La terza via di difesa asiatica

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Si moltiplicano sigle e acronimi per le politiche nell’Indo-Pacifico. Ma mentre Cina e Stati Uniti cercano di consolidare la propria influenza in Asia, i Paesi del continente provano a ripararsi dalle conseguenze di questo antagonismo istituendo accordi bilaterali che aiutino a mantenere un certo grado di interoperabilità senza essere costretti a prendere apertamente le parti di una o dell’altra potenza

Articolo di Lucrezia Goldin

O con me, o contro di me. A meno di trovare una terza via per consolidare la difesa. Nella sempre più polarizzata competizione tra Cina e Stati Uniti, crescono i rapporti bilaterali in materia di sicurezza tra diversi paesi asiatici, che con un approccio fatto di singoli accordi di cooperazione militare provano a svincolarsi dal magnetismo di Washington e Pechino, sfruttando l’interoperabilità regionale come chiave per l’indipendenza dalle due potenze. Un approccio che operando senza fragore e senza evidenti finalità anti-Cina o anti-Usa (come invece vengono percepite alcune iniziative multilaterali come Quad e Aukus da parte cinese e Global Security Initiative da parte statunitense) si presenta nella forma di un’architettura alternativa che consente ai paesi asiatici di munirsi di strumenti di deterrenza senza il rischio di infastidire le due potenze.

Dal Giappone alla Corea del Sud, passando per Singapore e Filippine, gli scambi bilaterali in materia di tecnologie di sicurezza ed equipaggiamenti per la difesa mostrano un’Asia che preferirebbe non rimanere incastrata nel fuoco incrociato a colpi di acronimi altisonanti in corso tra Cina e Stati Uniti. Un muoversi nelle retrovie fatto di accordi apparentemente di secondo piano ma strategici, soprattutto se pensati come strumento di indipendenza a lungo termine dall’ottica dei grandi blocchi antagonisti.  

Capofila indiscusso di questa tendenza è il Giappone. Da diversi anni Tokyo sta provando a risollevare la propria industria della difesa e per farlo sta intensificando i rapporti con diversi paesi del Sud-Est asiatico. Già nel 2016 Giappone e Filippine firmavano un accordo per la difesa, con il quale Tokyo si impegnava a fornire equipaggiamento e tecnologia in ambito di sicurezza a Manila. Sotto la presidenza di Rodrigo Duterte poi, un aggiornamento dello stesso accordo nell’estate 2020 ha portato alla vendita di sistemi di controllo radar della Mitsubishi Electric al governo filippino, segnando la prima vendita di tecnologia di difesa di fattura totalmente giapponese verso un paese del Sud-Est asiatico. Con la Malesia esiste invece il Japan-Malaysia Defense Pact  del 2018, mentre sui rapporti con Indonesia e Vietnam l’attenzione dell’ex premier giapponese Yoshihide Suga ha portato alla firma di due accordi per il trasferimento di equipaggiamento e tecnologia per la difesa (rispettivamente a marzo e settembre 2021). Anche provando a non attirare troppo l’attenzione politica internazionale con questi accordi, l’obiettivo dichiarato di Tokyo è quello di promuovere la propria visione di un Indo-Pacifico “libero e aperto”. Visione confermata anche dal ministro della Difesa Kishi Nobuo lo scorso settembre durante una visita ad Hanoi, nella quale ha parlato della cooperazione con il Vietnam come di un intervento finalizzato a  “contribuire alla pace e alla stabilità della regione e dell’intera comunità internazionale”.

