Articolo a cura di Sabrina Moles
Cinque Paesi ASEAN (Indonesia, Malesia, Vietnam, Thailandia e Filippine) hanno incluso lo sviluppo dell’energia nucleare civile nelle strategie di sviluppo dei prossimi anni
La sicurezza energetica nei Paesi ASEAN è un problema urgente per la loro strategia di sviluppo. La necessità di rispondere alle sfide per l’energia di domani è, inoltre, sempre più legata a doppio filo alla questione climatica e all’obbiettivo emissioni zero. In questo complesso quadro politico, economico e sociale si fa avanti un’opzione mai presa in considerazione dal gruppo fino agli ultimi anni: l’energia nucleare.
I Paesi ASEAN stanno raggiungendo gli altri Paesi nella corsa alle energie di nuova generazione, finanziando progetti ambiziosi per le rinnovabili. Così l’ASEAN punta a creare un ecosistema di collaborazione, confronto e crescita per il settore energetico, strategia che ora cerca di trasferire anche al settore nucleare. Tra i fattori determinanti emerge soprattutto la domanda energetica dei Paesi della regione, che dal 2000 è aumentata dell’80%. A questo si unisce la ricerca di fonti energetiche alternative e meno inquinanti, proprio perché la rapida crescita dei consumi ha anche dato la spinta alle emissioni con conseguenze dirette anche sulla salute pubblica. Si stima che negli stati ASEAN moriranno per causa delle emissioni nocive più di 650 mila persone all’anno entro il 2040, rispetto alle circa 450.000 vittime del 2018. Spinti da esigenze ambientali, economiche e sociali la regione ha registrato uno dei più promettenti tassi di crescita nel settore delle rinnovabili. I piani dei Paesi ASEAN sono ambiziosi, e puntano a far salire la quota delle energie rinnovabili al 70% sul totale del mix energetico. Ma per raggiungere l’obbiettivo delle emissioni zero servirà uno sforzo importante: per questo motivo, il nucleare appare come una soluzione coerente con gli obbiettivi del gruppo.
La crisi post-Covid ha portato i governi a ripensare la strategia di sviluppo energetico con maggiore pragmatismo, facendo rientrare nel calcolo anche l’opzione nucleare. Gli impianti sono sempre più longevi: in pochi anni si è passati da stime intorno ai 40 anni di vita degli impianti per arrivare a calcoli, più ottimisti, che raggiungono i 90-100 anni. L’impatto ambientale del nucleare in rapporto all’efficienza giustificherebbe ulteriormente gli investimenti in questo settore. Secondo l’ASEAN Centre for Energy (ACE), il nucleare ha la stessa impronta climatica dell’eolico, quando vengono calcolate anche le emissioni del processo di estrazione delle materie prime, la manutenzione e lo smantellamento delle infrastrutture. Un altro elemento chiamato in campo è il cosiddetto fattore CF (fattore di capacità). Questo misura il rapporto tra energia generata ed energia generabile, offrendo un quadro dell’affidabilità di una fonte energetica, quanto effettivamente è l’output prodotto in base alle potenzialità. Stando ai calcoli dell’Energy Information Administration (EIA) degli Stati Uniti il CF dell’energia nucleare ha toccato il 93,5% nel 2019, un valore molto più alto di tutte le altre fonti di energia. Cifre che in questo caso raggiungono al massimo il 52% con l’eolico, mentre crollano al 21% per il solare.
Per le nazioni ASEAN c’è un forte interesse a promuovere l’energia nucleare, che è stata sempre – anche prima della pandemia – “sottovalutata”. Per questa ragione i piani promossi dal gruppo dei Paesi del Sud-Est asiatico prevedono una precisa roadmap per implementare i progetti per l’energia nucleare nella regione. Un elemento interessante, che ricorre spesso nel Memorandum of Understanding firmato a marzo 2021 con la World Nuclear Association (WNA), è la questione dell’accettazione pubblica. Alla cosiddetta “alfabetizzazione” dei cittadini sul tema del nucleare sono dedicati alcuni paragrafi del capitolo sul nucleare nel documento per la fase II dell’APAEC (Piano d’azione e cooperazione energetica ASEAN) per il 2021-2025. In Asia le preoccupazioni sul nucleare sono arrivate dopo l’incidente all’impianto di Fukushima-Daiichi, seguite da un’ondata di dichiarazioni da parte dell’Occidente sulla recessione dal nucleare. Stati come Germania, Belgio, Spagna e Regno Unito hanno già dichiarato da tempo che desiderano spegnere i reattori entro il 2030. Ciononostante, la tendenza non è globale, anzi. Sono altrettanti i Paesi che stanno intraprendendo nuovi progetti, dal Medio Oriente (Emirati Arabi Uniti, Egitto, Iran) all’Asia, passando per la Russia.
