La pandemia da Covid-19 ha interrotto i progetti di riforma del presidente indonesiano Jokowi, ma in Indonesia il ruolo degli investimenti esteri resta cruciale anche per la ripresa post-pandemica.
La crisi economica globale che ha fatto seguito alla diffusione del Covid-19 ha preso alla sprovvista il presidente Joko “Jokowi” Widodo, che aveva progetti macroeconomici ambiziosi per l’Indonesia. Il governo di Giacarta era impegnato a implementare una fitta agenda riformista, volta al benessere economico e sociale, per stimolare la produzione manifatturiera e soprattutto attrarre investitori stranieri interessati a fare affari nel Sud-Est asiatico. Anche se la pandemia ha modificato le priorità del governo, per la ripresa economica resta di cruciale importanza attrarre investimenti di capitale straniero.
Le elezioni politiche dell’aprile 2019 si sono rivelate una battaglia per l’economia, e il voto dei millennials e della classe media indonesiana è stato decisivo. In questa circostanza, Jokowi aveva fatto leva sull’immagine di un uomo del popolo che avrebbe continuato a rendere prospera l’Indonesia anche durante il suo secondo mandato. Secondo gli esperti, questo successo elettorale era da interpretarsi proprio come una convalida delle sue politiche, lanciate durante il mandato precedente, volte allo sviluppo delle infrastrutture e alla spesa pubblica in programmi sociali. La Banca centrale supportava queste ambizioni, mantenendo alti i tassi di interesse per attrarre capitale straniero. Poi è arrivato il Covid-19, e per il presidente Widodo le occasioni per fare la differenza si sono ridotte. Oggi la priorità del governo nazionale è la ripresa economica, che richiede un abbassamento dei tassi di interesse pensato per stimolare i consumi, mentre si cerca di arginare le pressioni a ribasso sulla rupia.
Nonostante queste misure finanziarie pensate per far fronte alla crisi, la struttura macroeconomica di molti Paesi del Sud-Est asiatico fa grande affidamento sul flusso in entrata di investimenti diretti esteri (IDE), e l’Indonesia non fa eccezione. I settori di punta dell’ASEAN, come la produzione, la vendita al dettaglio, i trasporti e le telecomunicazioni, hanno portato il blocco a diventare una vera potenza economica, con un PIL stimato di 9,3mila miliardi di dollari a partire dal 2019. L’Indonesia rappresenta circa il 40% della produzione economica dell’ASEAN, che è in procinto di diventare la quarta economia mondiale entro il 2050. Secondo ASEAN Briefing, gli sforzi compiuti negli anni scorsi dai governi del Sud-Est asiatico, per promuovere sistemi normativi attraenti per chi voglia fare affari nella regione, sono uno dei vettori che continueranno a garantire l’afflusso di IDE, anche durante gli sforzi di ripresa in Indonesia.
A questo proposito, la società di consulenza Dezan & Shira Associates ha messo a punto un report che fa luce sul panorama degli investimenti nel Paese. I primi cinque settori destinatari di investimenti sono l’industria dei metalli, la fornitura di elettricità, gas e acqua, i trasporti e le telecomunicazioni, l’edilizia abitativa e il settore minerario. Le prime cinque economie che investono in Indonesia sono invece Singapore, Cina, Hong Kong, Giappone e Corea del sud. Il sistema normativo è particolarmente attraente per i finanziatori stranieri, anche perché l’Indonesia è parte di ben dodici accordi di libero scambio, tra cui anche la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), siglata lo scorso anno. In occasione della proposta di ratifica dell’accordo, il Ministro del Commercio indonesiano Muhammad Lufti ha dichiarato che la RCEP sarà molto vantaggiosa per l’Indonesia, perché rafforzerà il suo ruolo nelle catene di approvvigionamento regionali, oltre a supportare l’economia durante la ripresa post-pandemica. Il report riporta poi i vantaggi fiscali dedicati a chi desidera fare affari nel paese, oltre a una lista di industrie con ampio margine di crescita tra cui l’economia digitale, l’industria manifatturiera dei componenti elettronici e quella super competitiva dei veicoli.