Il complesso rapporto tra ASEAN e Cina

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Mentre crescono le interazioni sul fronte economico, si intravede il rischio dell’egemonia commerciale cinese nella regione

Le politiche di buon vicinato sono diventate la priorità del governo cinese per gli anni a venire. Per aggirare l’isolamento diplomatico tentato da Washington, Xi Jinping si è concentrato sul rafforzamento dei legami economici con i Paesi del Sud-Est asiatico, oggi la più importante rampa di lancio per la proiezione globale della Cina. Ne è la conferma la recente visita del Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in Myanmar, Indonesia, Brunei e Filippine. Durante questo mini tour dell’ASEAN, Wang Yi, ha ribadito più volte l’importanza di una cooperazione rafforzata nell’Indo-pacifico, rivolta al superamento dell’emergenza sanitaria ma soprattutto al coordinamento con la Belt and Road Initiative (BRI), l’imponente iniziativa cinese destinata a migliorare i collegamenti infrastrutturali con l’Eurasia.

Storicamente i rapporti tra Pechino e l’ASEAN non sono sempre stati idilliaci. Si può dire, però che dagli anni ’90 vi sia stato un progressivo avvicinamento economico e diplomatico tra le parti, culminato nell’accordo di libero scambio del 2002. Da allora la Cina non ha smesso di corteggiare l’ASEAN e gli altri Paesi dell’indopacifico per consolidare ulteriormente la cooperazione economica. Da ultimo, nel 2020, dopo otto anni di negoziati, è stata siglata la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), un accordo storico che ha dato vita al blocco commerciale più grande al mondo, capace di sovvertire gli equilibri economici del pianeta. I firmatari sono i 10 membri dell’ASEAN più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, ma non gli Stati Uniti, la cui esclusione è un segnale evidente della loro perdita di peso strategico nella regione.

La tempistica dell’accordo non è casuale; ricalca le conseguenze della crisi sanitaria ed economica che ha colpito il mondo intero, eccezion fatta per la Cina, unico Paese del G20 in crescita nel 2020. Da tempo, infatti, Pechino spingeva per una più profonda interconnessione economica con i Paesi del Sud-Est asiatico. Questa tendenza alla cooperazione regionale privilegiata è stata confermata dalla crescita continua, nonostante l’emergenza sanitaria, dello scambio tra Pechino e i Paesi ASEAN, che sono diventati i maggiori partner commerciali della Cina, sorpassando di gran lunga l’Unione Europea. Se, infatti, il commercio è aumentato del 7% rispetto agli anni precedenti anche gli investimenti bilaterali hanno segnato un notevole incremento, attestandosi al +58% rispetto al 2019

Tuttavia c’è, per così dire, un rovescio della medaglia: la capacità di ripresa di Pechino dalla pandemia in anticipo rispetto al resto del mondo, con una prospettiva di crescita dell’8% nel 2021, in aggiunta alla maggiore influenza commerciale nel Sud-Est asiatico acquisita grazie alla RCEP, potrebbe rendere i Paesi dell’ASEAN sempre più dipendenti dalle esportazioni e dagli investimenti esteri dell’ingombrante vicino di casa. Specialmente dopo la decisione dell’India di abbandonare i negoziati, la Cina si configura come l’attore principale dell’accordo. Ciononostante, i vantaggi sono numerosi; sfruttando la complementarità dei diversi sistemi economici, i Paesi dell’ASEAN, con il supporto degli altri membri, riusciranno a sviluppare più agilmente le catene del valore regionali,  diventando una destinazione privilegiata per gli investimenti diretti esteri, soprattutto nipponici e sudcoreani, riequilibrando dunque l’influenza cinese. Ciò garantirà l’incremento della capacità industriale dei Paesi ASEAN e, nel lungo periodo, anche una probabile diminuzione del divario del reddito medio nella regione. 

In realtà, la propensione a riallocare gli investimenti verso i Paesi ASEAN non è  una novità; già da alcuni anni, infatti, si è registrata una crescita degli IDE provenienti da Giappone, Corea del Sud e Taiwan superiori alla quota indirizzata dagli stessi Paesi verso Pechino. Ciò è principalmente dovuto all’aumento del costo del lavoro in Cina, ma anche alla necessità di differenziare le catene di produzione in seguito allo scontro commerciale tra Washington e Pechino. È infatti in aumento la tendenza a riconsiderare la centralità economica dell’ASEAN; grazie anche all’efficace contenimento dell’emergenza sanitaria, quest’area non ha registrato importanti deficit economici e commerciali. Peculiare è il caso del Vietnam, che con un Pil del 2,6% maggiore rispetto al 2019 si conferma l’unica nazione asiatica, insieme alla Cina, ad aver presentato una crescita economica costante durante l’emergenza sanitaria. Ma non è tutto; nel 2021 è previsto l’incremento delle economie di tutta la regione, in particolare per l’Indonesia (+6,1%), la Cambogia (+6,8%), le Filippine (+7,4%) e la Malesia (+7,8%).

In conclusione, l’asse mondiale si sta spostando verso est. Pechino ne è consapevole e non esita a sfruttare la sua posizione privilegiata per ritagliarsi un ruolo di primo piano nel nuovo scenario, conducendo con sé i Paesi dell’ASEAN. Per il Sud-Est asiatico, l’obiettivo sarà cercare un delicato equilibro per garantirsi il suo spazio e attirare investimenti, senza accrescere troppo l’influenza cinese nella regione. 

A cura di Emilia Leban

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