Hanoi si avvicina al Congresso del Partito Comunista del 2026 con un programma molto ambizioso
Di Francesco Mattogno
Secondo il segretario generale del Partito Comunista del Vietnam (CPV), To Lam, il Vietnam sta per entrare «nell’era dell’ascesa nazionale», definita come un «nuovo punto di partenza storico» che trasformerà negli anni a venire il ruolo e la rilevanza del Vietnam all’interno dell’ordine internazionale. Ne aveva parlato per la prima volta davanti ai colleghi di partito lo scorso 13 agosto, dieci giorni dopo il suo insediamento alla segreteria del CPV, ripetendosi poi in discorsi pubblici, comunicati ufficiali e nell’ambito di vari incontri diplomatici.
Nella teoria del segretario generale – approvata a settembre dal Comitato Centrale del partito, che l’ha quindi resa una dottrina ufficiale – la storia moderna del Vietnam si può suddividere in tre periodi: l’era dell’indipendenza e del socialismo (1930-1975), l’era della riunificazione e delle riforme Doi Moi (1975-2025) e l’era dell’ascesa nazionale, appunto, che partirà con il 14° Congresso del CPV nel 2026 per poi terminare nel 2045.
Come scritto dall’analista Phan Xuan Dung su Fulcrum, la periodizzazione presentata da Lam supporta una narrazione di progressione lineare verso una maggiore forza e prosperità del Vietnam, che nel Novecento ha combattuto due guerre per liberarsi dal colonialismo occidentale prima di intraprendere un percorso di crescita continua. Oggi però, dice Lam riferendosi alle varie crisi internazionali e all’avanzamento delle nuove tecnologie, il mondo si trova in una fase di «cambiamenti che definiscono un’era», alla quale il Vietnam non deve farsi trovare impreparato.
Il leader del CPV ha quindi definito gli anni che vanno dal 2024 al 2030 come un «periodo di sprint» decisivo, che risulterà fondamentale per stabilire la forma del nuovo ordine internazionale. Non c’è tempo da perdere, insomma. Per questo negli ultimi mesi Hanoi ha iniziato a prendere varie decisioni politiche radicali che serviranno a plasmare la «nuova era», accelerando l’implementazione di molti progetti infrastrutturali rimasti in sospeso a volte per decenni (come la costruzione di ferrovie ad alta velocità o di nuove centrali nucleari) e, soprattutto, riformando gran parte del sistema burocratico del paese.
L’enorme ristrutturazione burocratica voluta da Lam negli ultimi mesi ha portato alla chiusura di cinque ministeri e di altre agenzie e dipartimenti governativi, le cui responsabilità sono confluite all’interno di istituzioni e dicasteri già esistenti. Dopo anni di aggiustamenti graduali, l’apparato di polizia è stato ulteriormente centralizzato attraverso la rimozione dei dipartimenti a livello distrettuale, mentre la seconda rete televisiva del paese (la VTC) è stata chiusa lasciando a casa più di 800 impiegati nell’ambito di un più generale ridimensionamento del settore dell’informazione.
L’obiettivo ufficiale delle riforme è quello di ridurre la burocrazia e tagliare i costi, migliorando a conti fatti l’efficienza del governo. Dopo l’importante +7,09% registrato nel 2024, Hanoi si è data un ambizioso obiettivo di crescita di PIL per il 2025 tra l’8% e il 10%, con un più ampio target di crescita in doppia cifra per il periodo 2026-2030. Secondo gli esperti, come Alexander Vuving, che ne ha scritto sul Diplomat, la leadership vietnamita sa che per garantirsi una crescita di questo tipo l’economia dovrà essere trainata dal settore tecnologico e guidata da una pubblica amministrazione snella e competente.
A dicembre, per la prima volta dopo decenni in cui la questione era sempre stata affrontata in modo un po’ fumoso, il Politburo del CPV si è impegnato politicamente nel definire «la scienza, la tecnologia, l’innovazione e la trasformazione digitale» come i cardini dello sviluppo economico del paese. Contestualmente Lam, in qualità di segretario generale, è stato nominato a capo della Commissione direttiva centrale per lo sviluppo della scienza, della tecnologia, dell’innovazione e della trasformazione digitale, ed è stato deciso che il governo dovrà destinare a tale scopo almeno il 3% del budget annuale.
Negli ultimi anni, beneficiando degli scontri tecnologici e commerciali tra Pechino e Washington, il Vietnam si era già trasformato in una destinazione gradita dalle multinazionali tecnologiche (soprattutto americane) interessate a delocalizzare la produzione dalla Cina. Salvo rare eccezioni, però, la manifattura vietnamita nel settore delle nuove tecnologie si è quasi sempre limitata all’impiego di operai scarsamente qualificati, dimostrandosi poco avvezza all’innovazione (non è un segreto che nel paese manchino ingegneri, per esempio). Lam sta provando a cambiare questo paradigma.
Prima di diventare segretario (passando per un periodo ad interim da presidente) Lam è stato per anni il ministro della Sicurezza Pubblica incaricato di guidare la campagna anti-corruzione, che ha usato per farsi strada nel CPV, purgando nemici e avversari politici. Oggi, per opera di Lam, sei membri su quindici del Politburo del partito provengono dall’apparato di sicurezza, mentre lo stesso ministero della Sicurezza Pubblica ha preso in carico molte delle funzioni dei ministeri e dei dipartimenti appena tagliati dalla ristrutturazione burocratica. Ed è in questa centralizzazione del potere che risiede probabilmente l’altro obiettivo della dottrina di Lam sulla nuova era.
Presentare i prossimi anni come quelli decisivi per “l’ascesa” (vươn mình) del Vietnam è anche un modo per legittimare il suo mandato, facendo leva sul senso di urgenza per giustificare cambiamenti rapidi e radicali. In un momento storico spartiacque, Lam può dunque dipingersi come l’architetto di un cambiamento epocale, che non pare comunque portare cambiamenti riguardo la postura internazionale di Hanoi, che resta impostata sulla bamboo diplomacy di Trong. Il Vietnam incarna forse più degli altri l’equilibrismo diplomatico della regione, essendo in grado di mantenere ottimi rapporti contemporaneamente con Russia, Cina e Stati Uniti.