Vietnam

Dong Nai, un hub manifatturiero nel sud del Vietnam

La ripartenza del Vietnam parte dagli investimenti esteri. Ecco come una delle province meridionali sta attirando l’interesse degli investitori e le risorse di Hanoi per spingere l’economia nazionale in un contesto globale

Un hub manifatturiero a vocazione sempre più internazionale si sta espandendo in Vietnam. Si tratta della provincia meridionale di Dong Nai, area a vocazione industriale localizzata a soli 100 km dal centro di Ho Chi Minh City, il principale centro urbano del sud. Un Guangdong in versione vietnamita che sta attirando tanto i fondi governativi per lo sviluppo economico quanto l’interesse degli investitori esteri.

Le riforme

La Strategia di sviluppo quinquennale di Dong Nai 2020-2025 ha posto le basi per accelerare lo spirito imprenditoriale della provincia: nel piano si prevede di puntare, tra una serie di obiettivi precisi, sull’attrazione degli investimenti esteri per innovare ed espandere le forze produttive del territorio. Tra le riforme adottate dal governo locale rientrano lo snellimento delle procedure burocratiche e una tassazione ridotta per i nuovi investitori. Ma non solo: in tutto il paese non è prevista una soglia minima di investimento per avviare un’attività, purché l’investitore sappia garantire di avere risorse sufficienti affinché l’impresa rimanga economicamente sostenibile.

Nell’area sono già presenti alcune realtà internazionali come Nestlé, che ha localizzato qui la sua più grande fabbrica nel paese per la produzione di caffè. Ma i settori di investimento sono i più vari. Le opportunità vanno dall’elettronica al tessile, dai farmaci all’industria ittica: una dinamicità favorita dalle agevolazioni per facilitare la cooperazione tra pubblico e privato, nonché tra imprese estere e società locali. Oltre alle zone industriali già presenti, il governo ha approvato e attivato la costruzione di nuovi parchi industriali nelle località di Xuân Lộc, Định Quán, Vĩnh Cửu, Thống Nhất, Tân Phú e Long Khánh. 

Perché Dong Nai?

La provincia meridionale del Vietnam non è solo l’epicentro delle riforme amministrative per facilitare l’ingresso di capitali e competenze dall’estero. La posizione geografica della provincia offre un facile punto d’appoggio sia per il mercato interno che per le rotte internazionali: nella zona sono presenti gli aeroporti di Long Thanh e Ho Chi Minh City, diversi collegamenti stradali (alcuni di nuova costruzione) ed è in corso la costruzione di due nuovi collegamenti ferroviari verso Ho Chi Minh City e la provincia costiera di Ba Ria-Vung Tau. Infine, il porto di Dong Nai è uno dei principali porti regionali del paese.

Le opportunità offerte dal governo vietnamita per attirare gli investimenti a Dong Nai rientrano in un contesto più ampio di trasferimento delle imprese offshore verso i paesi ASEAN, complici la crisi globale della supply chain, l’innalzamento dei costi operativi in Cina e le restrizioni Covid tutt’ora implementate dalla Repubblica Popolare. In questo momento storico Hanoi ha saputo negoziare il suo ingresso nei principali accordi per gli standard commerciali dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMS) e rendersi parte attiva nell’evoluzione di una zona di libero scambio ASEAN. Diversi sono anche gli accordi di libero scambio bilaterali e multilaterali, come l’appena avviata Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP). Non ultimo, l’accordo commerciale e per la protezione degli investimenti firmato nel 2019 con l’Unione Europea eliminerà il 99% dei dazi sui beni scambiati e ridurrà le barriere normative all’ingresso dei rispettivi capitali e prodotti nei due mercati.

Un’economia in crescita

Secondo gli ultimi dati della Asian Development Bank (ADB) il Vietnam sarà il principale motore della crescita economica nel Sud-Est asiatico. Con un tasso di crescita del PIL che si aggirava intorno al +6,3% tra il 2010 e il 2019 e dopo lo stop della pandemia, ora l’economia sta ripartendo: la banca prevede che il PIL del Vietnam crescerà del +6,5% nel 2022 e del 6,7% nel 2023, più di tutti gli altri paesi della regione. 

Andando ad analizzare nel dettaglio i tassi di crescita segnalati dalle autorità vietnamite, l’area di Dong Nai si conferma tra quelle più performanti, con una crescita degli investimenti diretti esteri del +7,8% nel primo quadrimestre del 2021 rispetto al 2021, per un valore di 4,42 miliardi di dollari Usa. Il 59,5% è stato destinato all’industria manifatturiera, mentre il 30,3% si è focalizzato sul settore immobiliare.

In un incontro organizzato da Dezan Shira & Associates sulle opportunità d’investimento a Dong Nai è stato evidenziato, inoltre, come la zona di Dong Nai sia oggi il quarto polo d’investimento del Vietnam – un trend in costante crescita che sta attirando soprattutto i capitali delle imprese  di tutto il mondo. Tra queste, spiccano i nomi di grandi società di Taiwan, Giappone e Corea del Sud.

Più investimenti, migliori investimenti

I passi avanti nella gestione della sostenibilità d’impresa in termini ambientali, sociali e amministrativi (Environment, society and governance – ESG) da parte di Hanoi stanno permettendo al Vietnam di allinearsi agli standard globali, adeguandosi alle richieste dei mercati che guardano al ranking ESG. 

Le ultime direttive sul lavoro, definite da una circolare di dicembre 2021, incrementano le tutele all’interno delle aziende laddove, in passato, permanevano le zone grigie che rischiano di minare l’immagine dell’impresa. La settimana non deve superare le 72 ore e non è possibile superare le 12 ore lavorative al giorno. Viene previsto almeno un giorno di riposo, con un minimo di quattro giorni liberi ogni mese. I datori di lavoro hanno ora l’obbligo della massima trasparenza circa orari, compensi e inquadramento contrattuale.

Anche nel quadro della tutela degli ecosistemi sono aumentati gli obblighi per le aziende. Le ultime direttive vanno a implementare gli obiettivi della nuova legge per la protezione ambientale del 2020, che comprende gli standard da applicare all’industria, come il trattamento delle acque di scarico e la gestione dei rifiuti plastici.

Il Vietnam motore commerciale e green

Il Paese del Sud-Est asiatico accelera sempre di più la sua crescita. Non solo a livello economico, ma anche per il suo status globale