Per avviare la nuova strategia non servirà solo la comunicazione, si evince dal documento sulla fase II, ma occorreranno altre forme di preparazione antecedenti l’inizio dei cantieri. Tra questi, la creazione di una solida base conoscitiva del mondo dell’energia nucleare e degli standard di sicurezza internazionali. Qui entrano in campo attori più importanti sulla scena, che hanno permesso all’ASEAN di affidarsi anche alla cooperazione internazionale per progettare il suo futuro nucleare. Dal 2016 è iniziata una collaborazione con il governo del Canada nel quadro del progetto “ACE-Canada”. Dal lavoro congiunto è emerso il primo vero studio di fattibilità per l’energia nucleare nei paesi Asean. Rilasciato nell’aprile del 2018, il report dà un quadro generale dello stato del capitale umano ed economico a disposizione dell’ASEAN per lanciare un programma di sviluppo energetico. La collaborazione con l’estero permette di inquadrare gli obbiettivi del gruppo in un’ottica di condivisione delle competenze non solo da un punto di vista tecnico, ma anche come capacità in ambito legislativo, di adattamento delle politiche locali e della comunicazione dei rischi e dei benefici.
Metà dei Paesi ASEAN hanno sufficienti conoscenze e risorse per avviare dei piani di nucleare civile. Indonesia, Malesia, Vietnam, Thailandia e Filippine vengono identificati come l’avanguardia anche per i quadri normativi avanzati, la capacità di costruire infrastrutture nucleari e la formazione di risorse umane competenti sui diversi aspetti progettuali (ma non solo). Questi cinque Paesi hanno già incluso l’elemento nucleare nelle loro strategie di sviluppo dei prossimi anni. Le Filippine puntano ad attivare la centrale nucleare di Bataan, nel nord del Paese, e mai operativa sin dalla sua costruzione terminata nel 1984. La scelta del nucleare di allora era nata durante lo shock petrolifero del 1973 come strategia di sicurezza energetica e oggi ritorna per rispondere sia a rischi sistemici sul mercato energetico, sia per allinearsi agli obbiettivi globali per il clima. La prima centrale indonesiana è programmata per entrare in funzione nel 2030, insieme ad altre due che arriveranno nel 2035. Anche Malesia e Thailandia guardano alla stessa scadenza: tra tutti la Malesia risulta il Paese più preparato al salto verso il nucleare, grazie alla collaborazione efficace tra governo e l’ente responsabile del programma per l’energia nucleare, la Malaysian Nuclear Power Corporation.
Non è esclusa l’opzione nucleare anche per Laos, Cambogia e Myanmar. Questi Paesi hanno intrapreso degli accordi in merito con la Russia, anche se per ora prevalgono i progetti per idroelettrico e solare con la Cina. Questa scelta avviene anche fronte della disponibilità di capitali cinesi destinati a questi progetti, mentre le centrali nucleari hanno importanti costi iniziali per la loro costruzione che frenano le ambizioni dei governi. Ciò non esclude che prossimamente la commercializzazione dei reattori cinesi raggiunga anche i vicini a sud, soprattutto per il potenziale dei cosiddetti Small modular reactors su cui la Cina sta puntando nella sua strategia di apertura sui mercati dell’energia globali. Brunei e Singapore sono le due grandi incognite del nucleare targato ASEAN, anche se nella metropoli-stato asiatica si sta lavorando per sviluppare un know-how di rilievo nel settore della sicurezza nucleare, e l’autosufficienza sostenibile sembra diventato il nuovo imperativo della fase post-pandemica.