Singapore

Singapore può sorpassare Hong Kong?

La diatriba tra Pechino e Hong Kong sta portando gli investitori esteri sempre più verso Singapore

Negli ultimi anni la pressione di Pechino sulla politica interna di Hong Kong ha generato risvolti evidenti non solo per quanto riguarda il lato politico-amministrativo dell’isola, ma finendo anche per colpire indirettamente la sua economia. Le rivolte ad Hong Kong hanno messo in allerta gli investitori esteri che avrebbero iniziato a reindirizzare sempre di più i propri investimenti verso Singapore, fino a poco tempo fa il secondo maggiore hub finanziario del Sud-Est asiatico. 

La causa scatenante di questo trend è proprio l’influenza politica della Cina su Hong Kong: per la città-Stato infatti sta velocemente svanendo la definizione di “uno Stato, due sistemi” che era stata adottata nel 1997, anno in cui il Regno Unito aveva restituito la sovranità di Hong Kong alla Repubblica Popolare Cinese. 

Proprio il mese scorso l’Heritage Foundation, un think tank americano che si occupa di analizzare i dati di tutti i Paesi del mondo e di stilare le caratteristiche economiche degli stessi, ha deciso di eliminare Hong Kong dalla classifica e i suoi dati non sono più disponibili sul sito dell’associazione: un duro colpo per Hong Kong che dal 1995 al 2019 era considerata dalla fondazione americana come il Paese con l’economia più libera al mondo, luogo ideale per i grandi investitori esteri. 

La scelta deriva dal fatto che Hong Kong sotto il profilo politico-burocratico non è più considerata autonoma e l’associazione ha quindi deciso di unirla ai dati della Cina, posizionata al 107esimo posto tra le economie più libere. Alla luce di questi sviluppi sorride Singapore che, dopo aver scavalcato Hong Kong lo scorso anno, oggi continua a mantenere il primo posto della lista con il punteggio di 89,7, staccando ampiamente la Nuova Zelanda di quasi sei punti. 

Se già nel 2019 vi erano le prime avvisaglie di una possibile crisi economica per Hong Kong sempre più accentuata, la legge draconiana sulla sicurezza nazionale, promulgata da Pechino lo scorso luglio, ha fatto sì che alcune aziende corressero ai ripari verso i lidi di Singapore. Deutsche Bank ad esempio ha affermato l’intenzione di spostare l’ufficio del nuovo CEO dell’area asiatica a Singapore, non ritenendo più Hong Kong un luogo sicuro: la nuova legge sulla sicurezza intaccherebbe infatti due dei pilastri principali su cui si fondava la forza attrattiva dell’economica di Hong Kong ovvero la protezione dei diritti di proprietà e la certezza del diritto. Per tali ragioni un altro fenomeno che si è accentuato negli ultimi due anni è la scelta di molte società di affidarsi a giudici arbitrari in altre città come appunto Singapore o Londra, temendo la poca trasparenza della nuova burocrazia di Hong Kong. 

Anche per l’espansione aziendale, le società guardano più verso Singapore: secondo un’indagine del Financial Times, alcune aziende di credito e banche mostrerebbero sempre più interesse nell’ampliare le proprie filiali a Singapore piuttosto che ad Hong Kong: su Linkedin le posizioni lavorative aperte da UBS e JP Morgan a Singapore sono otto volte maggiori di quelle ad Hong Kong, mentre Credit Suisse e Goldman Sachs hanno raddoppiato la propria campagna pubblicitaria a Singapore. 

Non tutti gli analisti sono però concordi in merito al declino di Hong Kong: il forte interesse dei tycoon e delle aziende cinesi stanno dando nuova linfa all’economia dell’isola.

In ogni modo, con i suoi ottimi risultati in termini di protezione dei diritti di proprietà e dell’integrità governativa, Singapore ha l’occasione di imporsi come principale hub per gli investimenti internazionali nel Sud-Est asiatico. 

