La diatriba tra Pechino e Hong Kong sta portando gli investitori esteri sempre più verso Singapore
Negli ultimi anni la pressione di Pechino sulla politica interna di Hong Kong ha generato risvolti evidenti non solo per quanto riguarda il lato politico-amministrativo dell’isola, ma finendo anche per colpire indirettamente la sua economia. Le rivolte ad Hong Kong hanno messo in allerta gli investitori esteri che avrebbero iniziato a reindirizzare sempre di più i propri investimenti verso Singapore, fino a poco tempo fa il secondo maggiore hub finanziario del Sud-Est asiatico.
La causa scatenante di questo trend è proprio l’influenza politica della Cina su Hong Kong: per la città-Stato infatti sta velocemente svanendo la definizione di “uno Stato, due sistemi” che era stata adottata nel 1997, anno in cui il Regno Unito aveva restituito la sovranità di Hong Kong alla Repubblica Popolare Cinese.
Proprio il mese scorso l’Heritage Foundation, un think tank americano che si occupa di analizzare i dati di tutti i Paesi del mondo e di stilare le caratteristiche economiche degli stessi, ha deciso di eliminare Hong Kong dalla classifica e i suoi dati non sono più disponibili sul sito dell’associazione: un duro colpo per Hong Kong che dal 1995 al 2019 era considerata dalla fondazione americana come il Paese con l’economia più libera al mondo, luogo ideale per i grandi investitori esteri.
La scelta deriva dal fatto che Hong Kong sotto il profilo politico-burocratico non è più considerata autonoma e l’associazione ha quindi deciso di unirla ai dati della Cina, posizionata al 107esimo posto tra le economie più libere. Alla luce di questi sviluppi sorride Singapore che, dopo aver scavalcato Hong Kong lo scorso anno, oggi continua a mantenere il primo posto della lista con il punteggio di 89,7, staccando ampiamente la Nuova Zelanda di quasi sei punti.
Se già nel 2019 vi erano le prime avvisaglie di una possibile crisi economica per Hong Kong sempre più accentuata, la legge draconiana sulla sicurezza nazionale, promulgata da Pechino lo scorso luglio, ha fatto sì che alcune aziende corressero ai ripari verso i lidi di Singapore. Deutsche Bank ad esempio ha affermato l’intenzione di spostare l’ufficio del nuovo CEO dell’area asiatica a Singapore, non ritenendo più Hong Kong un luogo sicuro: la nuova legge sulla sicurezza intaccherebbe infatti due dei pilastri principali su cui si fondava la forza attrattiva dell’economica di Hong Kong ovvero la protezione dei diritti di proprietà e la certezza del diritto. Per tali ragioni un altro fenomeno che si è accentuato negli ultimi due anni è la scelta di molte società di affidarsi a giudici arbitrari in altre città come appunto Singapore o Londra, temendo la poca trasparenza della nuova burocrazia di Hong Kong.
Anche per l’espansione aziendale, le società guardano più verso Singapore: secondo un’indagine del Financial Times, alcune aziende di credito e banche mostrerebbero sempre più interesse nell’ampliare le proprie filiali a Singapore piuttosto che ad Hong Kong: su Linkedin le posizioni lavorative aperte da UBS e JP Morgan a Singapore sono otto volte maggiori di quelle ad Hong Kong, mentre Credit Suisse e Goldman Sachs hanno raddoppiato la propria campagna pubblicitaria a Singapore.
Non tutti gli analisti sono però concordi in merito al declino di Hong Kong: il forte interesse dei tycoon e delle aziende cinesi stanno dando nuova linfa all’economia dell’isola.
In ogni modo, con i suoi ottimi risultati in termini di protezione dei diritti di proprietà e dell’integrità governativa, Singapore ha l’occasione di imporsi come principale hub per gli investimenti internazionali nel Sud-Est asiatico.
Articolo a cura di Alberto Botto