Hanoi è sempre più al centro delle mappe commerciali regionali e globali. Già da diverso tempo gli effetti distorsivi della cosiddetta guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina hanno portato molte aziende internazionali a localizzarsi nei Paesi del Sud-Est asiatico. In particolare il Vietnam, che attrae non solo i produttori che potrebbero formare la nuova “fabbrica del mondo” ma anche i colossi digitali globali, conquistati da una classe media in costante crescita e da una popolazione giovane. La pandemia di Covid-19 prima e la guerra in Ucraina poi, con tutte le conseguenze geopolitiche del caso, stanno accelerando questa tendenza. Lo si vede anche nei numeri. A marzo, le esportazioni vietnamite sono cresciute del 45,5% su base mensile e del 14,8% su base annua, raggiungendo la cifra record di 34,06 miliardi di dollari. Secondo l’Ufficio generale di statistica del Vietnam, nel primo trimestre del 2022 l’economia vietnamita ha registrato un’espansione del 5,03% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, superando la Cina che è cresciuta del 4,8%. Inoltre, il commercio estero vietnamita è salito a 176,35 miliardi di dollari nel primo trimestre, con un aumento del 14,4% su base annua. In confronto, il commercio estero cinese nel 1° trimestre è aumentato del 10,7% in termini di yuan. L’incertezza legata alle restrizioni pandemiche sta peraltro spingendo diverse aziende ed expat a riconsiderare la loro permanenza nella Repubblica Popolare, volgendo spesso la loro attenzione proprio al Vietnam. L’interscambio commerciale di Hanoi con Stati Uniti e Unione Europea è considerevolmente aumentato negli ultimi anni, grazie anche all’accordo di libero scambio sottoscritto con Bruxelles. Le varie piattaforme lanciate negli ultimi mesi e settimane potrebbero portare altri vantaggi all’economia vietnamita. L’Indonesia e il Vietnam potrebbero essere i Paesi ASEAN a beneficiare maggiormente dei nuovi finanziamenti per la transizione verso l’energia pulita, nell’ambito di un partenariato globale per gli investimenti infrastrutturali formalmente lanciato dal G7 nel summit di qualche giorno fa. Il G7 si sta impegnando in particolare con Giacarta e Hanoi per la creazione di partenariati che forniscano finanziamenti per accelerare la decarbonizzazione e il passaggio a fonti energetiche più pulite. 

Isole, rocce e bambù: le acque agitate del Vietnam

In pieno stile bamboo diplomacy, il Vietnam ha avuto una reazione modesta all’invasione dell’Ucraina. L’eco del conflitto, però, si è sentita ad Hanoi forse più che a Taiwan

Articolo a cura di Lucia Gragnani

1979. La Cina lancia un’offensiva contro il Vietnam in risposta all’opposizione di Hanoi al regime degli Khmer rossi e alla firma del trattato di partnership sovietico-vietnamita. Sono passati più di quarant’anni, ma nei libri di scuola vietnamiti ancora non c’è pressoché traccia dell’attacco cinese. Con la stessa reticenza, il Vietnam si è astenuto dal condannare la Russia al tavolo delle Nazioni Unite, e si è opposto all’esclusione di Mosca dal Consiglio dei diritti umani. Questo tipo di neutralità strategica non è solo pro forma, ed è tanto radicata da essere riuscita a conquistarsi il nome su misura di bamboo diplomacy. Piantato solidamente nel terreno, ma agile nel flettersi secondo il vento. Nei paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN), questo approccio ha comportato reazioni modeste all’invasione dell’Ucraina.

L’ambiguità della politica vietnamita si manifesta sotto molteplici aspetti. La Cina si batte con gli Stati Uniti per il ruolo di primo partner commerciale, mostrandosi capace di dare una risposta alla crescente domanda di investimenti del Vietnam nel settore delle infrastrutture. Per questo motivo Hanoi ha, come altri membri ASEAN, tradizionalmente preferito rimanere moderato nei confronti di Pechino, temporeggiando per non farsi trascinare dalle avances americane nelle politiche di contenimento della Cina. Gli Stati Uniti hanno un forte interesse nel costruire una relazione con l’ASEAN nel campo della sicurezza marittima in quanto componente chiave della Strategia Indo-pacifica, come annunciato nella comunicazione pubblicata in vista del summit USA-ASEAN di maggio. Dopo aver ricucito le ferite della guerra, Washington e Hanoi hanno stabilito un rapporto di collaborazione solido ma cauto. Ma, con il divieto di esportare armi letali al Vietnam valido fino al 2016, ancora non militare.

Il settore è di competenza russa, così come quello della produzione di macchinari per l’estrazione del petrolio. I rapporti tra Hanoi e Mosca sono amichevoli da decenni, radicati nei legami tradizionali dell’ex Unione Sovietica. La dipendenza all’80% dalla fornitura di armi da parte di Mosca a partire dal 2000 in poi ha provveduto a cementificarli. A fine 2021, i governi dei due paesi hanno siglato un nuovo accordo per espandere ulteriormente la cooperazione militare. Guardando alla postura vietnamita nei confronti di Russia e Usa, lo scorso anno è stato emblematico. Nell’arco di quattro mesi a partire da aprile, si sono succedute le visite del presidente russo Vladimir Putin, del ministro della difesa cinese Wei Fenghe, e della vicepresidente USA Kamala Harris.

In stile bamboo diplomacy, il Vietnam ha avuto una reazione modesta all’invasione dell’Ucraina. L’eco del conflitto, però, si è sentito anche ad Hanoi e forse più che a Taiwan. Con lo scoppio della guerra e le successive sanzioni che hanno complicato il commercio internazionale con Mosca anche per i paesi rimasti “amichevoli”, sono diminuite le possibilità di accedere all’arsenale russo. Senza poter contare sul suo principale partner strategico, il Vietnam rimane adesso con un fianco scoperto. 

Questo fianco, in particolare, è vicino alla lunga costa est che guarda al mar Cinese meridionale, conosciuto in Vietnam come mare dell’Est. Davanti, una serie di atolli e formazioni rocciose costellano il panorama marittimo, su cui si affacciano anche Cina, Taiwan, Filippine, Brunei, Malesia e Indonesia. Ciascun paese dichiara sovranità su una parte più o meno vasta del mar Cinese meridionale. Oltre ad essere uno snodo di scambio commerciale fondamentale da cui passa un terzo del commercio marittimo mondiale, il mar Cinese meridionale ha importanti riserve di gas nel sottosuolo. Negli ultimi anni è diventato luogo di attrito per i rapporti Cina-USA. Per attori più piccoli come il Vietnam, navigare queste acque agitate rimanendo moderati è questione strategica.

Nel 2016 il tribunale della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) ha dichiarato che non tutte le terre emerse hanno diritto a ricevere lo status di isola. Secondo il Tribunale, nel mar Cinese meridionale non ci sono, infatti, formazioni permanentemente sopra al livello dell’acqua capaci di sostenere vita umana. Lo status di isola permetterebbe di esercitare una zona economica esclusiva (ZEE) di 200 miglia nautiche e condurre esplorazioni del sottosuolo. Le rivendicazioni marittime però non sono solo una questione di strategia, ma anche di politica e sovranità. Isole o no, le ambizioni dei vicini di casa non sono cambiate.

Tra questi, Pechino è il dirimpettaio più problematico. La Cina rivendica, infatti, la totalità delle formazioni rocciose del mar Cinese meridionale e le loro corrispondenti acque sulla base della storica U-shaped line. Questa linea immaginaria abbraccia l’intera massa marina, e si sovrappone in larga parte alle dichiarazioni di sovranità territoriali del Vietnam. Queste dispute sono ancora il principale motivo di tensione tra Pechino e Hanoi. Nel 1974 la Cina ha occupato le isole Paracelso, precedentemente vietnamiti, dopo uno scontro che ha causato decine di morti. Nel 1988 un altro scontro a Johnson Reef, nelle Spratly, ha provocato circa 70 vittime. Più di recente, nel 2014 il movimento della piattaforma petrolifera cinese Haiyang Shiyou 981 nei pressi delle isole Paracelso aveva generato proteste ad Hanoi, e fatto immaginare un primo parallelismo con l’annessione della Crimea. Il Vietnam ha reagito in modo composto alle provocazioni cinesi. Danneggiare il rapporto con Pechino per delle rocce nel mar Cinese meridionali avrebbe più costi che benefici.