Articolo a cura di Alberto Botto

Il “One Million Trees Movement” a Singapore

La città-stato mira a riportare la natura in città piantando più di un milione di alberi

In quanto città-stato con risorse terrestri limitate, Singapore è stata a lungo combattuta tra lo sviluppo urbano e la protezione della natura perdendo gran parte dei suoi spazi verdi nel XIX secolo a causa del disboscamento, e un secolo dopo, una popolazione in crescita e il rapido sviluppo urbano hanno fatto sì che altri alberi fossero rimossi per la bonifica del terreno.

Ma ora Singapore sta cercando di invertire rotta organizzando un’ambiziosa campagna di riforestazione. Nell’agosto 2020 infatti, il governo ha annunciato il lancio del nuovo Sungei Buloh Park Network, un parco di 990 acri nella parte settentrionale dell’isola che è un sito di rifornimento e una tappa essenziale per gli uccelli migratori provenienti dalla Russia siberiana e diretti in Australia e che ospita buceri orientali, lontre, coccodrilli di acqua salata, e molte altre specie uniche nel loro genere. Sungei Buloh fa parte però di un progetto più ampio che mira a piantare 1 milione di alberi nei prossimi 10 anni, “Il One Million Trees Movement” lanciato a marzo 2020 dall’agenzia governativa National Parks Board (NParks).

Nei prossimi 10 anni NParks prevede infatti di conservare più di 70 specie animali e vegetali autoctone e di riqualificare 30 ettari di habitat forestali, marini e costieri. La semina a più livelli verrà svolta lungo le strade cittadine, chiamate Nature Ways con l’obiettivo di coprire circa 300 km e trasformare quasi ogni strada della città in una Nature Way a lungo termine rendendo le strade più fresche ed esteticamente più gradevoli. Saranno inoltre disponibili 500 km di connettori per parchi entro il 2030, mettendo effettivamente tutte le famiglie a 10 minuti a piedi da un parco.

Per passare da “città in un giardino” a “città nella natura” Singapore avrà bisogno di mettere in atto quattro spinte chiave: più parchi naturali, trasformazione dell’ambiente selvatico in giardini pubblici, integrazione della natura nell’ambiente edilizio e rendere gli spazi verdi più accessibili. Entro il 2030 infatti, ci saranno altri 200 ettari di parchi naturali, che fungeranno da habitat complementari e proteggeranno le riserve naturali dall’urbanizzazione. Solo per il Khatib Bongsu Nature Park ad esempio è previsto uno spazio di 40 ettari. Anche i corsi d’acqua e i corpi idrici nei giardini e nei parchi saranno protetti dall’innalzamento del livello del mare e dalle inondazioni.

“Gli alberi svolgono un ruolo importante nella creazione di un ambiente vivibile”, ha detto Adrian Loo, direttore di NParks Conservation Group. “Fungono da filtri dell’aria naturali, riflettono il calore radiante rendendo le superfici fredde e forniscono la temperatura ambiente attraverso l’ombra e l’evapotraspirazione; aiutano a mitigare il cosiddetto effetto isola di calore urbana e il cambiamento climatico”. Rendere più verde la città infatti aiuterà anche a mitigare il sopracitato effetto “isola di calore” creato dalla pavimentazione e dai grattacieli, che assorbono e irradiano la radiazione solare e aumentano la temperatura del nucleo urbano di Singapore.

Adrian Loo ha affermato però che affinché il progetto One Million Trees sia efficace, tutti dovranno essere coinvolti: “Il successo del progetto si misura anche dalla nostra capacità di instillare un senso di rispetto tra i singaporiani, nei confronti degli alberi e dell’ambiente”. L’agenzia governativa Clean and Green Singapore(CGS) mira infatti a ispirare gli abitanti della città a prendersi cura e proteggere gli spazi comuni e l’ambiente, adottando uno stile di vita pulito e sostenibile. 

Singapore però non è l’unico Paese dell’ASEAN a portare avanti progetti di questo tipo: l’educazione ambientale è infatti un pilastro importante nella cooperazione dei Paesi membri. Ne è un esempio il programma ASEAN Eco-school, che mira a creare una cultura scolastica orientata alla protezione e conservazione dell’ambiente attraverso la gestione, l’impegno e la pulizia del territorio. Tali attività sono dedicate all’istruzione, facilitando e ispirando le comunità scolastiche a proteggere e sostenere l’ambiente, sia nelle scuole che a casa, ma anche nella comunità e all’interno dello stato in generale. Attualmente, diversi stati membri dell’ASEAN hanno già adottato il programma di eco-scuola tra cui Cambogia, Indonesia, Malesia, Filippine e Thailandia.

