Il Paese lavora per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030, ma restano alcuni problemi: il divario di reddito e il tema dell’olio di palma
Nel corso degli anni, lo sviluppo economico della Malesia è stato impressionante. Dalla sua indipendenza dal Regno Unito nel 1957, il Paese ha concentrato tutti i suoi sforzi sul potenziamento dell’economia e sul miglioramento del benessere dei suoi cittadini. Secondo un rapporto dell’OECD, per quasi 5 decenni (fino al 2018) la Malesia ha registrato una crescita stabile del PIL ad un tasso annuo medio del 6,1%. Il Paese vanta anche un indice di sviluppo umano relativamente alto, pari a 0,804, il terzo più alto dell’ASEAN dopo Singapore e Brunei Darussalam.
Oltre a questi risultati già raggiunti, la Malesia ha fissato uno standard elevato anche per i suoi obiettivi di medio e lungo termine. Kuala Lumpur mira a conquistare lo status di Paese ad alto reddito entro il 2024, e sta anche lavorando per raggiungere una crescita sostenibile ed equa per tutte le fasce di reddito, le etnie e le diverse aree geografiche – come delineato nel documento Shared Prosperity Vision 2030. Ciononostante, nel lavorare verso questi obiettivi, il Paese deve ancora affrontare diverse sfide sia in patria che all’estero.
Uno dei problemi più urgenti in Malesia è quello delle differenze strutturali nella popolazione. Ufficialmente, il tessuto sociale è diviso in due segmenti: la maggioranza Bumiputera o popolazione malese, e la minoranza non-Bumiputera, che è composta principalmente da popolazioni cinesi e indiane. Storicamente, la disparità economica è sempre stata un problema tra i due gruppi, in quanto la ricchezza nazionale era in gran parte concentrata nelle mani della popolazione cinese dominante sul mercato. Sebbene si stiano facendo progressi per quanto riguarda le pari opportunità tra i gruppi, ad oggi il divario è ancora evidente. La differenza di reddito tra Bumiputera, indiani e cinesi è aumentata di quattro volte negli ultimi 27 anni. Per questo motivo, il governo sta cercando di ridurre le disuguaglianze tra gruppi etnici, adottando un’agenda di empowerment dei Bumiputera, che mira a rafforzare la loro posizione socioeconomica. Inoltre, il governo è anche impegnato a porre maggiore attenzione sullo sviluppo di altre popolazioni non Bumiputera, per garantire a tutti parità di accesso all’istruzione, al lavoro e alle opportunità che la società offre.
Un’altra questione che potrebbe ostacolare lo sviluppo economico della Malesia è quella dell’olio di palma, e i suoi effetti sulle relazioni commerciali con l’UE. L’olio di palma è una delle industrie principali della Malesia, rappresenta il 2,8% del PIL, e il Paese ne è il secondo produttore mondiale dopo l’Indonesia. Dal 2010, il governo malese e l’UE stanno lavorando per raggiungere un accordo di libero scambio, tuttavia, le trattative sono sospese a causa di opinioni divergenti sull’impatto ambientale e sulle questioni di sostenibilità associate alla produzione di olio di palma. La reazione iniziale del Parlamento Europeo sulla questione è stata quella di vietarne l’uso per i biocarburanti fino al 2030. Tuttavia, considerando le conseguenze economiche di questa decisione, l’UE ha stabilito invece di limitare la quantità di biocarburanti ad alto rischio Indirect Land Use Change (ILUC) nel suo mercato. Per definizione, l’ILUC si verifica quando terreni agricoli precedentemente utilizzati per la coltivazione di alimenti vengono convertiti in favore di produzione di biocarburanti, con conseguente rilascio di ingenti emissioni di carbonio nell’aria. I biocarburanti classificati nelle categorie ad alto rischio ILUC sono quelli prodotti da aree che hanno una maggiore concentrazione di carbonio come le foreste e le zone umide.
Sebbene l’UE abbia in qualche modo aperto all’uso di biocarburanti sostenibili, è ancora difficile per l’olio di palma malese qualificarsi nella categoria di carburanti a basso rischio ILUC. Il governo sta ora lavorando per aumentare la produzione sostenibile di olio di palma, limitando l’espansione di zone paludose e fangose, vietando la conversione delle riserve forestali per la produzione di olio di palma e stabilendo una particolare certificazione di sostenibilità, chiamata Malaysian Sustainable Palm Oil (MSPO). Permangono dubbi sul fatto che questo sistema di certificazione possa essere riconosciuto dall’UE, e una soluzione vantaggiosa per tutti sembra ancora lontana dall’essere trovata. Gli esperti però invitano entrambe le parti a rivalutare le loro posizioni al fine di raggiungere un risultato più favorevole sia per l’industria dell’olio di palma che per la sostenibilità ambientale a livello globale.
Considerando gli elementi sopra menzionati, la Malesia si trova ad affrontare una situazione difficile. Il divario di reddito e le questioni di sostenibilità rimangono pregiudizievoli, in quanto possono influire in modo significativo sul Paese sia nelle dinamiche interne che in quelle relazionali con l’estero. Tuttavia, il governo si è molto impegnato ad affrontare queste problematiche e il Paese sembra essere sulla strada giusta per riprendersi dalla pandemia di Covid-19 e continuare verso il raggiungimento dei suoi obiettivi entro il 2030.
A cura di Rizka Diandra e Alessio Piazza