Quando, dopo il 24 febbraio, Pechino ha annunciato nuove esercitazioni militari vicino alla costa vietnamita, il rumore dei colpi in Ucraina è sembrato più vicino. Nel settore della sicurezza è necessario ampliare il portafoglio dei partner, ma abbracciare Washington esporrebbe il paese a possibili ripercussioni sui rapporti con la Cina. Allo stesso tempo, staccarsi da Mosca dopo decenni di quasi-monopolio risulta difficile. La Russia ha dichiarato di avere in programma per la fine del 2022 delle esercitazioni militari con il partner dell’ASEAN, e Hanoi non ha ritrattato. L’ambiguità strategica del Vietnam permette di avere molteplici partner, e la centralità data al tema del mar Cinese meridionale all’ultimo incontro tra il primo ministro indiano Narendra Modi e il segretario del Partito comunista vietnamita Nguyễn Phú Trọng non è casuale. Avvicinarsi all’India però non vuol dire avvicinarsi al QUAD, e se da un lato si rafforza il partenariato strategico Vietnam-India e l’aria nel mar Cinese meridionale si fa tesa, dall’altro Hanoi e Pechino si congratulano per i 72 anni di relazioni diplomatiche e promettono di rafforzare la cooperazione. Il bambù vietnamita resiste anche in acqua salata, ma è da vedere per quanto tempo questa ambiguità sarà sostenibile.

New tech, così il Vietnam sta diventando autosufficiente

L’economia digitale vietnamita è in continua espansione, anche grazie all’accelerazione portata dalla pandemia

Il Vietnam è sicuramente in cima alla lista dei Paesi del Sud-Est Asiatico in quanto a presenza di aziende all’avanguardia nei settori del tecnologico e digitale, tanto da essere quasi autosufficiente. Infatti, ad oggi conta già ben 64mila aziende digitali, e la cifra è in continua espansione, tanto che il Paese si colloca al 25esimo posto tra i 50 più digitali al mondo, secondo la società di consulenza Tholons. Inoltre l’economia digitale vietnamita è in rapida crescita, e si stima che nei prossimi 10 anni sarà in testa ai Paesi del Sud-Est Asiatico, secondo il rapporto e-Conomy SEA 2021 di Google, Temasek e Bain. Il mercato digitale del Vietnam sta prosperando grazie alla forte crescita dei settori dell’e-commerce, della fintech e della tecnologia dell’istruzione. In parallelo cresce velocemente anche la popolazione di utenti dei social media, che ha raggiunto il 78% della popolazione totale nel febbraio 2022. Sicuramente ci sono importanti fattori socio demografici a facilitare l’espansione del mercato digitale, vista la popolazione giovane (il 70% dei cittadini ha meno di 35 anni), istruita (il tasso di alfabetizzazione nella fascia di età 15-35 anni è superiore al 98%) e avvezza alla tecnologia (più del 60% della popolazione usa gli smartphone). In ogni caso, il fenomeno è da tener d’occhio visto che secondo un report della società Alphabeta, la tecnologia digitale potrebbe potenzialmente portare oltre 74 miliardi di dollari al Vietnam entro il 2030, principalmente nei settori di industria,  agricoltura e alimentazione e istruzione.

Come successo in molti Paesi, anche in Vietnam il COVID-19 è stato un significativo fattore trainante per la trasformazione digitale. Da quando è scoppiata la pandemia, Hanoi ha assistito ad una repentina accelerazione nell’adozione e diffusione di nuovi strumenti di digitalizzazione, sia nel settore privato che in quello pubblico. Si stima che già nel giugno 2021 circa due terzi delle imprese private in Vietnam abbiano avuto accesso alle tecnologie legate all’economia digitale, un enorme salto rispetto al periodo pre-COVID-19. Di conseguenza, cresce anche il mercato dei pagamenti digitali, che già avevano raggiunto 620 miliardi di dollari nel 2020 e si prevede che possano raggiungere il valore di 1,2 trilioni di dollari nel 2025.

Il processo di digitalizzazione è inoltre accelerato dalla vicinanza delle numerose imprese digitali locali, le quali vanno a creare un vero e proprio agglomerato industriale che favorisce la diffusione di competenze e innovazioni. Tra le aziende più note spicca il gruppo FPT, acronimo di Corporation for Financing and Promoting Technology, la più grande società di servizi informatici in Vietnam, che ha come core business la fornitura di servizi legati all’ICT. FPT si occupa di innovazioni tecnologiche come l’automazione, l’intelligenza artificiale, la tecnologia blockchain, il cloud computing, e altri servizi volti a migliorare l’efficienza della vita di cittadini, imprese e governo. Molte di queste aziende, infatti, collaborano con il settore pubblico con l’obiettivo comune di sviluppare un governo e un’economia digitale, ma anche aumentare l’efficienza dei servizi pubblici e le competenze informatiche di funzionari e dirigenti. Alcuni progetti in corso prevedono già lo sviluppo di città e traffico intelligenti, così come sanità e istruzione all’avanguardia, allo scopo di migliorare le vite di milioni di cittadini così come la competitività del Paese.

Tuttavia, ci sono ancora molti ostacoli allo sfruttare appieno i benefici della tecnologia digitale, per esempio la burocrazia e la mancanza di risorse umane specializzate. Inoltre, alcune leggi in materia di localizzazione e protezione dei dati personali scoraggiano le aziende straniere ad investire nel mercato digitale locale, dal momento che proteggono le aziende locali ma nel contempo pregiudicano ulteriori profitti.

In ogni caso, il futuro fa ben sperare, e lo stesso Vicedirettore del Dipartimento di Gestione delle Imprese, Nguyen Trong Duong, ha annunciato che, con politiche di sostegno alle imprese digitali e alle start-up tecnologiche vietnamite, l’economia digitale del Paese potrebbe raggiungere il 26,2% del PIL nei prossimi tre anni.

Vietnam: l’esempio di Carlo Urbani è sempre vivo

La cooperazione allo sviluppo è uno dei pilastri del partenariato strategico dell’Italia con Hanoi

Editoriale a cura di Antonio Alessandro, Ambasciatore d’Italia in Vietnam

Il 7 marzo una delegazione del sistema Italia si è recata in visita nella Provincia di Thua Thien Hue, per partecipare ad una cerimonia in ricordo di Carlo Urbani e rilanciare i rapporti con una delle regioni più dinamiche del centro del Vietnam.

La cerimonia si è svolta nel centro di epidemiologia intitolato a Carlo Urbani, con la commossa partecipazione di autorità italiane e vietnamite e della vedova, Giuliana Chiorrini. Il Rappresentante dell’OMS in Vietnam ha presentato delle testimonianze delle persone che avevano lavorato con il famoso epidemiologo italiano. È stata ricordata l’onorificenza di Gran Croce dell’Ordine della Stella d’Italia alla memoria concessa dal Presidente Mattarella in riconoscimento dello straordinario operato di Carlo Urbani nel contenere l’epidemia della Sars nel 2003 in Vietnam.

È emerso come l’insegnamento di Carlo Urbani, a quasi 20 anni dalla scomparsa, sia sempre più valido di fronte alle nuove pandemie e guerre che sconvolgono il mondo. Il Console Generale Enrico Padula ha ricordato il contributo di Carlo Urbani e della comunità italiana in Vietnam, di cui era parte integrante, al rafforzamento dei rapporti di amicizia tra i nostri due popoli.

Quale segno concreto della solidarietà italiana e in continuità con l’opera di Carlo Urbani, sono stati poi varati i lavori di costruzione del dipartimento di ginecologia e ostetricia dell’Ospedale universitario di Hue, promossi dall’AICS nell’ambito di un progetto di 13 milioni di euro per il miglioramento dei servizi sanitari nelle regioni centrali del Vietnam.

