, anche la ricerca di una terza via al conflitto tra PH e BN.
Questa scelta non ha convinto tutti: c’è chi accusa il PN di aver così favorito l’ascesa del Malaysian Islamic Party (44 seggi), partito emblematico di quell’ala della politica malese favorevole alla totale implementazione della Sharia. Tanto che su Twitter un cittadino si sfoga: “Ora è evidente. I malesi sono razzisti e fanatici religiosi. Bentornati al passato. Sayonara al nostro futuro.”
Ora di cambiamenti?
Niente slancio significativo del voto dei giovani, come anticipato da alcuni analisti. Con l’abbassamento del diritto di voto a 18 anni l’elettorato ha accolto 1,4 milioni di nuovi elettori, e questo può aver influito sull’affossamento di alcuni leader storici e dello stesso UMNO. Tra i grandi sconfitti di queste elezioni, infatti, l’uomo che per quasi vent’anni ha guidato il governo malese, il novantasettenne Mahatir Mohamad. La sua coalizione, il Gerakan Tanah Air (GTA), non ha raggiunto il 20% delle preferenze, e l’ex premier ha perso la possibilità di ottenere un seggio nel Langkawi, nel nord del paese: è la prima volta che gli accade dal 1969. La reazione dei mercati è stata coerente con l’incertezza delle ore successive alla chiusura dei seggi: nella giornata di lunedì il ringgit è sceso di 0,8% contro il dollaro e i titoli in borsa hanno dimostrato le basse aspettative degli investitori sulla stabilità della classe politica malese.
L’impasse non ha tenuto a freno l’ironia su internet. Sui social media sono circolati meme con un annuncio di lavoro dal titolo: “Posizione aperta per il ruolo di decimo primo ministro della Malesia”. Altri utenti hanno parlato dell’imbarazzo di sentire il proprio destino in mano alla classe politica: “Sembra di stare tutti al tribunale per il divorzio, in attesa che qualcuno decida chi deve prenderci in custodia”.I social sono stati, però, anche motivo di preoccupazione. Piattaforme molto utilizzate come TikTok sono state allertate dalle autorità malesi per timore che spopolassero contenuti che incitassero alla violenza, o fake news.