L’aumento dei prezzi del carburante è il primo vero shock che gli unicorni asiatici devono affrontare. Un circolo vizioso che sfida la resilienza della gig-economy made in ASEAN
Anche nei paesi ASEAN l’inflazione non perdona. Soprattutto se il tuo modello di business ha sempre puntato sullo hype degli investitori e la convenienza per i consumatori. È quanto sta accadendo al gigante del ride-hailing Grab, ex unicorno oggi situato a Singapore e salita agli onori dell’indice Nasdaq. La mannaia sui prezzi del carburante, in particolare, sta mettendo a dura prova le entrate dell’azienda in tutta la regione. Il core business di Grab, infatti, sono il food delivery e i servizi taxi, entrambi dipendenti dall’uso di automobili e scooter.
Secondo il CEO e co-fondatore dell’azienda Anthony Tan “l’offerta di mobilità di Grab si stabilizzerà nella seconda metà dell’anno”. La soluzione? Incentivi per i lavoratori e la speranza che il mercato si riprenda. Un messaggio che prende tempo con gli investitori, ma che non rassicura i clienti: “”È stato così difficile trovare un’auto ultimamente, si arriva fino a mezz’ora di attesa”, lamenta un utente premium a Rest of World. Se in Occidente stiamo assistendo a un aumento dei lavoratori nella gig economy, perlopiù dipendenti che cercano di sbarcare il lunario con qualche entrata extra, in Asia – dove questo mercato è ancora acerbo, anche se in crescita – la professione diventa invece meno appetibile. Il fenomeno, infatti, si era invece rivelato un’alternativa valida ad altri impieghi tradizionali e molto redditizia. Ma i recenti shock hanno cambiato le carte in tavola.
L’inflazione colpisce i paesi ASEAN
Oggi un fattorino nelle Filippine spende il 67% in più per il carburante rispetto a febbraio, mentre le entrate sono minacciate dal generale rigonfiamento dei prezzi. In Malaysia si stima che i prezzi dei viaggi durante le ore di punta siano aumentati fino al 400%. Anche chi si affida ai servizi di delivery oggi trova tutto più costoso. Non solo sono aumentati i prezzi per le materie prime – a questo si aggiungono i cataclismi che stanno facendo alzare, per esempio, il prezzo del caffè filippino – ma anche le commissioni iniziano a diventare troppo onerose per le piccole realtà imprenditoriali
Dal punto di vista dei clienti, senza i vantaggi economici di prima anche il servizio taxi perde di appetibilità. Come rivela uno studio sulle tendenze del ride-hailing nel Sudest asiatico, l’utilizzo ai mezzi con conducente è spesso una valida alternativa per i pendolari per studio o lavoro. Una tendenza piuttosto comune a Manila, dove le app di ride-hailing permettono di evitare il caos (anche in termini di disservizi) della metro. In Indonesia sono i mezzi pubblici sovraffollati e radi che spingono gli utenti alle app per prenotare un taxi. Curioso, infine, che le ricerche nell’area abbiano rilevato come, in mancanza di questi servizi, molti clienti tornerebbero semplicemente…a muoversi a piedi. Secondo gli studi per la mobilità sostenibile esiste un limite, stimato tra i 2 e i 5 km, che non giustificherebbe l’utilizzo dell’auto come mezzo principale di trasporto: un possibile punto a sfavore del traffico in quelle città asiatiche dove è sempre più urgente imporre delle limitazioni alle emissioni climalteranti. E, dunque, un’altra sfida nell’orizzonte della mobilità modello Uber.
Non che i governi ASEAN siano mai stati aperti all’ingresso di Grab sui loro mercati. La concorrenza impari contro i taxi e i contratti con poche (o nulle) garanzie per i lavoratori sono solo alcuni dei fattori che impediscono un rapporto sereno tra queste aziende e le autorità regolatorie. Il sistema si è dimostrato fragile ai momenti di crisi e non è ancora chiaro se le strategie adottate riusciranno a tamponare il deficit fiscale.
Il circolo vizioso della gig economy
Meno entrate, più costi. Meno lavoratori, più disservizi. Grab non è in realtà l’unica compagnia a trovarsi incastrata nella trappola degli unicorni tech. Anche l’indonesiana Go-Jek deve fare i conti con prezzi alle stelle, pur resistendo grazie al forte supporto di Jakarta e dei clienti che vedono nella compagnia un baluardo di progresso made in Indonesia. FoodPanda è a sua volta vittima della corsa al ribasso tentata per penetrare nell’impero di Grab, tanto che oggi la strategia di espansione in Asia si è fatta più cauta mentre l’azienda cerca nuovi porti altrove (per esempio nell’Est Europa).
Il modello di espansione di Grab nel Sudest asiatico è stato spesso definito come “aggressivo”. La startup è riuscita a penetrare nei mercati della regione grazie ai prezzi competitivi, alla flessibilità delle condizioni lavorative e qualche lacuna normativa. In più, non è mai mancato il sostegno degli investitori, che hanno permesso all’azienda di passare da unicorno a leader del ride-hailing in meno di dieci anni. Tra il 2013 e il 2014, Grab è entrata nelle Filippine, in Thailandia, in Vietnam e Indonesia, battendo la multinazionale Uber nel giro di pochi mesi. Nel 2021 la società è stata quotata in borsa per un valore di oltre 40 miliardi di dollari e le azioni sono subito aumentate del 21%. Ma non è tutto oro quel che luccica: l’azienda afferma che non prevede di fare profitti entro il 2023 e l’attuale crisi dei consumi potrebbe allontanare ulteriormente questo orizzonte.
Le ambizioni di Grab, e le sue promesse, rimangono alte: vorrebbe estendere a tutti i paesi dove opera anche i servizi più avanzati, come le assicurazioni e i pagamenti digitali (attualmente riservati solo ad alcune località). E spera di superare questo inverno inflazionistico con dei sussidi che trattengano i lavoratori e non facciano crollare la qualità del servizio. Soprattutto, le tariffe devono rimanere estremamente competitive – come suggeriscono gli studi sulle preferenze dei consumatori asiatici. Una serie di sfide, quelle del 2022, che mettono alla prova un intero (nuovo) modo di fare business e la cui sopravvivenza potrebbe determinare la riscrittura delle regole del fare impresa.