Lego punta sul Vietnam come nuovo hub di produzione a emissioni zero

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La Lego ha scelto il Vietnam per la costruzione della sua prima fabbrica a emissioni zero. Nel tentativo di minimizzare l’impatto della competizione commerciale tra Cina e Stati Uniti, diverse multinazionali stanno puntando a diversificare le catene di approvvigionamento prendendo le distanze da quella che per decenni è stata considerata la fabbrica del mondo.

Lego, prima produttrice di giocattoli al mondo per fatturato, ha dato avvio alla costruzione di un nuovo impianto nella provincia vietnamita di Binh Duong, circa 50 chilometri a nord di Ho Chi Minh. Sarà la sesta base produttiva dell’azienda danese e la seconda in Asia, dopo quella di Jiaxing in Cina, attiva dal 2015.

Lo stabilimento, la cui apertura è prevista per l’anno prossimo, avrà un’estensione di 44 ettari, sarà alimentato principalmente da energia solare e potrà contare su tecnologie all’avanguardia per la produzione degli iconici mattoncini in plastica. La decisione comporterà la creazione di 4.000 posti di lavoro nei prossimi 15 anni, nonché l’iniezione di oltre un miliardo di dollari di investimenti nella zona, che già ospita i più grandi complessi industriali e vanta il titolo di regione più ricca del Paese. Si tratta del più grande investimento da parte di un’azienda danese in Vietnam.

La vicenda riflette una tendenza più ampia che negli ultimi cinque anni ha visto il Vietnam spiccare tra le destinazioni preferite dagli investitori stranieri in fuga dall’ex fabbrica del mondo, nel tentativo di eludere i dazi statunitensi sulle merci importate dalla Cina.

Anche su spinta della corsa alla delocalizzazione innescata dallo scoppio della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, le autorità vietnamite hanno elaborato un piano per attirare proattivamente gli investimenti stranieri, dando priorità ai progetti ad alto valore aggiunto e promotori di tecnologie avanzate e pulite. 

Secondo Bruno Jaspaert, amministratore delegato di Deep C Industrial Zones, uno dei maggiori sviluppatori di zone industriali del Vietnam, concentrando i propri sforzi sui temi pressanti per gli investitori internazionali, come la sostenibilità così come declinata dagli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite, il Paese “potrebbe avere la ricetta per il successo”.

Con l’emanazione della Risoluzione 50 nel 2019, il Partito Comunista del Vietnam ha rimarcato la centralità del ruolo che gli attori economici stranieri e gli investimenti esteri giocano nel perseguimento di una strategia di sviluppo di lungo periodo, sottolineando la necessità di attrarre tecnologie verdi e hi-tech che aggiungano al processo produttivo.

In effetti, già nel 2018 gli IDE erano aumentati del 9,1% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 19,1 miliardi di dollari, e registrando successivamente un ulteriore aumento del 6,7% a 20,38 miliardi di dollari nel 2019. Dopo una prima fase di stallo nel 2020 a causa dello scoppio della pandemia, sono tornati a crescere significativamente nel 2021, anche sulla scia delle massicce chiusure degli impianti industriali causate dalla strategia “zero Covid” portata avanti da Pechino, fino a raggiungere i 38,85 miliardi.

Lo stesso Carsten Rasmussen, direttore operativo di Lego, ha dichiarato a dicembre 2021 che l’impegno del governo vietnamita per espandere le infrastrutture per la produzione di energia rinnovabile e l’approccio collaborativo con le aziende straniere hanno contribuito alla decisione del Gruppo di aprire una nuova base produttiva nel paese.

Tuttavia, secondo gli esperti esistono dei fattori strutturali che rendono pressoché impossibile che queste nuove attraenti destinazioni per gli investitori stranieri, come il Vietnam e la più ampia regione del Sud-Est asiatico, si trasformino in vere alternative al completo ecosistema di produzione cinese e mettano realmente in discussione lo status di Pechino come hub manifatturiero globale, nel breve periodo.

Zhang Monan, vicedirettore dell’Istituto di Studi Americani ed Europei presso il Centro Cinese per gli Scambi Economici Internazionali di Pechino, ha affermato che la mancanza di un sistema industriale completo e di un grande mercato interno rappresenta un importante svantaggio per il Vietnam. Finchè i semilavorati continueranno ad essere forniti principalmente dalla Cina e i prodotti finiti esportati principalmente negli Stati Uniti, lo sviluppo industriale del paese non potrà mai emanciparsi dalla sua dipendenza esterna.

Inoltre, il Vietnam soffre ancora la carenza di manodopera qualificata, oltre che l’enorme disparità di scala demografica se paragonata all’enorme vicino. Secondo i dati ufficiali vietnamiti, solo l’11% dei 51,4 milioni di lavoratori del Paese è considerato altamente qualificato, contro gli oltre 200 milioni dichiarati dalle autorità cinesi (circa il 26% della forza lavoro totale).”Con il 7% della popolazione cinese, [il Vietnam] non sarà in grado di spostare più di una piccola frazione delle esportazioni cinesi”, ha dichiarato David Dapice, economista senior dei programmi Vietnam e Myanmar presso l’Ash Centre for Democratic Governance and Innovation dell’Università di Harvard.

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