A due anni dalla depenalizzazione, la Thailandia potrebbe inserire nuovamente la cannabis nella lista degli stupefacenti, smantellando un settore potenzialmente da miliardi di dollari
Di Francesco Mattogno
La depenalizzazione del consumo di cannabis a basso contenuto di tetraidrocannabinolo (THC), ufficializzata il 9 giugno 2022, rientra senza dubbio tra le tante contraddizioni che caratterizzano la Thailandia. Il contesto politico nel quale due anni fa Bangkok decise di allentare la repressione della marijuana, trasformando la Thailandia nel primo Stato asiatico a permetterne l’uso ricreativo, era quello del governo di Prayut Chan-o-cha, con una forte componente militare e una serie di partiti civili. Il più grande di questi era il Bhumjaithai (BJT) dell’allora vicepremier e ministro della Salute, Anutin Charnvirakul, tra i maggiori sostenitori della depenalizzazione della marijuana in Thailandia.
Dopo averlo promesso in campagna elettorale, nell’estate del 2022 Anutin è riuscito a convincere gli alleati e a ottenere una larga maggioranza in parlamento per portare alla rimozione della cannabis a basso contenuto di THC dalla lista delle sostanze stupefacenti. Una vittoria che, a distanza di poco meno di due anni, potrebbe essere cancellata da un nuovo governo, questa volta a trazione civile, del quale lui stesso è vicepremier e ministro degli Interni.
Attraverso un post su X, l’8 maggio il primo ministro thailandese, Srettha Thavisin, ha annunciato di voler reinserire la marijuana a basso contenuto di THC nella lista degli stupefacenti. La cannabis non sarebbe considerata una droga pesante come eroina o cocaina, ma tornerebbe a esserne illegale la coltivazione, la vendita e il possesso, con pene fino a 15 anni di carcere. Srettha e il suo partito, il Pheu Thai, avevano promesso di reprimere il consumo di marijuana già in campagna elettorale, e lo stesso avevano fatto tutti i grandi partiti, compreso il progressista Move Forward e in parte anche il BJT di Anutin, che sosteneva di volerne rafforzare la regolamentazione.
Secondo quanto annunciato, l’uso medico della cannabis resterà legale e la repressione si limiterà al consumo ricreativo, cioè il vero oggetto di quella che Srettha ha definito essere una «guerra alle droghe», che prevede misure anche contro altre sostanze, molto più pericolose della marijuana. Tecnicamente, la depenalizzazione del 2022 è arrivata a seguito di un’ordinanza del ministero della Salute che si è limitato a inserire la canapa all’interno delle “erbe controllate”: non si è trattata di una vera e propria legge, e questo si è rivelato essere il suo più grande problema.
Al di là di alcune indicazioni minime (come la necessità di una licenza per la coltivazione, il divieto di fumare in pubblico o di vendita ai minori di vent’anni), l’uso ricreativo della cannabis non è mai stato davvero regolamentato, ed è diventato tollerabile solo a seguito di un vuoto normativo. Un vuoto dovuto anche al fatto che, nei mesi successivi alla depenalizzazione, il parlamento ha cambiato idea sulla questione, non permettendo di trasformare in legge le diverse bozze presentate da Anutin. Una legge avrebbe rafforzato i controlli e la solidità normativa del consumo legalizzato di cannabis, che oggi sarebbe risultato più difficile da rovesciare.
Mentre i partiti litigavano sulla questione, poi accantonata con l’inizio della campagna elettorale per le elezioni del maggio 2023, in due anni sono nati circa 8 mila negozi in tutto il Paese per la vendita al pubblico di infiorescenze, oli o altri prodotti a base di canapa, e oltre 1 milione di thailandesi hanno richiesto e ottenuto le licenze per la coltivazione. Nonostante sia teoricamente legale solo la vendita di marijuana con un contenuto di THC inferiore allo 0,2% (simile alla “cannabis light” in Italia), la mancanza di una legge ha reso possibile anche il commercio di cannabis a un livello normale di THC, ovvero il principio attivo che rende psicotropo il consumo di erba. Le infiorescenze con bassissima percentuale di THC non hanno però alcun effetto alterante. Parlare di “guerra alle droghe” sarebbe dunque in questo caso non del tutto appropriato.
Lo affermano anche diverse associazioni thailandesi a sostegno della legalizzazione della cannabis, che hanno chiesto al governo di portare delle prove scientifiche a sostegno del fatto che la marijuana sia più dannosa di alcol e sigarette. A due anni dalla depenalizzazione, l’industria della coltivazione e vendita dei prodotti a base di canapa si è ormai consolidata come una realtà importante all’interno del sistema economico thailandese: un divieto metterebbe in ginocchio migliaia di piccoli imprenditori e lavoratori.
Secondo le stime, il settore potrebbe arrivare a valere 1,2 miliardi di dollari nel 2025, per superare i 9 miliardi entro il 2030. La “guerra alla droga” rischierebbe di consegnare nuovamente questo enorme mercato nelle mani della criminalità organizzata, ma Srettha non sembra propenso a tornare indietro. Il Primo Ministro ha detto al suo nuovo ministro della Salute, Somsak Thepsutin, che ha 90 giorni di tempo per presentare dei progressi a riguardo. A eccezione degli usi medici, consumare cannabis in Thailandia potrebbe tornare a essere illegale entro la fine del 2024.