Ad oggi i Paesi dell’ASEAN devono affrontare un’enorme sfida nel mantenere un delicato equilibrio tra sostenibilità ambientale e sviluppo economico poiché nonostante l’abbondanza di risorse naturali, il rapido aumento della popolazione e la ancor più rapida crescita economica e industriale rischiano di minacciare le risorse naturali causando gravi problemi ambientali. L’ASEAN ha riconosciuto però la necessità di un grande cambiamento di rotta verso un maggiore equilibrio tra persone, pianeta terra e profitto per un corretto sviluppo sostenibile.

Tale trasformazione richiederà un cambiamento nel modo di pensare e agire delle nuove generazioni del Sud-Est asiatico che devono essere istruite a salvaguardare gli spazi verdi e dare peso alla sostenibilità e l’ambiente, sfruttando anche le opportunità della trasformazione digitale. 

Singapore sede del World Economic Forum 2021

La città-stato ospiterà il World Economic Forum quest’anno data la situazione ancora incerta in Europa per il Covid-19

L’incontro annuale tra i principali decision makers del pianeta si terrà a Singapore dal 13 al 16 maggio, e vedrà la partecipazione di capi di Stato e di governo, amministratori delegati, leader della società civile, media globali e leader giovanili provenienti dai sette continenti. «Un vertice sulla leadership globale è di vitale importanza per affrontare il modo in cui possiamo riprenderci insieme. Il World Economic Forum 2021 sarà il momento in cui i leader del mondo degli affari, della politica e della società civile si incontreranno di persona per la prima volta dall’inizio della pandemia. La cooperazione pubblico-privato è più che mai necessaria per ricostruire la fiducia e affrontare le sfide emerse nel 2020», ha affermato il fondatore e presidente esecutivo del WEF Klaus Schwab. 

All’evento infatti parteciperanno molti accademici, leader mondiali della politica e degli affari per discutere delle questioni più urgenti del momento. Lo scopo è quello di focalizzare gli obiettivi da raggiungere, tra cui lo sviluppo sostenibile, e discutere su argomenti quali tecnologia e governance commerciale.

La decisione del WEF di tenere il suo incontro annuale a Singapore riflette la fiducia che la città-Stato si è guadagnata grazie alla sua gestione della pandemia di Covid-19; a differenza delle edizioni precedenti infatti, il meeting del 2021 non si terrà nella cittadina svizzera di Davos. «Dopo un’attenta valutazione, e alla luce della situazione attuale per quanto riguarda i casi di Covid-19, è stato deciso che Singapore era nella posizione migliore per ospitare la riunione» ha affermato un portavoce del  WEF.

La città-stato ha infatti tenuto sotto controllo il virus con misure rigorose come l’implementazione di un blocco parziale per due mesi, l’obbligo di indossare la mascherina e la limitazione degli incontri sociali. Ciò ha permesso all’economia di riaprirsi gradualmente da metà giugno, con casi quotidiani nella comunità che si riducono a cifre minime o addirittura a zero, mentre la maggior parte dei nuovi casi viene importata.

Infatti nonostante l’impatto economico della pandemia, Singapore è riuscita ad attirare investimenti esteri per un valore di 13 miliardi di dollari nei primi quattro mesi del 2020, ha dichiarato Chan Chun Sing, affermando che questi investimenti provengono dai settori dell’elettronica e della tecnologia. Tra le aziende che hanno investito nella città-Stato si annovera l’azienda di elettronica Micron, le piattaforme di e-commerce Lazada e Shopee, e l’azienda di produzione Thermo Fisher Scientific

Anche compagnie come Twitter, Tencent, Zoom, Snap e Rakuten Mobile si sono espanse a Singapore nel bel mezzo della pandemia globale, ma la città-stato non è estranea ai frequenti investimenti delle società tecnologiche poiché ne ospita ad oggi 80 delle 100 più innovative al mondo. Il fattore principale che ha spinto queste società ad espandersi nel Sud-Est asiatico è la presenza di circa 650 milioni di persone, più della metà delle quali ha meno di 30 anni. Uno dei motivi è anche la rapida digitalizzazione dell’ASEAN, la fiorente classe media, la rapida urbanizzazione e industrializzazione e, gli effetti del Covid-19 che stanno facendo crescere la domanda in settori quali l’e-commerce e la robotica. 

