Mancanza di vaccini, scetticismo e malcontento nei confronti della gestione della pandemia stanno rallentando la ripartenza.
La Thailandia è stato uno dei pochi Paesi a riuscire a mantenere il coronavirus sotto controllo durante la prima fase della pandemia, ma varianti più contagiose come la Delta hanno causato un’impennata di nuovi casi e di morti a partire dallo scorso aprile. Secondo i dati della Johns Hopkins University, da quando è iniziata la terza ondata i casi totali registrati nel Paese si sono moltiplicati in maniera esponenziale in meno di sei mesi (da appena 30 mila ad inizio aprile 2021, a più di un milione a metà settembre), così come il numero delle morti totali (da 95 a 15 mila nello stesso periodo), mettendo alle strette il già fragile sistema sanitario. La situazione è precipitata a tal punto da far piombare Bangkok al 118esimo posto dell’indice sulla ripresa economica post COVID-19 di Nikkei Asia, davanti solo a Myanmar, Filippine e Vietnam. Tra le principali cause di questa nuova situazione di emergenza potrebbero esserci le difficoltà riscontrate durante la campagna vaccinale: secondo i dati ufficiali del governo al 20 Settembre, solo il 40% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino, e appena il 20% entrambe le dosi.
Stando al piano governativo, il Paese punterebbe a raggiungere l’immunità di gregge entro il 2021, ma considerate la mancanza di dosi e il crescente scetticismo dei cittadini thailandesi nei confronti dei vaccini proposti dall’esecutivo l’obiettivo sembra essere lontano. Attualmente, gli unici due vaccini a disposizione per la maggior parte della popolazione sono Astrazeneca e il cinese Sinovac, verso il quale i thailandesi non nutrono particolare fiducia. Il governo non ha invece ordinato scorte di vaccini ad mRNA (come Pfizer e Moderna), considerati da gran parte della comunità scientifica più efficaci e con minori effetti collaterali. Tuttavia, nei prossimi mesi la situazione potrebbe cambiare, in quanto gli ospedali privati stanno procedendo autonomamente all’approvvigionamento di vaccini Pfizer e Moderna e il Paese stesso sta per avviare la sperimentazione umana del suo primo vaccino mRNA COVID-19, sviluppato dalla Chulalongkorn University di Bangkok.
All’inizio della pandemia, nel 2020, il governo thailandese aveva annunciato di aver trovato un accordo con AstraZeneca per ottenere il vaccino e trasferire la tecnologia dell’azienda anglo-svedese alla Siam Bioscience, di proprietà del re Vajiralongkorn, per assicurarsi una produzione locale. Allo stesso tempo, Bangkok non ha ritenuto di stipulare contratti con nessun’altra azienda farmaceutica e ha addirittura deciso di non fare parte del programma collettivo di distribuzione COVAX. Tuttavia, mettere tutte le uova in un unico paniere non si è rivelata una strategia vincente: le dosi di AstraZeneca ottenute sono state molte meno di quanto pianificato inizialmente e, quando la situazione è diventata fuori controllo, era ormai troppo tardi per trovare altri vaccini efficaci sul mercato. Per questo motivo, il governo si è trovato costretto a proseguire la campagna vaccinale con il vaccino cinese Sinovac, disponibile in enormi quantità.
Finora AstraZeneca, pur essendo il vaccino prioritario secondo il piano nazionale, rappresenta solo il 40% circa delle inoculazioni totali, mentre Sinovac, che è relativamente meno efficace contro la variante Delta, il 60%. La popolazione locale stessa è assai diffidente nei confronti del vaccino cinese, come dimostrato da hashtag popolari sui social media e da alcuni sondaggi condotti da YouGov. Le ragioni di questo scetticismo si possono ritrovare sia in recenti segnalazioni di migliaia di casi infetti da COVID-19 nonostante le vaccinazioni Sinovac, sia perché si teme la presenza di interessi politici dietro l’adozione del vaccino cinese (a partire da voci, non verificate, su legami tra il conglomerato thailandese Charoen Pokphand e i produttori del vaccino). Infine, l’insoddisfazione generale per le difficoltà riscontrate nel corso della campagna vaccinale non ha fatto altro che aggravare il malcontento verso il governo appoggiato dai militari, generando ampie e continuate manifestazioni contro l’esecutivo, rompendo così una tregua che durava da tempo.