Singapore

Singapore verso le elezioni

Nel 2025 Singapore celebra il 60° anniversario dell’indipendenza e terrà elezioni generali. Dal 1965 ad oggi, Singapore ha avuto solamente quattro primi ministri e un unico partito al potere. Potranno esserci mai sorprese nell’isola dell’ordine?

Articolo di Pierfrancesco Mattiolo

Il 2024 è stato forse “il più grande anno elettorale della storia dell’umanità”, con circa quattro miliardi di persone chiamate alle urne nel mondo. Per ricordarne solo alcuni Paesi: Unione Europea, Stati Uniti, India, Pakistan, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Bangladesh, Sri Lanka. Nel 2025 sarà il turno, tra gli altri, anche di Singapore. Quasi tutte queste consultazioni hanno generato un certo grado di aspettative e incertezza per il futuro. Quelle di Singapore invece sembrano abbastanza scontate. Da quando è divenuta indipendente dalla Malesia, quasi 60 anni fa, la città-stato ha avuto un solo partito al governo, il Partito d’Azione Popolare (PAP), e soli quattro primi ministri. L’attuale primo ministro, Lawrence Wong, è succeduto lo scorso maggio a Lee Hsien Loong, figlio del “fondatore” della moderna Singapore Lee Kuan Yew. I due Lee, padre e figlio, sono stati rispettivamente il primo e il terzo capo dell’esecutivo singaporiano.

Dopo aver raggiunto i 70 anni d’età, Lee junior ha lasciato l’incarico al suo vice Wong giusto in tempo per permettere a quest’ultimo di consolidare la sua figura in vista delle elezioni del prossimo anno. Non è ancora chiaro quando si voterà. Solitamente, il Parlamento viene sciolto prima della dissoluzione automatica imposta dalla Costituzione e dopo che il Comitato incaricato di ridisegnare i confini dei collegi elettorali si è riunito. Formalmente, è il Presidente della Repubblica a sciogliere il Parlamento, su raccomandazione del Primo Ministro, raccomandazione a sua volta approvata dal Parlamento. In altre parole, il processo elettorale è saldamente in mano al PAP, che controlla il Governo e il Parlamento con una maggioranza di più dei due terzi dei seggi. L’incertezza ricopre sia la data sia i confini dei collegi elettorali. A Singapore i collegi vengono ridisegnati quasi ad ogni elezione; come menzionato, la riunione del Comitato preposto costituisce una tappa informale del percorso verso le urne. Queste incertezze rendono più difficile all’opposizione la pianificazione delle loro attività, dato che i loro candidati non sanno che confini avrà il loro collegio o in che giorni assentarsi da lavoro per fare campagna elettorale. Il PAP invece, grazie al proprio monopolio degli incarichi pubblici, può schierare politici a tempo pieno che arrivano pronti all’inizio della breve campagna elettorale.

Queste difficoltà, unite al sistema elettorale fortemente maggioritario, ha permesso al PAP di mantenere una super maggioranza parlamentare fin dall’indipendenza. Nel 2020, il PAP ha ottenuto 83 seggi su 93 con il 61% dei consensi. I due principali partiti d’opposizione, il Partito dei Lavoratori e il Partito del Progresso pesavano circa il 10% ciascuno. Le prossime elezioni potrebbero fornire all’opposizione la possibilità di erodere il dominio del PAP, affaticato da una serie di scandali e dalla transizione da Lee a Wong. Quest’ultimo sta puntando al rinnovamento generazionale per cambiare l’immagine del Partito, troppo legata al potere e alle élite economiche del Paese. C’è insofferenza anche verso gli stipendi altissimi dei membri del Governo: Wong è infatti il premier più pagato al mondo (2,2 milioni di dollari all’anno, contro il reddito medio singaporiano di 47 mila dollari all’anno). A sentire queste cifre, il dibattito italiano sugli stipendi dei politici assume un peso un po’ diverso. Il PAP si difende spiegando che gli stipendi alti servono per attirare talenti dal settore privato al pubblico, ed effettivamente la pubblica amministrazione singaporiana è considerata tra le più efficienti al mondo

