Gli sfaccettati rapporti con Pechino e il rilancio dei legami con la Russia sono al centro della politica estera della giunta militare
Di Francesca Leva
La politica estera del Myanmar, che affonda le radici nella lotta del Paese per l’indipendenza e la neutralità geopolitica, ha un ricco significato storico. In quanto membro fondatore del Movimento dei Paesi Non-allineati nel 1961, il Myanmar ebbe un ruolo chiave fino a che il Gruppo non cominciò a spostare l’Alleanza verso i Paesi del Blocco dell’Est nel 1979. Nel 2008 la Costituzione ha ulteriormente solidificato l’impegno del Paese verso una politica estera “attiva, indipendente e non-allineata”. Perfino la decisione di unirsi all’ASEAN nel 1997, che segnò un allontanamento dalla tradizionale neutralità, fu una mossa strategica per bilanciare la pressione proveniente dalla Cina e dai Paesi occidentali.
Nel 2020 il Myanmar ha dato vita a un’ulteriore alleanza strategica con la Cina, contrassegnata dall’inaugurazione dall’inaugurazione del China – Myanmar Economic Corridor (CMEC), culminato dalla visita del Presidente Xi Jinping nel Paese del Sud-Est asiatico. Il CMEC si è ripromesso di essere una scelta strategica per entrambe le parti. Per la Cina, era un mezzo per avere accesso alla Baia del Bengala e all’Oceano Indiano, trasferire petrolio e gas tramite gasdotti attraverso il Myanmar alla provincia dello Yunnan, offrire nuove rotte per il trasporto di merci e garantire una fonte per l’importazione di materie prime. D’altra parte, per il Myanmar, il Corridoio era necessario per uscire dalla stagnazione economica degli anni passati. Tuttavia, il golpe militare del 2021 ha drammaticamente alterato gli equilibri. Prima del governo militare, Naypyidaw poteva ancora contare su attori terzi per controbilanciare le aspettative cinesi. A seguito del golpe, invece, il Myanmar si è trovato isolato, con investimenti diretti esteri in crollo e un’economia al collasso: questi fattori hanno dato a Pechino maggior potere nella relazione bilaterale.
La Cina ha storicamente rapporti profondi con tutte le componenti del Myanmar, da quelle civili a quelle militari. Non a caso, nel 2023 era riuscita a mediare una tregua, poi però interrotta da nuovi combattimenti. Gli interessi sfaccettati che Pechino ha in Myanmar contribuiscono alla politica estera ambigua nei confronti del Paese. Da un lato Pechino ha investito più di 35 miliardi di dollari statunitensi nei progetti infrastrutturali locali e vuole prevenire l’influenza occidentale, da cui il supporto al governo militare. Al contempo, Pechino vede i propri interessi di sicurezza in pericolo: vi sono più di 2.000 km di confini che il governo non è in grado di controllare e che rappresentano una minaccia per gli investimenti infrastrutturali di Pechino e sono, inoltre, veicolo di contrabbando, droghe, scam online e traffico di persone. La Cina si è di conseguenza rivolta alle milizie locali maggiormente in controllo dell’area.
Come conseguenza di queste dinamiche complesse, dal 2022 vi è stata una convergenza diplomatica ed economica tra Russia e Myanmar. Il Myanmar, strategicamente posizionato, funge da punto di accesso cruciale alle rotte marittime dell’Oceano Indiano e del Mar Cinese Meridionale per la Russia. In cambio, la Russia agisce come alleato di Naypyidaw, bilanciando parzialmente l’influenza di Pechino. L’importanza strategica del Myanmar per la Russia è un fattore chiave che sottolinea la significatività geopolitica delle alleanze in evoluzione nella regione. Nel maggio 2022, il Generale Min Aung Hlaing ha visitato la Russia per espandere la cooperazione energetica e difensiva del regime con Mosca. Da allora, la Russia ha fornito droni al Myanmar e ha posto un veto sulle dichiarazioni dell’ONU sul conflitto in Myanmar. Al Forum Economico Internazionale a San Pietroburgo nel giugno 2023, i due paesi hanno firmato accordi su progetti eolici, istituito voli diretti e concordato di potenziare il turismo. Il Myanmar ha inoltre acquistato 1,5 miliardi di dollari in equipaggiamento militare dalla Russia e ha discusso la possibilità di istituire un centro tecnologico a Yangon con la prospettiva della costruzione di un reattore nucleare su piccola scala.
Oltre la cooperazione economica e militare, vi è un evidente focus su progetti energetici congiunti tra i due Paesi. A seguito del golpe la produzione energetica in Myanmar è crollata del 47%, comportando carenze di elettricità e interruzioni di corrente in tutto il paese. Questo fenomeno è principalmente causato dall’uscita delle società e gli investitori esteri dal Paese a causa della situazione geopolitica. A causa del tasso di cambio sfavorevole importare energia è diventato economicamente proibitivo, obbligando il governo ad affidarsi agli impianti idroelettrici, controllati dagli EAOs – Ethnic Armed Organizations -. Le Organizzazioni Armate Etniche sono composte da diversi gruppi, ognuno dei quali rivendica il riconoscimento etnico, e che sempre più – sebbene non unanimemente – hanno unito le forze con il governo di Unità Nazionale (NUG) contro la giunta militare.
La crisi energetica in Myanmar, congiuntamente all’aumento del suo isolamento internazionale, sta costringendo il Paese a creare nuove alleanze strategiche e a trovare nuovi partner per bilanciare il peso politico ed economico della Cina, rilanciare la sua economia e ottenere supporto geopolitico all’interno dell’arena internazionale.