Su questo fronte anche il nuovo primo ministro Fumio Kishida non sta perdendo tempo. Lo scorso maggio il premier giapponese e il suo omologo thailandese Prayut Chan-o-cha hanno firmato un accordo per il trasferimento di equipaggiamento militare verso la Thailandia, seguito poco dall’annuncio del governo giapponese di voler riformare la normativa sull’export di materiali militari così da consentire l’esportazione di missili e caccia verso 12 paesi tra cui India, Vietnam, Thailandia, Malesia, Filippine e Australia a partire dal 2023.  Anche con Singapore, come annunciato durante un incontro a margine del summit asiatico sulla sicurezza, lo Shangri-La Dialogue, saranno presto avviati i negoziati per raggiungere un accordo sul trasferimento di equipaggiamenti e tecnologia per la difesa che includono anche le aree di sicurezza informatica e armi esplosive di natura chimica, biologica, radiologica e nucleare (CBRNE). Un Memorandum sugli scambi per la Difesa potenziato, firmato dai rispettivi ministri della difesa Kishi Nobuo e Ng Eng Hene, che va a integrare quello stipulato tra i due paesi nel 2009. L’obiettivo: muoversi verso “una cooperazione in materia di sicurezza più concreta”. Meno chiacchiere, più accordi. Senza Cina e Usa di mezzo.

Partecipazione attiva anche da parte dell’India, che con l’India Act East Policy ha creato piattaforme di dialogo e di esercitazioni marittime congiunte con Singapore e Thailandia, le SIMBEX e SITMEX, con la finalità di mantenere la sicurezza regionale. Alle Filippine Nuova Delhi ha fornito i suoi sistemi missilistici Brahmos e ha predisposto lo spostamento di diverse navi del comando orientale dell’India per favorire le esercitazioni bilaterali con la marina filippina. Anche con il Vietnam il dialogo è stato produttivo e privo dell’ingerenza statunitense o cinese. Nel 2016 tra Hanoi e Nuove Delhi veniva istituita una linea di credito di 500 milioni di dollari per l’acquisto di nuove piattaforme di difesa e oggi la maggior parte dei piloti vietnamiti viene formata presso le basi di addestramento indiane in cambio dell’accesso alle basi navali e aeree di Cham Ranh Bay. Con la Thailandia infine, l’India condivide obiettivi in ambito marittimo legati a tematiche quali pesca illegale, traffico di droga, contrabbando e pirateria, confermando un’interoperabilità che rimane forte tra i due paesi sia per i loro trascorsi storico-culturali che per i loro interessi comuni legati al confine marittimo nel Mar delle Andamane, punto di accesso fondamentale per il commercio nello Stretto di Malacca.

Anche la Corea del Sud ha dato segnali di voler aderire a questa strategia del “dietro le quinte”. L’amministrazione di Moon Jae-in aveva cominciato a intensificare i rapporti con India e paesi ASEAN tramite la New Southern Policy del 2017, senza riuscire però a concretizzare molti accordi e cooperazioni indipendenti dalle piattaforme di sicurezza già esistenti. Il caso della mancata partecipazione indonesiana nella realizzazione dei nuovi caccia Kf-X/IF-X ne è un esempio. Dopo un accordo di difesa tra Corea del Sud e Indonesia stipulato nel 2013, i due paesi hanno “riscontrato diverse complicazioni” nella realizzazione congiunta di nuovi equipaggiamenti, ma ad oggi mantengono buone relazioni e alla presentazione dei nuovi caccia coreani KF-X del 2021 era stato invitato anche il ministro della Difesa indonesiano Prabowo Subianto. Sempre nell’ambito degli incontri a margine del Shangri-La Dialogue invece, Singapore e Corea del Sud hanno aggiornato il loro Memorandum of Understanding in materia di cooperazione sulla difesa, aggiungendo tra le priorità di collaborazione la sicurezza informatica e la cooperazione marittima.

L’Asia si muove anche senza Cina e Stati Uniti, consapevole che una eccessiva dipendenza da una delle due parti in materia di sicurezza può rivelarsi controproducente. Per le dispute in essere con Pechino da una parte, per la recente imprevedibilità mostrata da Washington da Donald Trump in poi all’altra. Piccoli accordi in tempi di grandi patti multilaterali segnano quindi una terza via per provare a mantenere una stabilità regionale senza essere semplici pedine nel gioco di altri. Ma gli accordi cominciano a essere tanti. E se considerati come fili sottilissimi di una più ampia e distesa tela strategica, la formula dell’accordo bilaterale come mezzo inoffensivo di manovra potrebbe essere rimessa in discussione. 

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