Sotto il regime preferenziale EBA (Everything But Arms), l’UE azzera i suoi dazi per i Paesi in via di sviluppo che si impegnano nella promozione dei diritti umani e politici. Ma Bruxelles ha spesso soprasseduto in modo pragmatico, anche col Myanmar. La Cambogia, che si appresta alle elezioni del 23 luglio, è un’eccezione.
Il 12 febbraio 2020, la Commissione Europea ha sospeso parzialmente il regime commerciale EBA (Everything But Arms, “Tutto tranne le armi”) accordato alla Cambogia a causa delle violazioni dei diritti civili e politici da parte del Paese guidato da Hun Sen. La scelta di Bruxelles non ha praticamente precedenti e, ad oggi, la Cambogia è l’unico Paese al mondo colpito da tale provvedimento. Persino il Myanmar post-golpe gode ancora dell’EBA, nonostante molti osservatori e ONG chiedano alla Commissione di intervenire in modo simile contro il regime del Tatmadaw. La revoca dell’EBA è ancora in vigore e la scelta europea rivela che le relazioni, politiche e commerciali, tra il blocco e il Paese asiatico non godono di buona salute. Ma, nel complesso scacchiere del Sud-Est asiatico, Bruxelles e Phnom Penh devono osservare le mosse degli altri giocatori e mantenere un approccio pragmatico, se non vogliono finire in un angolo.
Per capire la portata della misura della Commissione, occorre prima conoscere le caratteristiche di questo strumento di politica commerciale. L’EBA è uno dei tre regimi del GSP (Generalised Scheme of Preference, in italiano Sistema di Preferenze Generalizzate), nonché il più vantaggioso. Gli altri due sono il GSP “semplice” e il GSP+. I regimi GSP concedono ai paesi in via di sviluppo maggiore accesso al mercato UE, riducendo in modo consistente i dazi su merci esportate verso l’Unione. L’EBA permette ai suoi beneficiari di esportare in UE senza quote e dazi quasi tutti i prodotti, “eccetto le armi”. Il Sistema ha due obiettivi: da un lato, stimolare lo sviluppo economico dei partner; dall’altro, promuovere in questi Paesi il rispetto dei diritti. Diritti in senso ampio: umani, politici, sindacali e anche ambientali. Questa seconda finalità si realizza attraverso un meccanismo di “condizionalità”: uno Stato può accedere al GSP+ o all’EBA se si impegna a ratificare e attuare concretamente una serie di convenzioni internazionali; ad esempio quelle ONU sui diritti umani e l’ambiente, o quelle dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL/ILO) sulle condizioni di lavoro e la libertà sindacale. Se il partner non si impegna in questo senso o, addirittura, si muove in senso contrario, l’UE può sospendere il regime di preferenze, portando a un immediato aumento dei dazi sulle merci che provengono da quel Paese.
Prima della Cambogia, l’UE aveva revocato un paio di volte il regime GSP e GSP+ tra 1997 e 2010, ma mai l’EBA. La scelta di Bruxelles è arrivata in risposta alla durissima repressione dell’opposizione da parte del regime di Hun Sen, particolarmente intensa a partire dal 2017. Dopo lo scioglimento per via giudiziaria del principale partito d’opposizione, il Partito della Salvezza Nazionale della Cambogia, nel 2017, tutti i suoi membri sono stati prima espulsi da ogni livello delle istituzioni cambogiane e poi arrestati, costretti all’esilio e, in alcuni casi, persino assassinati in circostanze poco chiare. Prima di prendere tale drastica decisione, Bruxelles aveva indicato a Phnom Penh alcune misure urgenti da attuare per tutelare l’opposizione, ricevendo un secco rifiuto dal Governo cambogiano. Hun Sen aveva risposto beffardo a Bruxelles, minimizzando l’importanza del supporto europeo e confondendo se stesso con l’intero Paese: “Non provate a spaventarmi. Non minacciatemi. Non minacciate la Cambogia tagliando gli aiuti allo sviluppo”.