Per questo motivo, molte aziende internazionali sono alla ricerca di un hub all’interno dell’ASEAN in cui sia facile fare affari e che contenga un denso ecosistema di clienti, fornitori e partner. Anche le compagnie che hanno già sede in Asia hanno scelto di stabilire una presenza a Singapore, come il colosso tecnologico cinese, Tencent Holdings, che ha annunciato nel settembre 2020 di aver scelto Singapore per supportare la sua espansione nell’ASEAN. 

La leadership globale di Singapore nel campo del digitale è il risultato di anni di iniziative del settore tecnologico supportate attivamente dal governo. A queste si sono accodate anche iniziative private come quella di Google, che ha lanciato lo Skills Ignition SG nel luglio 2020 con l’obbiettivo di formare i partecipanti a lavori relativi al marketing digitale e alla tecnologia cloud. Le tariffe dei programmi di formazione e lo stipendio mensile dei partecipanti sono coperti dal governo di Singapore che, supportando l’industria tecnologica nella creazione di tali iniziative, può garantire che le aziende interessate abbiano accesso a tecnici competenti pronti a supportare le loro esigenze nella città-Stato. 

La digitalizzazione quindi avrà un impatto molto significativo sul mercato del lavoro, e Singapore in qualità di hub finanziario del Sud-Est asiatico, beneficerà della crescita e della trasformazione economica dell’Asia post Covid-19. Per mantenere questo status, però, avrà bisogno di continuare ad essere la sede operativa centrale globale e regionale delle istituzioni finanziarie, attirando tecnici altamente qualificati, assumendo responsabilmente in ogni settore professionale e distribuendo i benefici tra gli abitanti di Singapore, valorizzando anche i talenti locali.

Singapore punta sulle cripto-valute

Come Singapore sta diventando la nuova capitale delle monete virtuali in Asia 

Alla fine di ottobre di ques’tanno sul sito della DBS di Singapore, una delle maggiori banche del Sud-Est asiatico, sono apparse per errore informazioni relative all’imminente lancio di un exchange di cripto-valute; prontamente eliminate, vennero però riportate da un utente su Twitter. Stando a queste indiscrezioni, la nuova piattaforma permetterebbe di scambiare le nascenti monete elettroniche con alcune delle principali valute asiatiche. Il progetto includerebbe anche una piattaforma per security tokens e per la digitalizzazione di assets, oltre a servizi di custodia di cripto-valute e tokens. Ad oggi il progetto risulterebbe ancora in lavorazione e in attesa di autorizzazione da parte delle autorità locali. Si tratta di una delle ultime notizie che confermano non solo l’interesse di Singapore per la digitalizzazione della finanza, ma anche della presa d’atto da parte di istituti bancari tradizionali del ruolo che le cripto-valute già svolgono nei nostri sistemi economici. 

Nella città-stato hanno già sede diverse aziende leader nell’ecosistema delle cripto-valute, quali Binance (piattaforma di trading), Wirex (piattaforma di pagamenti) e Coinbase (exchange di cripto-valute). Singapore inoltre, ha visto incrementare le proprie start-up blockchain con 91 nuovi progetti nel 2020, per un totale di 234 nuovi attori nel settore. Alcune di queste sono coinvolte in progetti con Mastercard, Visa, Alibaba, Tencent e Facebook.

Nella più vasta area dell’Asia-Pacifico, i primi ad aver autorizzato le cripto-valute sono stati il Giappone, le Corea del Sud e la Cina, salvo poi, in alcuni casi, porre restrizioni o bandirne l’utilizzo. Singapore, al contrario, ha adottato una strategia meno improvvisata. La Monetary Authority of Singapore (MAS) – la Banca centrale e autorità di vigilanza e regolamentazione dei mercati finanziari – ha proattivamente seguito l’evoluzione di queste tecnologie e le relative iniziative imprenditoriali. In un primo momento ha tutelato i consumatori e gli investitori sia consigliando di prestare attenzione ai rischi connessi ad alcuni tipi di investimenti, sia intervenendo direttamente, chiedendo che venissero rimborsati investitori locali di un Initial Coin Offerings ritenuta in violazione delle regolamentazioni locali. Infine mettendo sotto sorveglianza degli exchange di cripto-valute che operavano senza aver fornito informazioni sulle loro attività. 