Come abbiamo visto in molti Paesi, la retorica antiestablishment può condurre a risultati elettorali sorprendenti e gli analisti suggeriscono che il PAP non dovrebbe sottovalutare tale rischio. Wong può però fissarsi un calendario elettorale molto favorevole. L’isola festeggia il prossimo 9 agosto i 60 anni di indipendenza, ottenuta dopo essere stata espulsa dalla Federazione malese a causa di profonde divergenze politiche. La festa nazionale è seguita ogni anno, a pochi giorni di distanza, da un National Rally Day, in occasione del quale il Primo Ministro tiene un discorso alla nazione per indicare le sue priorità. Le elezioni si terranno probabilmente verso inizio settembre, quindi subito dopo questo periodo di celebrazioni patriottiche guidate dal Governo. Wong avrà inoltre vari mesi di tempo per adottare provvedimenti popolari e una postura più attenta ai problemi sociali, rispondendo così ai malumori dei ceti meno abbienti.È difficile immaginare delle sorprese per le elezioni del prossimo anno. In questi tempi di sommovimenti elettorali, Singapore potrebbe essere uno dei pochi Paesi a non uscire dalle urne con un assetto politico imprevisto (e imprevedibile). Gli elettori saranno chiamati a scegliere tra la stabilità e la continuità del PAP e il cambiamento promesso dall’opposizione, esclusa da sempre dal potere. Come sarà possibile convincerli? Da un lato, le piccole dimensioni del Paese, con due milioni e mezzo di elettori, potrebbero rendere efficaci iniziative di mobilitazione dal basso. Dall’altro, il PAP conta sul supporto dell’apparato statale e della stampa mainstream. E non esita a marginalizzare voci potenzialmente critiche. Alcuni anni fa, il sito internet indipendente The Online Citizen fu costretto a sospendere temporaneamente le sue attività per presunte irregolarità nella pubblicazione delle sue entrate e nel 2021 è stata adottata una legge contro le “interferenze straniere” duramente criticata da Amnesty International. Secondo il Democracy Index 2023 dell’Economist Intelligence Unit, Singapore rientra (insieme all’Italia) nella lista delle “democrazie imperfette”. In una democrazia “perfetta”, forse, le sorprese elettorali sono frequenti.

I vantaggi della ZES Johor-Singapore

L’obiettivo della nuova zona economica speciale creata da Malesia e città-stato è quello di sopperire alle rispettive lacune tramite la complementarità delle due economie per attrarre investimenti

Di Emanuele Ballestracci

Lo stretto di Johor è il confine naturale che separa la regione più meridionale della penisola malesiana, Johor, dalla città-stato di Singapore. La distanza tra le due coste è poco più di un chilometro nei punti di minima ma, nonostante ciò, esistono solo due collegamenti terrestri. Le due sopraelevate “Causeway” e “Tuas Link” risalgono rispettivamente al 1923 e al 1998 e vengono reputate dai più come insufficienti a gestire le oltre 350.000 persone che ogni giorno effettuano il transito transfrontaliero. Gran parte di questo flusso umano sono i residenti della capitale regionale malese di Johor Bahru (JB), lavoratori pendolari che si recano a Singapore per godere degli alti stipendi che la metropoli offre. Questo viaggio dura in media 3 ore totali e nei casi più estremi il tragitto casa-lavoro può arrivare a 7 ore totali, con partenza alle 4 di mattina o ritorno alle 11 di sera. Viceversa, i singaporiani si recano dall’altra parte dello Stretto per passare un weekend fuoriporta o acquistare immobili di proprietà, il tutto a prezzi e cambio di valuta decisamente vantaggiosi. 

Lo Stretto racconta così di due volti del Sud-Est asiatico profondamente diversi fra loro: da una sponda una metropoli simbolo di modernità, efficienza e benessere; dall’altra una regione decisamente più modesta e caotica. Basti pensare che il PIL pro capite di Johor si attesta a 8.600 dollari, mentre quello singaporiano è ben dieci volte tanto. Nonostante queste enormi differenze le due regioni sono profondamente interdipendenti, soprattutto economicamente, tanto da essere state concettualizzate come un’unica “Mega Città-Regione dello Stretto”. Johor fornisce infatti a Singapore beni di prima necessità come risorse idriche e prodotti agricoli, manodopera a basso prezzo e ampi spazi dove locare l’industria manifatturiera singaporiana. Viceversa, la disponibilità di capitale di Singapore, il suo avanguardistico aeroporto e il suo immenso porto, il secondo più trafficato al mondo, stimolano lo sviluppo dell’economia locale di Johor e la collegano alle catene globali del valore. 