La cooperazione allo sviluppo è uno dei pilastri del nostro partenariato strategico con il Vietnam. Presente sin dagli anni ‘90, ha realizzato numerose iniziative nei settori della sanità, della formazione, del risanamento ambientale, tra gli altri, che hanno contribuito significativamente allo sviluppo del Paese. Da ultimo l’Italia ha donato 2,8 milioni di dosi di vaccino al Vietnam.

Durante la visita è stato varato un progetto di ricerca congiunto tra l’Università Politecnica delle Marche e l’Università di Hue per la gestione dei dati del patrimonio culturale. La provincia ha una forte vocazione turistica e ospita una delle cittadelle imperiali meglio conservate dell’intero oriente.

I risultati della visita e le ulteriori prospettive di collaborazione sono stati discussi con il Presidente della Provincia, Signor Nguyen Van Phuong.

L’Ambasciata è impegnata a rafforzare i rapporti con le 63 province vietnamite, che costituiscono il motore del dinamismo economico del Paese.

Vingroup, una storia di successo dal Vietnam

Vingroup è una società per azioni vietnamita specializzata in tecnologia, industria, sviluppo immobiliare, retail e servizi, che vanno dalla sanità al settore alberghiero.  

La storia di Vingroup inizia con la fondazione di Technocom Corporation nel 1993 in Ucraina, grazie a un ambizioso gruppo di giovani vietnamiti. Technocom ha iniziato con la produzione alimentare, raggiungendo un grande successo con il marchio Mivina. Nel 2000 è tornato in Vietnam con due marchi strategici Vincom e Vinpearl, e l’ambizione di contribuire allo sviluppo del Paese. Nel gennaio 2012, Vinpearl JSC si è fusa con Vincom JSC per formare Vingroup Joint Stock Company, diventando – con una capitalizzazione di mercato pari a circa tre miliardi di dollari – la più grande società privata della nazione. Pham Nhat Vuong, il primo miliardario della storia del Vietnam, è presidente, fondatore e maggiore azionista del Gruppo. 

Società multisettoriale con 19 member brand, Vingroup è riconosciuta come una delle aziende più dinamiche, di successo e ben capitalizzate del Vietnam. Gli assi principali del suo business sono tecnologia e industria; commercio e servizi; impresa sociale. Nel 2013, Vingroup ha raccolto circa 200 milioni di dollari dal fondo di investimento statunitense Warburg Pincus per investire in quattro aree: strutture commerciali, turismo, ospedali e scuole. Attualmente il colosso vietnamita sta concentrando le risorse nelle automobili e nel suo core business immobiliare. Alla fine del 2019 ha annunciato l’intenzione di abbandonare le sue operazioni di vendita al dettaglio – le più grandi del Vietnam – e lo scorso maggio ha deciso di abbandonare la produzione di smartphone e televisioni. 

Vingroup è entrata nel settore automobilistico nel 2019, fondando la sussidiaria VinFast e uno stabilimento nella città di Haiphong con una capacità annua di circa 250.000 veicoli. La redditività è ancora un problema. L’azienda ha venduto circa 30.000 veicoli l’anno scorso, sufficienti a soddisfare solo il 10% circa del mercato vietnamita. Il segmento manifatturiero di Vingroup, incentrato sulle automobili, ha registrato una perdita ante imposte di 11,3 trilioni di dong nella prima metà del 2021, più del doppio dell’anno precedente. Pham Nhat Vuong ha recentemente dichiarato ai media locali che ulteriori perdite nel settore automobilistico sono previste a breve termine. 

Il futuro dell’azienda è attualmente focalizzato sul business dei veicoli elettrici, lanciato alla fine del 2021. Le Thi Thuy, vicepresidente di Vingroup e CEO di VinFast Global, ha di recente affermato che Vinfast diventerà ufficialmente un’azienda di auto elettriche al 100% entro la fine del 2022, cessando definitivamente la produzione di veicoli a benzina. Gli ordini di veicoli elettrici, compresi quelli nei mercati occidentali, hanno totalizzato circa 35.000 unità all’inizio di gennaio. L’obiettivo è quindi raccogliere 1,5 miliardi di dollari attraverso obbligazioni e rafforzare la sua attività di veicoli elettrici con un nuovo impianto di batterie agli ioni di litio. Le obbligazioni quinquennali denominate in dollari aiuteranno a finanziare l’unità automobilistica che Vingroup spera di quotare negli Stati Uniti e in cui ha già investito 5 miliardi di dollari. L’emissione delle obbligazioni internazionali è prevista nel primo trimestre di quest’anno.VinFast ha appena presentato cinque veicoli elettrici al CES 2022 di Las Vegas, un debutto importante che intende sviluppare una rete di vendita negli Stati Uniti e in Europa. La consegna dei primi due veicoli elettrici, il VF 8 e il VF 9, è prevista entro la fine dell’anno. A dicembre, VinFast ha iniziato le vendite dei suoi veicoli elettrici in Vietnam, diventando la prima grande casa automobilistica nazionale a vendere veicoli elettrici nel Paese. Il colosso vietnamita si prepara così ad affrontare un mercato sempre più competitivo. Entrando nel mercato dei veicoli elettrici prima che l’ordine gerarchico sia stabilito saldamente, Vingroup mira a ritagliarsi una posizione strategica che farà da volano alle sue azioni future.

Nguyen Thi Phuong Thao, la donna d’affari più ricca del Vietnam

Tra le “100 donne più potenti del mondo” secondo Forbes, Nguyen Thi Phuong Thao ha rivoluzionato il settore dei viaggi aerei in Vietnam.

Nguyen Thi Phuong Thao è Presidente del Sovico Group, Vicepresidente permanente di HD Bank, fondatrice e CEO di VietJet Air. Ha fatto la storia in un business tradizionalmente dominato dagli uomini, diventando l’unica vietnamita ad aver avviato e gestito una compagnia aerea low cost.

VietJet – vendendo voli per meno di 50 dollari – è il motivo per cui milioni di vietnamiti sono saliti a bordo di un aereo per la prima volta negli ultimi dieci anni, rivoluzionando per sempre il settore dell’aviazione in Vietnam. Con questo successo è diventata la prima miliardaria del Vietnam e la donna più ricca del Sud-Est asiatico a “farsi da sola”. Forbes fissa la sua ricchezza a $ 2,5 miliardi: oltre che dal settore bancario, la sua fortuna proviene da beni immobili tra cui resort, progetti energetici e altre partecipazioni di Sovico.

Thao è nata nel 1970 ad Hanoi in una famiglia benestante. È cresciuta nell’ambiente della Guerra Fredda dei vietnamiti che si sono trasferiti nel vecchio blocco sovietico, dove ha conseguito tre lauree. Pacata e inconfondibile con i suoi occhiali senza montatura e la frangia corta, Thao è definita dai colleghi come una stacanovista che lavora fino a tarda notte. Madre di tre figli, Madame Thao dirige un impero commerciale con suo marito, mantenendo sempre un fitto programma di lavoro.

La sua compagnia aerea, lanciata nel 2011, è ora più grande della compagnia di bandiera Vietnam Airlines in termini di passeggeri trasportati. È cresciuta in parte attraverso un servizio audace: assistenti di volo in bikini per i voli verso le destinazioni delle vacanze al mare. Una rischiosa acrobazia che ha comportato una multa da parte del governo, ma ha fatto ottenere a VietJet pubblicità gratuita in tutto il mondo e, soprattutto, ha fatto vendere biglietti.