In effetti, i rapporti commerciali tra UE e Cambogia, anche se buoni, hanno un’importanza relativa per entrambe le parti. Cina (23.4% degli scambi), Stati Uniti (15.5%), Giappone e il resto dell’ASEAN sono partner più stretti di Phnom Penh, con l’UE che complessivamente si piazza al quinto posto (9%). Ciononostante, il tono sprezzante e l’affettata sicurezza di Hun Sen stridono con l’importanza che l’UE ha per lo sviluppo del Paese e l’effettiva preoccupazione degli apparati cambogiani rispetto alla revoca dell’EBA. Nei mesi precedenti alla decisione, sia i rappresentanti cambogiani sia le lobby dei gruppi industriali più presenti nel Paese (in particolare, le aziende dello sportswear e delle biciclette) si erano dati da fare per provare a dissuadere la Commissione. E anche tra gli apparati europei c’erano prospettive differenti sulla linea da prendere. Infatti, sul piano commerciale, l’EBA liberalizza il commercio internazionale “a senso unico”, ossia favorisce l’export dalla Cambogia verso l’UE, ma non viceversa. Alcune aziende europee però ne traggono beneficio. Stabilire la produzione in Cambogia portava a un doppio risparmio: manodopera a basso costo e nessun dazio. La sospensione dell’EBA spinge perciò tali aziende a investire altrove. Non tanto per dissenso verso le politiche di Hun Sen, ma, più prosaicamente, per mantenere “efficienti le catene di approvvigionamento globali”.
Sul piano più squisitamente politico, la situazione si complica ulteriormente. Bruxelles deve tenere insieme due esigenze contrapposte. Da un lato, mantenere la credibilità del GSP e, più in generale, della sua politica commerciale orientata allo sviluppo sostenibile. Ignorare gli allarmanti sviluppi in Cambogia e continuare business as usual potrebbe sembrare ipocrita… Anche se, forse, l’UE dovrebbe prendere provvedimenti simili anche verso altri Paesi per rimanere coerente. Limitandosi al GSP, ci sono molti casi di violazioni dei diritti umani, ma tutti i Paesi “controversi” hanno beneficiato di una certa flessibilità da parte europea. Tutti tranne la Cambogia. Dall’altro lato, tagliare i legami commerciali e rendere esplicita una dura condanna politica potrebbe non avere l’effetto desiderato di promuovere i valori democratici nel Paese, ma, al contrario, potrebbe spingerlo verso altri partner “meno esigenti” che forniscono aiuti senza condizionalità. Anche su questo, Hun Sen è stato abbastanza diretto: “La Cina non mi ha mai dato preoccupazioni e non ha mai minacciato né ordinato di fare qualcosa alla Cambogia. Anche gli altri partner non dovrebbero minacciare la Cambogia”.
Anche queste parole nascondono le reali preoccupazioni della leadership cambogiana. Per Phnom Penh dipendere troppo dall’ingombrante vicino potrebbe diventare un problema, quindi è meglio seguire una sorta di “politica dei due forni”: approfittare degli aiuti (per ora) senza condizioni della Cina, ma cooperare anche con Stati Uniti e i loro alleati, in modo da “diversificare” le fonti di sostegno economico e legittimazione politica. In questo senso, è interessante osservare la postura cambogiana riguardo alla guerra russo-ucraina, nettamente pro-Kyiv. Questo riavvicinamento a Washington potrebbe spingere i Paesi liberal-democratici a chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani e politici in nome della realpolitik. Il pragmatismo potrebbe anche aiutare a riavviare un dialogo tra UE e Cambogia. Per il momento, Bruxelles mantiene la linea dura, ma potrebbe riconciliarsi con il Paese asiatico in futuro. Forse non in nome dei diritti, ma del pragmatismo.