Il figlio dell’ex dittatore di Manila ha dichiarato di essere a favore di una “politica estera indipendente”, usando un’espressione coniata da Duterte, traducibile in un’ambiguità strategica dalle sfumature filo-cinesi
Articolo di Lucia Gragnani
Si è conclusa l’era di Rodrigo Duterte alla presidenza delle Filippine. Dopo sei anni, caratterizzati dalla lotta alla droga sul piano domestico e da una politica ambigua a livello internazionale, l’ex-presidente si è ritirato ufficialmente dalla vita politica. Con le elezioni di maggio 2022, gli è subentrato Ferdinand Marcos Jr. detto Bongbong. Nonostante la storia truce della famiglia Marcos, segnata da 14 anni di dittatura militare a guida del padre Ferdinand Marcos, Bongbong è riuscito a portare a casa una vittoria senza precedenti dai tempi della fine della dittatura.
I 90 giorni di campagna elettorale, caratterizzati da uno sforzo di stampo orwelliano per riabilitare l’immagine della famiglia Marcos, hanno dato i loro frutti. Con Sara Duterte alla vicepresidenza, le elezioni del 2022 si sono confermate una vittoria per le dinastie politiche filippine e un autogol per la democrazia di Manila.
Durante la sua campagna elettorale, Duterte aveva dichiarato prioritarie le questioni del Mar Cinese Meridionale, mettendole a dettare i rapporti con la Cina. In realtà, i rapporti tra Filippine e Cina si sono sviluppati in modo relativamente positivo, con Manila rivolgendo lo sguardo strategico più verso Pechino e meno verso Washington nei primi anni di presidenza.
La politica estera del neoeletto Marcos si presenta della stessa matrice. Anche lui ha infatti dichiarato di essere a favore di una “politica estera indipendente”, usando un’espressione coniata da Duterte, traducibile in un’ambiguità strategica dalle sfumature filo-pechinesi. In campagna elettorale, Bongbong ha annunciato di voler intensificare i rapporti bilaterali con la Cina, e di voler negoziare un accordo per superare le dispute nel Mar Cinese Meridionale, in stallo dall’arbitrato del 2016.
Il tribunale, interpellato nel 2013 dalle Filippine contro la Cina al tribunale della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), aveva dichiarato le rivendicazioni storiche di Pechino come illecite, e denunciato il comportamento belligerante della Cina nel Mar Cinese Meridionale. Il risultato, visto dalle Filippine come una vittoria, era stato prontamente rifiutato dalla controparte.
Le controversie riguardanti la sovranità sulle formazioni del Mar Cinese Meridionale rimangono l’ostacolo principale nei rapporti tra Manila e Pechino, e hanno contribuito a rendere Duterte più amichevole nei confronti di Washington durante gli ultimi anni di presidenza. Tra i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) che rivendicano le acque e le isole di questo bacino marittimo, le Filippine e il Vietnam sono i più esposti al confronto con la Cina.
Ad aprile Manila e Washington hanno condotto l’esercitazione militare più massiccia degli ultimi sette anni. Il Balikatan, in tagalog “spalla a spalla”, ha mobilitato circa 9 mila membri tra personale militare filippino e americano nell’area di Luzon. Oltre agli Stati Uniti, un altro partner strategico è l’India, paese rivale di Pechino, con cui le Filippine hanno tenuto esercitazioni navali nel Mar Cinese Meridionale nel 2021.
Per attenuare le tensioni tra ASEAN e Pechino, il 2022 dovrebbe vedere la firma dell’atteso Codice di condotta per il Mar Cinese Meridionale. Il documento ha lo scopo di ridurre le probabilità di conflitto tra le parti, creando una linea guida per il comportamento degli stati nelle acque contese. Tra le conseguenze, avrebbe anche il facilitare l’esclusione dei paesi terzi dal dibattito, principalmente Stati Uniti e India.
L’impegno di Washington nell’Indo-Pacifico, intensificatosi negli ultimi mesi, getta dubbi sul rispetto della scadenza del 2022. La presenza delle Filippine (e di altri paesi ASEAN) all’interno dell’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF) riduce la probabilità che il codice di condotta venga reso giuridicamente vincolante, e contribuisce a rendere la politica estera di Marcos ulteriormente ambivalente.