Da una manciata di rotte nazionali al momento del lancio, VietJet si è espansa fino a coprire più di 120 destinazioni. Posizionato fin dall’inizio come vettore regionale e internazionale, Thao ha delineato una strategia molto precisa: l’espansione in tutti i mercati ASEAN entro un raggio di 2.500 chilometri, in modo da poter creare basi che coprano metà della popolazione mondiale. La compagnia sarebbe già in trattative con partner in tutta la regione per espandersi al di fuori del Vietnam.  L’obiettivo di Thao è fare la storia una seconda volta trasformando VietJet nella prima compagnia aerea mondiale del Vietnam. “Se stabiliamo una compagnia aerea in Europa, possiamo volare in ogni paese. Con i nostri aerei, costi, capacità di gestione, e fornendo nuovi servizi, sono totalmente fiduciosa che possiamo competere negli altri mercati, in Europa o negli Stati Uniti”, ha affermato Thao.

Nel 2017, VietJet ha debuttato alla borsa di Ho Chi Minh City con una capitalizzazione di mercato di $ 1,4 miliardi. L’anno successivo ha trasportato 23 milioni di passeggeri, pari al 46% del mercato passeggeri del Vietnam. Anche se questa cifra rappresenta circa la metà dei passeggeri che AirAsia – il principale vettore economico asiatico – ha trasportato nel 2018, Vietjet è cresciuta più rapidamente. Le azioni della società sono più che raddoppiate dalla sua IPO del 2017, raggiungendo un valore di mercato di $ 3 miliardi, il secondo più grande del Sud-Est asiatico, dopo Singapore Airlines.

Nelle ultime settimane una donazione – 155 milioni di sterline – della holding di Thao a favore di un college dell’Università di Oxford ha provocato reazioni contrastanti. In seguito a questa sovvenzione, il Linacre College, specializzato in corsi post-laurea, diventerà il Thao College. Il MOU tra le due istituzioni è stato firmato durante la visita di Thao nel Regno Unito in coincidenza con il vertice sul clima COP26 delle Nazioni Unite. VietJet, che ha l’ambizione di espandersi in Europa, a margine del vertice ha anche siglato un accordo da $ 400 milioni per il motore a reazione con Rolls-Royce.

Dentro e fuori i social media, alcuni vietnamiti hanno apprezzato l’iniziativa benefica. Altri si sono chiesti il motivo della donazione a un Paese che registra 14 volte il reddito medio del Vietnam, mettendo in dubbio l’invio di una tale somma fuori dal Paese, che ha rigidi controlli sui capitali. Un post sul sito governativo ha affermato che 7,5 milioni di sterline della donazione finanzieranno borse di studio per i vietnamiti e altri nella regione. Anche voci del mondo accademico hanno espresso perplessità sulla nomina di un intero college all’interno del sistema federato di Oxford, perché questa azione potrebbe far pensare che Oxford possa essere messa in vendita. Il Linacre College ha affermato di essere stato poco sovvenzionato rispetto ad altre istituzioni di Oxford, definendo la donazione – concordata nell’ambito di un protocollo d’intesa con Sovico – “trasformativa”.

Thao è ben nota per le sue varie iniziative filantropiche nel corso degli anni e crede in una cultura aziendale con solide responsabilità sociali di sviluppo sostenibile. Fortemente colpita dall’ambiente accademico dell’Università di Oxford, Madame Thao ha affermato che Oxford è il posto giusto per dare il suo contributo all’umanità attraverso l’istruzione, la formazione e la ricerca. Questo sodalizio servirà anche a perseguire uno dei più importanti obiettivi di VietJet, la riduzione delle emissioni di carbonio. Il Gruppo Sovico, socio fondatore di VietJet, è impegnato a far sì che tutte le sue sussidiarie raggiungano lo zero netto di carbonio entro la fine del 2050 con il supporto dei principali accademici di Oxford.

Come il Vietnam è diventato un mercato di riferimento per l’UE

Il Vietnam è un case-history per il Sud-Est asiatico. Tra successi politici ed economici, è riuscito a guadagnarsi la fiducia dell’UE e si prepara ad affrontare la scena globale

Il Vietnam è oggi il fiore all’occhiello del Sud-Est asiatico. Gli anni contrastati della decolonizzazione sembrano un passato decisamente remoto: oggi Hanoi ha una prospera economia, istituzioni politiche stabili e una efficace proiezione internazionale che l’ha portato a concludere importanti accordi commerciali. Il 2020 è stato un anno negativo un po’ per tutti, ma non per il Vietnam che ha prima saputo prevenire e contenere efficacemente la pandemia da coronavirus (anche se ora è in atto una nuova ondata nel Paese) e poi ripartire. Tanto che la sua economia è cresciuta del 2,9%, meglio di chiunque altro (Cina e Taiwan comprese) in Asia. 

La fiducia nel multilateralismo e l’attivismo dimostrato durante la presidenza ASEAN (che hanno portato tra l’altro alla conclusione dell’accordo sulla Regional Comprehensive Economic Partnership) gli sono valsi l’attenzione della comunità internazionale e la fiducia dei mercati finanziari, specie quelli europei.

Lo scorso inverno, gli esiti del 13° Congresso del Partito Comunista vietnamita hanno sintetizzato le dinamiche in atto. Come osservato da alcuni analisti, i congressi del Partito Comunista di solito non entusiasmano i mercati finanziari, ma quest’anno si è verificata  un’eccezione. L’attenzione degli investitori stranieri è stata attratta dal lancio di un piano di sviluppo delle infrastrutture, che prevede lo stanziamento di 119 miliardi di dollari e l’impegno ad aumentare il contributo del settore privato al prodotto interno lordo dal 42% al 55% entro il 2025. In questo scenario, si inserisce anche gli accordi di libero scambio e  sulla protezione degli investimenti siglati con l’Unione Europea nel 2019, di cui proprio in questi mesi si raccolgono i frutti. Secondo Dezan Shira & Associates, si registra un aumento sostenuto del flusso di IDE europei in Vietnam. Ciò è stato possibile grazie alla revisione del contesto normativo divenuto più accogliente per gli attori internazionali, grazie alle maggiori garanzie sulla proprietà intellettuale e all’aumento della quota massima di partecipazione straniera nelle banche commerciali dal 30% al 49%. 

In generale, negli ultimi 10 anni il fatturato commerciale vietnamita è cresciuto vertiginosamente. Gli ambiti che hanno registrato la crescita più elevata sono l’industria pesante e il settore minerario, che hanno generato 57,58 miliardi di dollari in esportazioni – un volume in aumento del 33% dall’anno scorso. Seguono poi le industrie leggere e artigianali (27,5%) e l’agricoltura e la silvicoltura (8,8%). L’UE è la terza destinazione di esportazioni vietnamite, con 12,6 miliardi di dollari in entrata – in aumento del 18,1% su base annua. Come riporta Vietnam Briefing, le principali esportazioni dell’UE in Vietnam includono prodotti ad alta tecnologia, macchinari e apparecchiature elettriche, aeromobili, veicoli e prodotti farmaceutici. Viceversa, le principali esportazioni vietnamite in Europa sono rappresentate da apparecchi telefonici, prodotti elettronici, calzature, tessuti e abbigliamento, caffè, riso, frutti di mare e mobili. A questo proposito, una grandissima parte di IDE in Vietnam verrebbe proprio da società italiane, specie negli ambiti dell’industria farmaceutica, dei trasporti, delle macchine e dei prodotti alimentari. Qui il sistema economico italiano avrebbe ampie opportunità di crescita, in particolare nei settori ad alto livello di specializzazione.