Gli interventi di regolamentazione non sono volti ad impedire o ostacolare queste iniziative, quanto piuttosto servono a monitorare il settore ed elaborare progressivamente una normativa specifica. Un percorso iniziato nel 2017 con un “Guide to Digital Tokens Offerings”, perfezionato nel 2019 con il Payment Services Act,  entrato in vigore a gennaio 2020. La recente normativa serve a regolare i servizi di pagamento digitali (che includono anche gli exchange di cripto-valute con sede a Singapore): le società di cripto-valute, per poter operare a Singapore, devono ora registrarsi per ottenere una licenza. 

L’aver definito un quadro normativo chiaro in un settore economico in espansione, consentirà a Singapore non solo di mantenere il proprio status di centro finanziario internazionale, ma anche di approfittare di queste tecnologie innovative per attirare nuovi investimenti. Intanto, ricadute positive a livello occupazionale hanno già iniziato a manifestarsi. 

Le applicazioni di tecnologie come la blockchain, inoltre, non sono circoscritte al solo mondo della finanza. La struttura con cui vengono organizzati e custoditi i dati garantisce un alto livello di sicurezza; consente di creare quello che viene comunemente definito un “autentico digitale”. Le sue applicazioni quindi, oltre a quelle a vocazione prettamente monetaria come nel caso del Bitcoin, possono riguardare anche altri ambiti di interesse per una pubblica amministrazione, quali gestione di dati anagrafici, di archivi e altri servizi pubblici.   

La MAS ha anche recentemente comunicato che stanzierà l’equivalente di $180 milioni di dollari nei prossimi tre anni per lo sviluppo del settore finanziario. I fondi verranno allocati per sostenere progetti Fintech e di digitalizzazione della finanza, incluso lo sviluppo dell’intelligenza artificiale applicata al settore finanziario. In associazione con la National University of Singapore e la National Researche Foundation, la MAS ha anche costituito l’Asian Institute of Digital Finance con l’intento di coordinare le sinergie tra università, istituti di ricerca e mondo imprenditoriale, e promuovere iniziative Fintech, la blockchain, piattaforme per la finanza digitale fino ai servizi finanziari di nuova generazione su network 5G. Il tutto inizierà ad operare entro la fine dell’anno. 

Sembra quindi che Singapore stia creando le condizioni per essere un punto di riferimento nell’innovazione tecnologica nel settore della digitalizzazione della finanza e nelle sue varie declinazioni. Le sinergie che sta creando tra indirizzo pubblico e iniziative private potrebbero sicuramente determinare il successo di questi sforzi.  

A cura di Luca Annone

Singapore tra Innovazione e Rinnovamento

Nell’attuale contesto di crisi pandemica, innovazione tecnologica e capacità di rinnovamento saranno cruciali per determinare il futuro del modello Singapore  

La straordinaria trasformazione di Singapore da avamposto commerciale del fu impero britannico a vibrante centro economico del nascente mondo globalizzato è motivo di orgoglio per i Singaporiani e materia di studio per il resto del mondo. Al tempo dell’espulsione dalla Federazione della Malesia, nel 1965, la “Città del Leone” era una piccola isola all’estremo della penisola malese, senza risorse naturali, a parte una posizione geografica strategica ed il potenziale ancora inesplorato di una popolazione giovane e volenterosa formata in gran parte da migranti cinesi. Eppure, nei due decenni immediatamente successivi all’indipendenza, l’economia singaporiana ha registrato una crescita dell’8,5% annuo e, come ricordano spesso i suoi governanti, la neonata città-stato è passata dal terzo mondo al primo nel giro di appena una generazione. 

