Di fronte alle difficoltà interne, il primo ministro malese Anwar Ibrahim guarda all’esterno per rafforzare la propria legittimità. Sotto la sua guida, Kuala Lumpur è diventata un alfiere dirompente della causa del “Sud Globale”. La sfida della presidenza ASEAN potrebbe richiedere un approccio diverso
Articolo di Pierfrancesco Mattiolo
Lo scorso 11 ottobre, il primo ministro malese Anwar Ibrahim ha ricevuto dal suo omologo del Laos, Sonexay Siphandone, il martelletto simbolo della presidenza di turno dell’ASEAN. La presidenza ASEAN è annuale e ruota per ordine alfabetico tra i suoi membri. Lo Stato presidente ha poteri tutto sommato limitati, dato che l’Organizzazione prende decisioni per consenso, ma può influenzare i rapporti diplomatici tra i membri e l’esterno. Kuala Lumpur sembra intenzionata a interpretare questo ruolo con decisione, in linea con il protagonismo di Anwar in politica estera. Tale protagonismo può essere spiegato dalla fame di successi di fronte alle difficoltà a livello interno. Eletto nel 2022 come candidato del Pakatan Harapan (“Alleanza della Speranza”), la coalizione progressista, Anwar è ora accusato dai riformisti malesi di non aver realizzato le sue promesse e non fare abbastanza per risollevare l’economia e combattere la corruzione. La politica malese non è facile da navigare, ma non è detto che quella internazionale sia più agibile per Anwar. Quali sono le ambizioni del leader per il suo Paese e per l’ASEAN?
Lo scorso luglio, Anwar ha annunciato che la Malesia aveva presentato la sua candidatura ad entrare nel gruppo BRICS alla Russia, nella sua veste di presidente del raggruppamento. L’interesse ad approfondire il legame con questi Paesi è in linea con le sue posizioni sulla contrapposizione tra “Nord e Sud globali”. Anwar è noto anche per il suo sostegno alla causa palestinese, il quale può essere spiegato sia per la comune fede islamica, sia per la sua visione del mondo – diviso appunto tra Nord e Sud. Per l’attuale governo malese, i Paesi del Sud globale devono cooperare per difendere un ordine internazionale “basato sulle regole” e confutare la “doppia morale occidentale”. La politica si intreccia, come al solito, con l’economia. I BRICS offrono ottime opportunità per le aziende malesi, alla ricerca di nuovi mercati per le loro esportazioni di olio di palma, gomma ed elettronica. Questo ultimo settore si sta espandendo vivacemente, soprattutto nella regione del Penang, rendendo la Malesia un potenziale partner strategico per chi ne voglia essere alleato, anche se i produttori locali potrebbero dover fare i conti con le richieste degli Stati Uniti, poco propensi a lasciar arrivare i preziosi semiconduttori ai loro avversari. Se la maggior parte dei Paesi ASEAN cerca di mantenere un’equa distanza tra Washington e Pechino, con l’obiettivo di ottenere i vantaggi offerti da entrambi, Anwar si è concentrato ultimamente soprattutto sui rapporti con quest’ultima e la Russia.
Questa tendenza potrebbe creare delle difficoltà per Kuala Lumpur durante la presidenza ASEAN, dato che uno dei dossier più delicati è quello della disputa tra alcuni membri, Malesia inclusa, e Pechino sul Mar Cinese Meridionale. In particolare, Vietnam e Filippine difendono con vigore le proprie rivendicazioni sulle acque contese. I malesi dovranno trovare una mediazione tra queste richieste, la propria linea più conciliante e l’assertività cinese, nella speranza di concludere i negoziati sul Codice di Condotta nel Mar Cinese Meridionale entro la fine del 2025. Un altro dossier caldo della presidenza di turno sarà, ancora una volta, Myanmar. Anwar ha indicato che adotterà una linea più dura nei confronti del regime del Tatmadaw, in discontinuità con la presidenza uscente del Laos. La Malesia è stata una delle voci più critiche rispetto all’inefficace risposta dell’Organizzazione di fronte al genocidio condotto contro i Rohingya, una minoranza di fede islamica, dal 2017 e potrebbe continuare su questa linea, sollecitando un intervento più deciso nella crisi che ha seguito l’ultimo colpo di stato.
L’agenda della presidenza malese include anche obiettivi economici, come la piena implementazione del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), un accordo commerciale che coinvolge 15 Paesi nell’Asia-Pacifico, per un PIL combinato di quasi 30 trilioni di dollari. A inizio Ottobre, Anwar ha indicato tre priorità economiche per l’ASEAN: rafforzare le catene di approvvigionamento, consolidare i settori fondamentali per l’economia di ciascuno Stato e rimodellare l’economia regionale sfruttando le sinergie tra Paesi. L’obiettivo di lungo periodo di questa strategia sembra essere la riduzione delle disuguaglianze in termini di sviluppo tra i membri ASEAN, alla base della scarsa coesione e resilienza economica del blocco.
Non sarà facile tenere insieme l’Organizzazione, date le divergenze politiche, oltre che economiche. Un recente studio dell’ISEAS-Yusof Ishak Institute di Singapore ha rilevato che l’ASEAN è spaccata sulla questione “Stati Uniti o Cina” quale partner strategico fondamentale. Gli intervistati in Vietnam, Filippine e Singapore preferiscono Washington, mentre il campione in Malesia, Indonesia, Brunei, Cambogia, Myanmar e Laos preferisce Pechino. La Malesia dovrà muoversi con cautela tra le due potenze e i loro alleati nell’Organizzazione per non approfondirne le divisioni. Il 2025 ci rivelerà se Kuala Lumpur alzerà il volume della sua campagna come voce emergente, e dirompente, del Sud Globale o se preferirà un approccio più moderato, nella speranza di coinvolgere gli altri membri dell’ASEAN.