Dal 22 gennaio Bangkok è il primo Paese del Sud-Est asiatico a consentire le nozze tra persone dello stesso sesso. Un evento di portata storica
Vittoria Mazzieri
Dopo il voto favorevole di Camera dei rappresentanti e Senato della Thailandia, rispettivamente ad aprile e a giugno 2024, il Marriage Equality Bill è stato approvato dal re Maha Vajiralongkorn a settembre. Un evento storico che ha confermato le speranze di migliaia di coppie Lgbtq+, in attesa di celebrare legalmente la loro unione. Dalla firma del sovrano, come comunicato dalla Royal Gazette, devono trascorrere 120 giorni affinché la legge entri in vigore.
Dal 22 gennaio la Thailandia è il primo Paese del Sud-Est asiatico ad aver compiuto questo passo. La nuova legge thailandese concede anche i diritti all’adozione, all’assistenza sanitaria e all’eredità, oltre a modificare il Codice civile e commerciale della nazione con termini come “individui”, al posto di “uomini” e “donne”.
Bangkok si avvicina alla data catartica con una serie di riconoscimenti alle spalle. A giugno del 2024 le strade della capitale hanno ospitato un pride da record con oltre 200 mila persone presenti, il più grande della storia del paese. E alcune città hanno festeggiato la loro prima parata, tra cui la piccola località balneare di Hua Hin e Phuket, capitale dell’omonima isola diventata una delle mete turistiche più popolari del paese.
Ad agosto, inoltre, le autorità per l’immigrazione hanno lanciato la campagna “Welcome Pride by Immigration”, facendo uso come già accaduto per altre comunicazioni della sigla estesa lgbtqia2s+ (dove “2s” sta a indicare i “due spiriti”, termine della tradizione delle comunità indigene nel Nord America). In sostanza, uno sforzo congiunto per far fronte ai problemi che in sede di controlli possono nascere quando si registrano discrepanze tra l’aspetto fisico, qualora ci si trovi davanti a una persona che si è sottoposta a interventi chirurgici e terapie ormonali, e i marcatori di genere sul passaporto, spesso regolati dalle leggi dei paesi di origine. Agli uffici di competenza viene ora chiesto di esaminare documenti di identità alternativi, come cartelle cliniche e dati biometrici.
Questa misura ha contribuito alla solida reputazione che la Thailandia ha costruito nel tempo: una sorta di paradiso per la comunità lgbtq+, dove locali gay friendly ormai iconici sorgono negli stessi quartieri divenuti tappe obbligate per i fruitori dell’enorme industria sessuale del paese (che incide per oltre il 10% sul Pil nazionale). A Bangkok e a Pattaya, sulla costa occidentale, eventi drag si svolgono a fianco dei go-go bar dove si affollano giovani e paganti turisti maschi. Sul portale Medium, l’utente Tracy.3 racconta le proprie esperienze personali citandone alcuni: l’ormai celebre DJ Station, a Si Lom Road, e The Stranger Bar, a Soi 4, entrambe affollate vie di Bangkok. Ma anche il Silversands Bar a Samed, piccola isola diventata dagli anni Ottanta una popolare meta turistica.
L’impatto economico di questo genere di attività non è passato inosservato. Se ne parla addirittura in termini di “baht rosa”, a indicare la capacità di spesa dei consumatori queer a cui le agenzie sparse in tutto il paese dedicano pacchetti di viaggio sempre più specifici. “Abbiamo qualcosa per tutti”, si legge sul sito di “Go Thai Be Free”, la campagna lanciata nel 2022 dall’Autorità per il turismo (TAT) per incoraggiare le persone della comunità a visitare il paese. Sulla piattaforma la Thailandia viene presentata come “il paese più accogliente per le persone lgbtq+ in Asia”.
In termini di impatto turistico, il 2025 si prospetta come un anno ancora più promettente. Intanto, nel tentativo di recuperare lo slancio perso durante il Covid-19, il governo thailandese ha recentemente fissato per il 2025 l’obiettivo di superare gli ingressi registrati nel 2019 e toccare quota 40 milioni di visitatori. Una sfida per Paetongtarn Shinawatra, erede della più famosa dinastia politica thailandese ed eletta premier lo scorso agosto dopo lo scioglimento del Move Forward, il partito progressista che aveva tecnicamente vinto le elezioni del 2023: si punta a crescere e raggiungere numeri da record, al contempo dovendo rispondere agli avvertimenti sull’impatto del turismo di massa sulle aree naturalistiche. Una tra tutte Maya Bay, sull’isola di Ko Phi Phi Leh, chiusa ai visitatori dal 2018 al 2022.
I “baht rosa” contribuiranno allo scopo. Un rapporto commissionato dalla piattaforma di viaggi Agoda stima che la nuova legge potrebbe far crescere del 10% i viaggi in entrata, con un aumento di oltre 2 miliardi di dollari della spesa turistica. I diretti interessati potrebbero essere le oltre 3,5 milioni di persone che vivono a meno di cinque ore di volo e a cui è negata la possibilità di convolare a nozze nel loro paese di origine. “Stiamo già prendendo registrazioni di coppie internazionali pronte a sposarsi in Thailandia”, ha dichiarato l’attivista Ann Chumaporn, cofondatrice del Bangkok Pride, che intende coinvolgere oltre mille coppie lgbtq+ per un matrimonio di massa che si svolgerà proprio il 22 gennaio.
Ma al di là dei riconoscimenti ottenuti e del grado di visibilità raggiunto nei media, sono necessari tempo e impegno per allentare lo stigma sociale che ancora permea gran parte della società. “Tolleranza e visibilità non equivalgono a sicurezza e diritti”, avvertono gli attivisti. Da un rapporto risalente al 2019 del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) emerge che il 50% delle persone queer intervistate ha subito discriminazioni nel contesto familiare. Lo scenario che si delinea è chiaro: i thailandesi sono generalmente più tolleranti fuori che dentro la propria famiglia.
La Thailandia continuerà a essere un’isola felice per i turisti queer, ma le associazioni puntano ai grandi eventi per rafforzare il proprio riconoscimento sul fronte internazionale. Phuket è stata proposta come città ospitante per l’InterPride 2025, l’incontro di tutte le associazioni attive per i diritti della comunità che quest’anno si è tenuto a Medellín, Colombia. E l’intenzione è di dimostrare il proprio “rainbow soft power” mirando all’evento più grande: il WorldPride del 2030.