In molti si sono chiesti quale sia il segreto del successo di Singapore: posizione geografica o conformazione demografica; identità culturale o regime politico; fattori importanti ma, di per sé, non determinanti. “La risposta semplice – secondo l’ex diplomatico singaporiano Kishore Mahbubani – è una leadership fuori dal comune.” Una classe dirigente formata nelle migliori università del Regno Unito e tornata a Singapore con l’ambizione di mettere il tradizionale pragmatismo britannico al servizio del nascente sentimento nazionale. Lo stesso Lee Kuan Yew, padre fondatore e Primo Ministro di Singapore, l’uomo che ha governato la città stato, direttamente e indirettamente per oltre 50 anni, sosteneva che il successo del modello Singapore derivasse dalla sua capacità di rispondere efficacemente all’emergere di nuove situazioni.

Effettivamente il grandioso sviluppo di Singapore non sarebbe forse stato possibile se i suoi leader non fossero stati guidati nelle loro scelte da una salda fede nell’innovazione tecnologica e da una ferma convinzione che anche il successo economico dipenda dalla capacità di innovarsi e rinnovarsi. È anche in virtù di questa ‘fede’ che una città-stato conosciuta oggi in tutto il mondo come hub commerciale e finanziario non ha mai voluto rinunciare al settore manifatturiero. Il manifatturiero, motore della crescita economica degli anni ’60, ha attraversato una grande trasformazione tecnologica e rappresenta oggi un settore ad alto valore aggiunto che vale il 20% del PIL. Meg Whitman, CEO di Hewlett Packard Enterprise, una delle tante grandi aziende che ha deciso di puntare su Singapore, ha soprannominato la città-stato una “Silicon Valley in miniatura”. Le notizie di queste settimane sembrano confermarlo: messe alla porta nell’America di Donald Trump, le cinesi ByteDance e Tencent hanno pensato di ripartire proprio da Singapore con investimenti di svariati miliardi di dollari.

Da diversi anni ormai Singapore occupa le prime posizioni del Global Competitiveness Index e dell’Ease of Doing Business Index, solo per citare due degli innumerevoli indicatori mondiali che celebrano la città-stato come uno dei miglior luoghi al mondo per fare impresa. Ciò è possibile non solo grazie all’avanzato sistema finanziario e giudiziario, ma anche grazie a infrastrutture fisiche e digitali all’avanguardia. E’ proprio su queste ultime che il governo intende puntare per superare la crisi innescata dalla pandemia di Covid-19, che ha trascinato la città-stato nella peggiore recessione dal 1965. Singapore, nelle parole dell’attuale Primo Ministro Lee Hsien Loong, si deve preparare ad “un futuro molto diverso” che, come ha spiegato un alto funzionario al Financial Times, sarà fatto di “bit e byte, cavi sottomarini e dati”, non solo cargo e container. 

L’esecutivo ci stava lavorando da tempo: il Covid-19 ha reso necessaria un’accelerata. Già un anno fa, infatti, l’Enterprise Development Board, l’agenzia governativa che da sempre guida lo sviluppo industriale del Paese, presentava ai potenziali investitori esteri i risultati già ottenuti: la più grande concentrazione di cavi sottomarini al mondo, la connessione a banda larga più veloce ed un tasso di penetrazione di cellulari e smartphone del 159%. Il Digital Readiness Index 2019, l’indicatore elaborato da Cisco per identificare i Paesi più preparati ad accogliere le sfide della digitalizzazione, collocava Singapore al primo posto. Complice anche la crescente tensione tra Stati Uniti e Cina e la rapida involuzione della situazione di Hong Kong, anche grandi multinazionali del calibro di Amazon e Alibaba non hanno potuto resistere alla chiamata.

Cinque anni fa, Kishore Mahbubani, in un libro dal titolo evocativo, “Può Singapore Sopravvivere?”, individuava tre pericoli che la città-stato avrebbe dovuto affrontare negli anni a venire: la sfida del populismo, lo scontro geopolitico tra Stati Uniti e Cina, ed un ‘Cigno Nero’, un evento estremamente raro e difficile da prevedere che avrebbe messo in questione la posizione di Singapore nell’ordine mondiale. Almeno per quanto riguarda la sua dimensione internazionale, la profezia può dirsi avverata nel 2020. Dopo un iniziale momento di smarrimento, Singapore sembra aver reagito tornando in sé stessa: una città-stato connessa con il mondo, seppure attraverso nuove vie digitali, senza rinunciare mai all’ambizione di essere amica di tutti e nemica di nessuno. La fede nell’innovazione che ha accompagnato Singapore sin dalla nascita potrebbe garantirle ora la sopravvivenza.