Il percorso verso la liberalizzazione economica non è stato lineare. La Repubblica Socialista del Vietnam ha spesso seguito le orme della Cina, a partire dalle riforme economiche inaugurate intorno agli anni Ottanta, e si è ispirata all’esperienza del vicino socialista anche per quanto ha riguardato la definizione delle strutture produttive: un modello di crescita fondato sull’industria pesante, la filosofia politica comunista, i bassi costi del lavoro e della terra che oggi supportano le elevate esportazioni. Tutti questi elementi farebbero del Vietnam il degno erede del cosiddetto “modello cinese”, ma Hanoi ha una propria visione di futuro.

La leadership vietnamita ha saputo ritagliarsi una certa autonomia nel contesto geopolitico regionale. Attraverso invidiabili doti di equilibrismo diplomatico, ha schivato le lusinghe dell’ex segretario di stato statunitense Mike Pompeo pur tenendo il punto con la Cina per le questioni riguardanti il Mar Cinese Meridionale. Grazie al suo ruolo strategico, Hanoi ha evitato l’imposizione di sanzioni da parte degli USA, nonostante le accuse di manipolazione valutaria. D’altra parte, il Vietnam si è trovato indirettamente coinvolto nella tensione commerciale tra Washington e Pechino beneficiando della ri-localizzazione di alcune multinazionali che dalla Cina meridionale si sono trasferite alla ricerca di contesti politico-commerciali più favorevoli. Rispetto a Pechino, Hanoi ha adottato un approccio assertivo ma responsabile, a riprova del fatto che i progetti della classe dirigente vietnamita puntano a ritagliarsi uno spazio autonomo nelle dinamiche politiche regionali.

Non sorprende quindi che il Vietnam stia divenendo il mercato di riferimento dell’Unione Europea nel Sud-Est asiatico. Nonostante le similitudini esistenti con quello cinese, il modello di Hanoi si è dimostrato più facilmente integrabile nell’ambito della cooperazione multilaterale con l’UE. Restano delle zone d’ombra sul fronte dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori, non pienamente tutelate da un regime centralista che non ammette una reale opposizione. Ma sulla sfera commerciale e geopolitica il Vietnam si è dimostrato un partner stabile e affidabile in una regione nella quale invece permangono alcune incognite, dal golpe in Myanmar al posizionamento delle Filippine.  

La crescita di IDE comunitari in Vietnam sembrerebbe quindi solo all’inizio. Se neanche le contingenze della pandemia hanno potuto ostacolarne il progresso, bisognerà guardare con ancora maggiore attenzione agli sviluppi futuri che ci riserverà questa florida economia emergente del Sud-Est asiatico.

L’ambiziosa transizione tecnologica del Vietnam

Il Vietnam lancia la Strategia nazionale sull’intelligenza artificiale, inaugurando una promettente transizione tecnologica che conferma il suo ruolo di punta tra le economie ASEAN

Il Primo Ministro vietnamita Nguyễn Xuân Phúc ha emanato la Strategia Nazionale su Ricerca, Sviluppo e Applicazione dell’Intelligenza Artificiale (AI) per il 2030. Dopo le straordinarie prestazioni nell’affrontare la crisi sanitaria dovuta alla pandemia, il Vietnam rilancia il suo ruolo nel Sud-Est asiatico, determinato a divenire centro propulsore per l’innovazione e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Il piano è stato lanciato il 17 marzo 2021 in vista della convocazione dell’Assemblea nazionale – i cui lavori si tengono dal 24 marzo all’8 aprile 2021. L’Assemblea, la prima dopo il 2016, ha l’obiettivo di raccogliere i risultati positivi degli ultimi anni che hanno visto il Vietnam attestarsi tra le economie asiatiche più performanti del 2020, e di rilanciare il programma di sviluppo per i prossimi cinque anni.

La Strategia è infatti in linea con i programmi di modernizzazione annunciati nell’ambito del XIII Congresso del Partito Comunista vietnamita. L’ambizioso programma di sviluppo verrà promosso all’insegna del motto “solidarietà, democrazia, disciplina, creatività e sviluppo”, e la sua implementazione dovrebbe guidare la rotta del Vietnam verso la modernizzazione e la digitalizzazione prefigurate dalla nuova leadership. La promozione del piano Industria 4.0 rientra infatti in un progetto di ampio respiro che coniuga questioni di sviluppo socio-economico e sicurezza ad aspirazioni strategiche di rilevanza globale, oltre che regionale. 

Dal punto di vista della politica interna, l’intelligenza artificiale è considerata, a ragione, una tecnologia chiave per l’aumento della produttività del settore pubblico e per il rafforzamento della sicurezza nazionale. La Strategia si declina perciò in due ordini di obiettivi, quelli di breve termine da implementarsi entro il 2025 e quelli di medio termine per il 2030, anno di celebrazione del centenario del Partito Comunista del Vietnam. La roadmap prevede, tra le altre misure, l’affermazione di 10 marchi e servizi di AI entro il 2030 e la costruzione di tre centri di archiviazione di big data nazionali per uniformare l’accesso di aziende al computing e ad altre prestazioni. Inoltre, nel realizzare questo ambizioso programma, la leadership vietnamita delega a ciascun ministero l’implementazione di varie misure, che spaziano dalle responsabilità tecniche affidate al Ministero della Scienza e della Tecnologia, a quelle riguardanti le risorse umane delegate al Ministero dell’Istruzione e al Ministero dell’Informazione e della Comunicazione: ciascuna articolazione statale trova il proprio posto nella dettagliata Strategia 2030.Quello dell’AI è un settore dall’enorme potenziale per il Vietnam. Secondo la Banca Mondiale, grazie alla sua profonda integrazione con l’economia globalizzata, il Paese ha dimostrato una straordinaria resilienza alle conseguenze economiche del Covid-19, che hanno lasciato in ginocchio molte altre economie internazionali. E’ stato uno dei pochi Paesi a non subire una recessione, avendo vantato un tasso di crescita del PIL che è oscillato tra il 2% e il 3% nel 2020, e per questo è tutt’ora uno dei mercati emergenti più promettenti nel Sud-Est asiatico. Questo rinnovato impegno nel settore dell’intelligenza artificiale conferma il ruolo centrale del Vietnam tra le economie ASEAN, e dimostra come il Paese – la cui leadership ha dato priorità a crescita economica e stabilità –  abbia anche per investitori e imprenditori stranieri un grande potenziale in attesa di essere sviluppato.

Il Vietnam conferma la sua leadership

Al centro del XIII Congresso del Partico Comunista Vietnamita gli obiettivi di trasformazione del Vietnam in grande potenza internazionale

Il 2021 sarà un anno importante per comprendere la direzione che intraprenderanno i Paesi del Sud-Est Asiatico nel futuro, che appare incerto ora più che mai. Il Vietnam non fa eccezione e, contro ogni aspettativa, chiude l’anno della pandemia con un’economia in crescita di quasi il 3%, vantando una gestione esemplare dell’emergenza sanitaria. In questo contesto si è tenuto il XIII Congresso del Partito Comunista della Repubblica Socialista del Vietnam, conclusosi il 2 febbraio scorso, dopo la nomina dei principali organi di Partito.

