De-carbonizzazione e transizione energetica sono temi di primo piano per i Paesi del Sud-Est asiatico. Qui la rivalità virtuosa tra Cina e Giappone si gioca a colpi di finanza green.
Il 7 maggio l’Asian Development Bank (ADB) ha annunciato l’interruzione di ulteriori finanziamenti a centrali elettriche a carbone, ad attività estrattive di combustibili fossili e a quelle di produzione ed esplorazione di petrolio e gas naturale. La notizia si inserisce nell’alveo della ADB’s Strategy 2030 pubblicata nel 2018, con la quale la banca si era impegnata a investire cumulativamente 80 miliardi di dollari in finanziamenti sostenibili tra il 2019 e il 2030.
Sin dalla seconda metà del diciottesimo secolo, l’umanità ha sistematizzato l’impiego di combustibili fossili per produrre energia. È lo sviluppo tecnologico che ha dato impulso alla seconda rivoluzione industriale in Europa, consentendo di realizzare il motore a vapore, che ha abbattuto i costi dei trasporti e iniziato a intessere le prime maglie di quella che sarebbe presto divenuta l’economia globalizzata. Il progresso umano continua ancora oggi a misurarsi in rivoluzioni: stavolta, però, tocca all’industria globale delle energie rinnovabili, e in generale a processi produttivi che limitino drasticamente il nostro impatto sul pianeta.
Per Paesi in via di sviluppo come le economie del Sud-Est asiatico si tratta di una sfida non da poco. Se da una parte sono aree particolarmente esposte ai disastri ambientali causati dai cambiamenti antropogenici del clima, dall’altra le economie del Sud-Est asiatico sono ancora in stadi di sviluppo poco avanzati, per quanto emergenti. Per questo gioca un ruolo cruciale la tensione tra scelte nazionali e imperativi internazionali di sostenibilità. Per governi e attività produttive il carbone resta infatti la fonte prediletta del mix energetico regionale. La domanda di elettricità cresce a ritmo sostenuto in mercati emergenti, per questo è prioritario per i governi garantirne l’offerta a prezzi accessibili. Esiste quindi un disallineamento tra le necessità politiche di stimolare la domanda interna rendendo al contempo competitivo il processo produttivo, e quelle di alcuni investitori stranieri che invece interrompono i finanziamenti ad attività che fanno uso di tecnologie obsolete. A questo proposito, Tim Buckley dell’Istituto per l’Economia energetica e l’Analisi finanziaria ha affermato che se queste banche smettono di finanziarlo, il carbone è morto: “Coal is not bankable without government subsidised finance”.
In effetti, l’ultimo rapporto annuale della International Energy Agency (IEA), pubblicato a inizio anno, sottolinea come l’ingente crescita demografica che travolgerà il Sud-Est asiatico nel prossimo futuro giocherà un ruolo cruciale nel plasmare le politiche energetiche globali. A questo proposito, l’Asian Development Bank aveva già previsto con l’ASEAN un piano di progetti infrastrutturali sostenibili nell’aprile 2019: l’ASEAN Catalytic Green Finance Facility, un meccanismo di finanza green in mano ai singoli governi regionali, focalizzato sullo sviluppo di progetti positivi per il clima, di cui l’ADB gestisce la struttura.
L’ADB non è l’unica ad aver puntato sul Sud-Est asiatico per i suoi investimenti sostenibili. La banca, di matrice giapponese, è chiamata a competere con la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) a guida cinese, istituto finanziario multilaterale adibito principalmente alla promozione di progetti infrastrutturali in Asia, “with sustainability at its core”.
Il ruolo della Cina nei programmi di de-carbonizzazione del Sud-Est asiatico è in realtà ambivalente. Come riportato da Channel News Asia, l’IEA sostiene che oltre l’80% della crescita dell’impiego di carbone proverrà dall’Asia, e tale crescita sarà trainata proprio dalla Cina. Per accelerare la ripresa post-pandemia i Pechino aveva tra l’altro incrementato l’utilizzo del carbone con l’intento di stimolare la sua economia, alimentando la domanda interna. D’altra parte, la Cina resta fedele alla prassi marxista per cui è bene servirsi degli strumenti materiali a disposizione dello status quo prima di compiere una rivoluzione, in questo caso energetica. I piani a medio termine della leadership prevedono una transizione ecologica ambiziosa, che punta a rendere il Paese carbon-neutral entro il 2060. Tim Buckley ha commentato, a questo proposito, che la Cina è leader in ogni settore industriale che è fondamentale per la de-carbonizzazione del mondo, e questo dovrebbe placare i timori occidentali circa l’affidabilità degli impegni assunti dal Partito-Sato.
Il sostanziale antagonismo tra Cina e Giappone sembrerebbe quindi indirizzarsi verso una competizione virtuosa nel Sud-Est asiatico, con l’enfasi su investimenti infrastrutturali sostenibili che si allinea con l’urgenza delle istanze ambientali nella regione. Per ragioni strutturali come quelle geografiche, economiche e politico-istituzionali, il Sud-Est asiatico rimane un contesto particolarmente esposto alle conseguenze della crisi climatica, aggravata dall’uso irresponsabile di risorse energetiche obsolete. Quindi per i governi nazionali di quest’area la tensione tra imperativi di crescita insostenibili e la dirompenza dei disastri ambientali resta una sfida storica. Ecco perché la finanza green può assumere il ruolo di game changer nella regione, per spostare l’ago della bilancia a favore di politiche e pratiche più sostenibili nel prossimo futuro.