Hanoi è riuscita a ritagliarsi un ruolo fondamentale per l’economia globale, sfruttando la sua posizione unica tra Cina, Sud-Est asiatico e Occidente
By Francesca Leva
Nell’attuale momento di frammentazione geopolitica, siamo portati a concepire gli assetti economici in un’ottica binaria e mutualmente esclusiva: o alleati di Pechino, o alleati di Washington. In questo contesto, uno Stato che intrattiene rapporti economici con uno che segue una traiettoria politica divergente, è uno stato a rischio.
Non deve essere necessariamente così. Vi sono infatti Paesi che sono stati negli ultimi anni in grado di navigare le fratture geopolitiche e beneficiare della possibilità di commerciare con plurimi partners: questo approccio li ha anzi resi resilienti vis-a ’-vis le ostilità politiche e commerciali, rendendoli beneficiari di flussi di investimenti diversificati. Questi Paesi vengono chiamati “connector economies”, e tra i più prominenti figurano Vietnam, Indonesia, Polonia, Messico e Marocco. Le connector economies a loro volta si suddividono lungo due linee: “connectors” tra diversi Paesi – quali il Vietnam, che si posiziona come interlocutore sia di Cina che di Stati Uniti – e connettori tra diversi tipi di transazioni economiche – il Messico -.
Il successo delle connector economies in un periodo così turbolento sta nella capacità mantenere una politica estera bilanciata rispetto alle politiche di friendshoring e reshoring cinesi e statunitensi, al contempo sviluppando le capacità economiche e le infrastrutture necessarie per attrarre investimenti di tipo greenfield, beni e servizi e tradurli in capacità di export. Gli allineamenti geopolitici hanno infatti fortemente contribuito alla riconfigurazione dei flussi di investimenti globali: nel 2000 gli FDI – foreign direct investments, o IDE – contribuivano al 3,3% del PIL globale, negli ultimi cinque anni solo al 1,3%. In termini assoluti, gli investimenti diretti esteri sono aumentati modestamente: nel 2023 i flussi globali di IDE hanno raggiunto un valore stimato di 1,3 trilioni di dollari, il 3% in più rispetto al 2022. La frenata degli IDE ha però colpito in modo sproporzionato i paesi emergenti e in via di sviluppo: flussi di IDE verso i paesi sviluppati sono aumentati del 29%, raggiungendo i 524 miliardi di dollari, mentre i flussi verso i paesi in via di sviluppo sono diminuiti del 9%, arrivando a 841 miliardi di dollari. A titolo esemplificativo, tra il 2019 e il 2023, gli FDI dagli Stati Uniti verso la Cina sono scesi da una quota del 5,2% del totale, al 1,8%. Al contrario, le quote di FDI statunitensi verso paesi più allineati dal punto di vista geopolitico sono aumentate: di quattro punti percentuali verso l’India; di 3,4 punti percentuali verso gli Emirati Arabi Uniti; di 2,2 punti percentuali verso il Messico; e di circa un punto percentuale verso diversi Paesi del Sud-Est asiatico come la Malaysia, le Filippine e il Vietnam. Similmente, anche gli FDI provenienti dalla Cina verso i Paesi occidentali sono diminuiti da un picco di 196 miliardi di dollari – 1,9% del PIL – nel 2016 a 146 miliardi di dollari – 0,8% del PIL – nel 2022 e hanno sempre maggiormente favorito le nazioni Asiatiche e sud-est Asiatiche, peraltro beneficiarie degli investimenti facenti capo alla Belt and Road Initiative.
In questo contesto di riconfigurazione dei rapporti commerciali, basti pensare che le connector economies rappresentano il 4% del prodotto interno lordo globale, eppure hanno attratto più del 10%, ovvero 550 miliardi di dollari, di tutti gli investimenti greenfield dal 2017. Se è vero che questo ci permette di guardare al decoupling tra Pechino e Washington sotto una nuova ottica, è altresì vero che l’allungamento e la frammentazione delle supply chains porterà comunque a un aumento dei costi dei beni e a una continua inflazione, con un impatto maggiore sui Paesi più poveri.
In questo contesto, il Vietnam è un esempio virtuoso di come un Paese sia stato in grado di posizionarsi strategicamente in un’area caratterizzata da intensa competizione economica, dispute territoriali, nonché la presenza di un vicino con un enorme leverage politico ed economico, la Cina. Già destinazione di numerosi investimenti globali nell’ambito della China Plus One Strategy – sviluppata nei primi anni 2000 dai Paesi minacciati dai competitivi costi del lavoro cinesi e volta alla diversificazione delle strutture delle supply chains globali -, nel 2023 Hanoi ha accolto $8.2 miliardi di investimenti dalla Cina e $500 milioni dagli Stati Uniti, principalmente nel settore dell’elettronica. Attualmente, gli Stati Uniti sono la destinazione di circa un terzo delle esportazioni del Vietnam, mentre la Cina è anche il principale partner commerciale del Vietnam, e il commercio bilaterale è caratterizzato da una vasta gamma di beni, tra cui elettronica, macchinari, tessuti e prodotti agricoli. Il commercio tra Vietnam e Cina nel primo semestre del 2024 ha raggiunto i 123 miliardi di dollari, con 77 miliardi di dollari di esportazioni dalla Cina e 46 miliardi di dollari importati dal Vietnam verso il continente cinese. Il Vietnam commercia con gli Stati Uniti nell’ambito di una Comprehensive Strategic Partnership, stipulata proprio nel 2023, e con la Cina nell’ambito dell’RCEP e dell’ASEAN-China Free Trade Agreement.
Il rapporto commerciale molto stretto tra Hanoi e Pechino potrebbe tuttavia portare al deterioramento dell’economia locale, che si protegge invece tramite tre principali strategie. In primo luogo, il Vietnam è in grado di salvaguardare il sistema di produzione nazionale grazie alle rules of origins che impongono che, se il 30% o più del valore di un bene è generato localmente, deve essere etichettato come “Made in Vietnam”. In secondo luogo, il Vietnam intrattiene forti relazioni commerciali con vari partners: se la Cina rappresenta infatti il 39% degli import di materiali elettronici del Vietnam – che si traducono in un 30% degli import statunitensi nello stesso settore -, Pechino pesa solo per il 33.21% sugli import totali del Paese, che ha infatti forti partnerships commerciali anche con Corea del Sud, Giappone e Taiwan. Infine, Hanoi è in grado di posizionarsi come partner commerciale internazionale non unicamente focalizzato sulla manifattura a basso costo, ma altresì sull’attrazione di investimenti e lo sviluppo di servizi ed industrie ad alto valore aggiunto. Esempi recenti includono l’adesione di Hanoi alla Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (“CPTPP”) e all’ EU-Vietnam Free Trade Agreement (“EVFTA”).