Il Vietnam ha una struttura politica informalmente chiamata “a quattro pilastri”, che prevede altrettante posizioni di leadership dominanti: il Segretario Generale del Partito, il Presidente dello Stato, il Primo Ministro e il Presidente dell’Assemblea Nazionale. Dal 2018, tuttavia, a seguito dell’improvvisa morte del Presidente Tran Dai Quang, le cariche di Segretario Generale e Presidente dello Stato sono state accorpate in un unico pilastro. 

Al termine del Congresso, è emersa la figura di Nguyen Phu Trong, riconfermato per la terza volta alla carica di Segretario Generale e Presidente per il nuovo mandato 2021-2025, diventando il più longevo capo di partito nella storia del Vietnam. La rielezione dell’ex Segretario Generale, ormai 76enne, è stata una sorpresa per tutti, in primo luogo per Trong stesso, che aveva sostenuto la nomina del collega Tran Quoc Vuong. Tuttavia, come il Congresso Nazionale ha successivamente dichiarato, la scelta è ricaduta su una figura già nota e in grado di assicurare stabilità al partito e al Paese in un momento di profonda incertezza globale, tra crisi pandemica e recessione economica. Resta comunque possibile che Trong si dimetta nel corso del suo nuovo mandato, qualora si trovi un candidato adatto a ricoprire la carica.

Il secondo nome di rilievo all’interno del panorama politico vietnamita è Nguyen Xuan Phuc, riconfermato nuovamente alla carica di Primo Ministro. Resta, poi, al potere Nguyen Thi Kim Ngan, capo dell’Assemblea Nazionale dal 2016 e prima donna a ricoprire tale posizione.

Attraverso le parole “Solidarietà, Democrazia, Disciplina, Creatività e Sviluppo”, il Congresso Nazionale si è posto l’obiettivo di elaborare, sulla base delle risoluzioni approvate negli anni scorsi, le nuove linee guida che indirizzeranno l’azione del Partito nel prossimo quinquennio. Al centro dei lavori hanno trovato spazio vari temi, tra cui le capacità di leadership dei membri del Politburo, la trasparenza del processo politico e la fiducia del popolo nel Partito, nello Stato e nell’ideologia socialista. Nell’attuale situazione di emergenza, inoltre, il Partito si impegnerà a ricercare la prosperità del Paese e il benessere dei suoi cittadini, promuovendo l’agire solidale e l’unità nazionale. Restano in primo piano gli obiettivi di industrializzazione, modernizzazione, sicurezza nazionale e la creazione di un ambiente stabile e pacifico nella regione del Sud-Est asiatico, nonché la trasformazione del Vietnam in una grande potenza internazionale orientata al socialismo. Per la realizzazione del piano, il XIII Congresso Nazionale ha elaborato un complesso di 12 direzioni strategiche per lo sviluppo nazionale nel periodo 2021-2030. In tal senso, viene evidenziata la necessità di rafforzare – e costruire, qualora non fossero già presenti – delle istituzioni atte a promuovere lo sviluppo sostenibile del Vietnam, l’economia di mercato di stampo socialista, la trasformazione industriale, le imprese emergenti e la transizione digitale. Si chiedono, inoltre, importanti cambiamenti nell’area dell’educazione e della formazione di risorse umane qualificate. Il Capo di Stato si è, poi, raccomandato: di stimolare il progresso umano in tutte le sue sfaccettature, non trascurando, però, l’identità culturale vietnamita; di combattere con vigore contro i cambiamenti climatici, i disastri naturali e le epidemie; di prevenire i conflitti, salvaguardare la sovranità e l’integrità territoriale; di sfruttare le risorse naturali della terra e migliorare la qualità dell’ambiente; e infine, di attuare una politica estera caratterizzata tanto da indipendenza e autodeterminazione, quanto dedita al rafforzamento delle relazioni multilaterali e all’integrazione nella comunità internazionale.

Ma c’è di più. Si prevedono anche obiettivi a lungo termine, come la trasformazione del Vietnam in un’economia moderna a reddito medio alto entro il 2030 e il raggiungimento di un reddito elevato pro capite entro il 2045. Obiettivi indubbiamente ambiziosi, ma anche possibili per uno Stato che mostra una crescita costante del PIL, nonostante le avversità. Da non dimenticare, poi, la chiave di lettura offerta dal Presidente Trong, secondo cui tutto ciò diventa realizzabile solo attraverso l’amore per la patria, la resilienza e l’unità nazionale.

Il Vietnam è la nuova locomotiva asiatica

Nonostante il Covid-19, l’economia del Vietnam non arresta la sua corsa e registra la migliore crescita economica del 2020

Il Vietnam si conferma l’economia asiatica con le migliori prestazioni del 2020, nonché una delle poche ad aver risentito marginalmente della crisi economica che ha colpito tutto il mondo. Grazie all’efficace contrasto alla pandemia di Covid-19, il Paese asiatico è stato uno dei pochissimi Stati al mondo a non registrare alcuna contrazione nella crescita del PIL nell’anno appena passato, assicurandosi così, nel 2021, una posizione di vantaggio rispetto agli altri competitor regionali.

Se, infatti, l’emergenza sanitaria ha messo in ginocchio le economie di gran parte del mondo, il Vietnam è riuscito a contenere con successo la diffusione dei contagi, vantando un totale di poco più di 1.800 casi e appena 35 decessi fino ad oggi. Cifre decisamente inferiori a quelle a cui siamo abituati, considerando soprattutto che il Vietnam ha una popolazione di quasi 98 milioni di persone. Basandosi anche sulle precedenti esperienze epidemiologiche, come la SARS del 2003, il governo vietnamita è stato capace di implementare rapidamente un minuzioso piano di emergenza, settimane prima che le altre nazioni prendessero in considerazione l’idea di correre ai ripari. Le frontiere con la Cina sono state rapidamente chiuse e, in aggiunta alle restrizioni sui transiti internazionali, il governo ha disposto uno stringente monitoraggio dei contagi, avviando una scrupolosa opera di tracciamento della diffusione del virus. Tutti sforzi ampiamente ripagati, che hanno consentito al Paese di registrare una crescita economica del +2,9% nel 2020, superiore persino al tasso di crescita cinese attestato attorno al +1,9%. La tempestiva risposta alla pandemia ha inoltre contribuito ad attirare una cospicua fetta di investimenti diretti esteri e ad aumentare l’import-export. 

In quest’ultimo ambito, l’espansione dell’economia vietnamita è in gran parte trainata dai numerosi trattati commerciali conclusi nel 2020. Il primo è l’accordo di libero scambio siglato con l’Unione Europea, entrato in vigore nel giugno dell’anno scorso, a cui ha fatto seguito il Regional Comprehensive Economic Partnership, che ha dato vita al blocco commerciale più grande del mondo riunendo 15 economie asiatiche e oltre due miliardi di persone. In virtù della Brexit, inoltre, il Vietnam ha firmato un nuovo accordo di libero scambio con il Regno Unito, in sostituzione di quello sottoscritto con l’UE. Infine, il Paese ha siglato degli accordi bilaterali con il Giappone e la Corea del Sud e ha aderito insieme ad altre undici nazioni del Pacifico al Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership.

Anche il settore dei servizi, che ha risentito maggiormente della pandemia, è riuscito a riprendersi nell’ultimo trimestre del 2020 e, nonostante si preveda una naturale contrazione del turismo per il 2021, gli analisti hanno calcolato un calo del PIL solo dell’1,5% inferiore a quello potenziale se non si fosse verificata l’emergenza sanitaria. 