A cura di Francesco Brusaporco

Singapore e la gestione dell’emergenza Covid-19

La particolarità del caso Singapore rivela la complessità del fenomeno pandemico e l’importanza di un approccio cauto.

Il 25 giugno l’Associazione Italia-ASEAN ha organizzato un incontro su Singapore e la sua risposta alla crisi causata dalla pandemia con l’Ambasciatore d’Italia a Singapore, Raffaele Langella, e il Presidente del Singapore Institute of International Affairs, Simon Tay. 

Quando il 23 gennaio Singapore ha accertato il primo caso di Covid-19 sul suo territorio, il governo ha implementato misure rapide ed efficaci che sono riuscite a contenere il virus e a limitare in modo significativo il numero degli infetti. Successivamente, tra febbraio e marzo, Singapore ha vissuto una seconda moderata ondata di contagi, riconducibili ai flussi di Singaporiani rimpatriati dall’estero. Fino ad inizio aprile, dunque, Singapore contava meno di 1000 casi e solo 3 decessi dovuti al virus. Tuttavia, ad aprile, Singapore è stata colpita da una terza ondata di Covid-19. Questa volta la grande maggioranza dei casi si sono verificati tra gli oltre 300.000 lavoratori immigrati che vivono nei grandi condomini alla periferia della città, e il numero delle infezioni è aumentato rapidamente nel giro di poche settimane. A causa di questa nuova impennata, il governo singaporiano è stato costretto a imporre misure più restrittive sugli spostamenti dei cittadini, che in precedenza non erano state ritenute necessarie. Dal 7 aprile, i cittadini singaporiani hanno dovuto infatti rispettare misure preventive chiamate nel loro insieme ​circuit breaker​, che prevedono la chiusura di tutte le attività non essenziali e l’obbligo di rispettare il distanziamento sociale. 

Sul versante dell’impatto economico, si prevede che il PIL di Singapore si contrarrà quest’anno di un valore tra il -7% e il -4% circa. Pertanto, il governo della città-stato ha risposto con un aumento significativo della spesa pubblica, tramite quattro pacchetti di stimoli economici per sostenere l’economia, per un valore pari a circa il 19% del PIL di Singapore. Gli interventi puntano a sostenere le famiglie, le aziende e i lavoratori con misure quali sussidi, moratorie, deduzioni fiscali e forme di finanziamento agevolato per le imprese più colpite (in particolare turismo e aviazione).  

L’evoluzione della crisi sanitaria nella città-Stato ha mostrato allo stesso tempo i punti di forza e le debolezze del sistema Singapore. Le infrastrutture tecnologiche e la ricerca scientifica di alto livello hanno permesso al governo di rispondere con efficacia ai primi casi di coronavirus nel Paese, rivelando una certa prontezza dal punto di vista scientifico. Questo ha permesso a molte attività economiche di proseguire nonostante la pandemia, riducendo l’impatto del virus sul tessuto produttivo del Paese. La pandemia ha però anche mostrato alcune debolezze del sistema Singapore. Come hub commerciale e finanziario, la sua dipendenza dalle interconnessioni regionali e globali ha pesato e peserà molto sulla capacità del governo di rilanciare il Paese. Il traffico aereo e navale è calato drasticamente, e questo rischia di creare gravi problemi all’economia di Singapore. Inoltre, il caso dei lavoratori immigrati ha fatto emergere uno dei pochi punti deboli della città-Stato: una dipendenza diretta dalla manodopera straniera che è fondamentale per l’efficace funzionamento di una smart-city come Singapore. 

Sarà dunque cruciale per la città-Stato riaprire quanto prima il suo sistema economico agli scambi internazionali, al fine di intercettare nuovi trend e rafforzare la dimensione globale dell’economia singaporiana.

Articolo a cura di Tullio Ambrosone