Malgrado le circostanze sfavorevoli, dunque, per il Vietnam sembra profilarsi un futuro piuttosto roseo. La società di consulenza britannica Center for Economics and Business Research ha infatti stimato una crescita esponenziale per lo Stato asiatico, che porterebbe il Vietnam a diventare la 19esima economia mondiale entro il 2035. Con un aumento potenziale del Pil del 7,7% nei prossimi 10 anni e del 6,6% negli anni seguenti, il Vietnam dovrebbe riuscire a superare agilmente altre potenze regionali.

Gli obiettivi di crescita sono stati rimarcati durante il 13° Congresso del Partito Comunista, conclusosi domenica 31 gennaio con la rielezione per il terzo mandato consecutivo di Nguyen Phu Trong a Segretario Generale del Partito.  Il Congresso ha definito la traiettoria economico-politica del Vietnam per i prossimi cinque anni, spingendo sulla riqualificazione del Paese in termini di sviluppo scientifico e tecnologico.

Comprensibilmente, la crescita economica andrà di pari passo con l’affermazione sulla scena internazionale. Anche in tale contesto per il Vietnam il 2020 è stato un anno fortunato; ha ottenuto maggiore visibilità sul piano delle relazioni estere ricoprendo la Presidenza dell’ASEAN ed è stato selezionato come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti per il biennio 2020-2021, svolgendo con successo le sue mansioni internazionali. In merito alla Presidenza, il Vietnam ha promosso la reattività del blocco, limitando i danni della pandemia e assicurando, allo stesso tempo, l’elaborazione dell’agenda prefissata per il 2020. Ma, tra i maggiori successi di cui Hanoi può fregiarsi, vi è senza dubbio la redazione di una risoluzione delle Nazioni Unite per l’istituzione della Giornata internazionale della preparazione alle epidemie, fissata per il 27 dicembre. In sintesi, tra vittorie diplomatiche e commerciali, il Vietnam chiude trionfalmente uno dei peggiori anni della storia.

Una terza strada per UE e Vietnam

Come e perché l’Accordo di libero scambio commerciale cambierà per sempre le loro relazioni diplomatiche

“Gli accordi di libero scambio (ALS) offrono alle nostre aziende un’occasione di accesso ai mercati emergenti e creano posti di lavoro per gli Europei. […] Sono convinta che l’ALS sarà un’opportunità anche per il Vietnam, che godrà di maggiore prosperità economica, e più diritti per lavoratori e cittadini”.

Con queste parole la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha commentato l’entrata in vigore dell’ALS tra UE e Vietnam il 1° Agosto 2020. È stato definito l’accordo commerciale più completo che l’UE abbia mai stretto con un Paese in via di sviluppo, e punta ad eliminare il 99% dei dazi commerciali entro dieci anni. Tuttavia, l’accordo non solo segna una svolta nelle relazioni economiche, ma è anche l’inizio di una nuova era nel campo diplomatico.

Le relazioni tra UE e Vietnam cominciano ufficialmente nel 1990, appena pochi anni dopo il passaggio del Vietnam ad un’economia orientata al mercato, grazie alle riforme economiche che prendono il nome di Đổi Mới (lett. “rinnovamento”). Questa prima fase, che gli esperti di relazioni internazionali Nguyen e Mascitelli chiamano “inaugurazione dell’amicizia”, vede un approccio perlopiù unidirezionale, con l’UE che fornisce aiuti umanitari e sostiene progetti di sviluppo sostenibile. Il periodo di “conoscenza reciproca” termina nel 2006, quando l’economia vietnamita vive una fase di rapida espansione. Questa seconda fase viene chiamata “rafforzamento dell’amicizia”: le relazioni commerciali ed economiche diventano di gran lunga più importanti dell’assistenza umanitaria; il Vietnam viene ammesso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2007; e cominciano i negoziati per l’ALS. Dopo appena trent’anni, oggi l’UE è il quarto partner commerciale più grande del Vietnam, mentre il Vietnam è il 17esimo più grande per l’EU e il secondo tra tutti i Paesi membri dell’ASEAN. Inoltre, con investimenti per un valore totale di oltre sei miliardi di euro nel 2017, l’UE è uno dei maggiori investitori stranieri in Vietnam.

Oggi per il Vietnam, ma anche per altri Paesi ASEAN, l’espansionismo cinese nel Mar Cinese Meridionale è una sfida particolarmente delicata. Tuttavia, nessuno di loro può correre il rischio di esporsi apertamente, sia per il timore di perdere gli incentivi economici offerti dalla Nuova Via della Seta cinese, sia perché non sembra esserci una presa di posizione decisa da parte degli Stati Uniti. In questo contesto, una relazione più stretta con l’UE potrebbe fornire al Vietnam una “terza strada” per continuare a crescere economicamente, e non essere costretto ad allinearsi con Cina o Stati Uniti se il conflitto nella regione dovesse esacerbarsi. 

Il 2020 è stato un anno chiave per stringere l’accordo: in questo anno, infatti, il Vietnam è stato il Paese di turno alla Presidenza dell’ASEAN. Hanoi ha invocato un approccio “compatto ed efficiente” in risposta alle minacce poste dalle nuove sfide globali. Un approccio che potrebbe guidare l’ASEAN verso un orientamento comune anche nelle relazioni diplomatiche con l’UE.

Per l’UE, l’accordo spiana la strada verso intese future con altri Paesi membri dell’ASEAN. Ne consegue che nell’antagonismo fra le due grandi potenze, Stati Uniti e Cina, anche il Sud-Est asiatico emerge come un partner prezioso per i membri dell’Unione, non solo a livello commerciale, ma soprattutto per rafforzare la sua sfera d’influenza in questa parte del mondo. Nel suo comunicato ufficiale del 20 settembre 2020, anche l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Borrell ha reiterato l’importanza di stringere legami più forti con il Sud-Est asiatico. 

Inoltre, il 2020 non è stato un anno chiave solo per il Vietnam. Nel 2020 l’UE ha scoperto l’urgente bisogno, rivelato dalla crisi Covid-19, di diversificare le catene di approvvigionamento e rafforzare il suo sistema produttivo. Nel momento in cui le attività produttive in Cina sono state sospese a causa della pandemia, improvvisamente l’UE ha realizzato di dipendere troppo da un singolo Paese per la sua catena di approvvigionamento, senza il quale non è in grado di mantenere dei livelli di produttività adeguati. Negli anni a venire, ridurre la vulnerabilità dei settori industriali principali sarà quindi di fondamentale importanza, per non farsi cogliere impreparati in caso di nuove interruzioni dei flussi commerciali. Il Vietnam è già emerso come un alleato prezioso all’inizio delle tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti. Ad oggi, è una delle destinazioni preferite per gli investimenti delle aziende europee all’estero. Specialmente le aziende italiane stanno trasferendo gran parte delle capacità produttive dalla Cina al Sud-Est asiatico, attratte dal sistema economico particolarmente favorevole. Un trend destinato a crescere in futuro.

Le premesse sono buone per affermare che una terza fase nelle relazioni diplomatiche stia per prendere il via, grazie alla ratifica dell’ALS: ovvero, quella del “supporto reciproco” in tempi segnati dalle tensioni tra Cina e Stati Uniti e dalla nascita di nuove forze geopolitiche. Questo accordo è un’opportunità unica che, se sfruttata correttamente, potrebbe trasformarsi in una alleanza strategica di grande effetto.