Perseguire una maggiore integrazione economica è perciò stata la naturale risposta alle rispettive esigenze di crescita e caratteristiche strutturali. I due governi hanno incentivato questo processo soprattutto a partire dal 1989, anno in cui venne lanciato l’accordo di partnership di crescita triangolare “SIJORI” congiuntamente all’Indonesia. L’idea alla base di tale progetto era di attrarre investimenti tramite la promozione di Singapore, Johor e le isole indonesiane Riau come se fossero un’unica destinazione. La complementarità dei tre territori, già ben collegati fra loro a livello infrastrutturale, avrebbe infatti offerto sia collegamenti alle catene globali del valore e ai mercati finanziari sia terreni e manodopera a basso costo. Successivamente, nel 2006 la Malesia ha lanciato il progetto di corridoio economico “Iksandar Malesia” che, sfruttando la vicinanza geografica a Singapore, avrebbe dovuto attrarre investimenti a Johor Bahru, nonché nelle aree a ridosso del confine con la città-stato. Questa iniziativa top-down da parte del governo di Kuala Lumpur è riuscita a stimolare con successo lo sviluppo locale, nonostante qualche eclatante fallimento come il megaprogetto di Forest City, oggi una città fantasma. 

Il processo di integrazione economica è oggi più che mai incoraggiato dagli esecutivi delle due sponde dello Stretto. L’accordo per la creazione della zona economica speciale Johor-Singapore, JS-SEZ, è infatti stato firmato lo scorso 7 gennaio in occasione dell’undicesimo “Ritiro tra i Leader di Malesia e Singapore”. La sua logica è sempre la stessa: sopperire alle rispettive lacune tramite la complementarità delle due economie per attrarre investimenti. Non solo, l’accordo mira anche a ottimizzare la connettività transfrontaliera per consentire una maggiore circolazione di merci e persone, nonché rafforzare l’ecosistema imprenditoriale all’interno della regione. Nell’ambito della mobilità transfrontaliera negli ultimi anni erano già stati lanciati alcuni progetti chiave. Il sistema di trasporto rapido “RTS Link” dovrebbe infatti essere completato nel 2026. Si tratta di una ferrovia leggera di 4 km che viaggerà tra la stazione sotterranea singaporiana di Woodlands North e il capolinea malesiano in superficie di Bukit Chagar, vicino al checkpoint di Johor Bahru, completando il viaggio in soli 6 minuti. Da gennaio 2024 è inoltre in fase di sperimentazione un nuovo sistema di controllo dei documenti al confine che permetterà l’uso di QR code al posto dei passaporti fisici, consentendo transiti più rapidi. 

Pur nelle loro differenze, Johor e Singapore continuano quindi a rafforzare il loro legame attraverso infrastrutture e progetti comuni, confermando il ruolo cruciale della cooperazione per lo sviluppo del Sud-Est asiatico.

Italia e Singapore, visione comune

Il discorso del Vice Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Valentino Valentini, al Villaggio Italia di Singapore durante la visita della nave Amerigo Vespucci

Singapore è uno dei porti più importanti di tutta l’Asia, una delle piazze finanziarie più importanti e qui non solo portiamo l’Italia e quello che rappresenta ma con il Villaggio Italia portiamo l’esperienza italiana. Questo serve non soltanto come messaggio di amicizia e collaborazione ma anche a favorire sempre di più gli investimenti reciproci che in questo momento si stanno svolgendo dalle due parti degli oceani. L’arrivo dell’Amerigo Vespucci in questo straordinario porto simboleggia l’incontro di due nazioni con storie ricche e intrecciate. Italia e Singapore sono geograficamente distanti, ma vicine nella loro visione di progresso e di sviluppo sostenibile. L’importanza del libero scambio e dei commerci internazionali rimane fondamentale per la prosperità delle nostre nazioni. In un mondo in rapida evoluzione, o piuttosto in pericolosa involuzione, Italia e Singapore rappresentano portali di accesso privilegiati all’Asia, e all’ Europa e attraverso il Mediterraneo al continente africano, facilitando non solo lo scambio di merci, ma anche di idee, tecnologie vettori di pace e stabilità. Italia e Singapore intendono rappresentare un modello per un commercio internazionale che sia al contempo dinamico ma equo, responsabile ed orientato al futuro. Nei prossimi giorni, attraverso una serie di eventi mirati, esploreremo le molteplici opportunità di cooperazione nei settori dell’economia blu, dello spazio, delle tecnologie avanzate e dell’innovazione sostenibile. Le nostre economie, caratterizzate da un tessuto di piccole e medie imprese dinamiche e innovative, trovano in questa collaborazione un terreno ideale per crescere e prosperare. Lo scambio di conoscenze, tecnologie e capitale umano tra i nostri paesi può catalizzare l’innovazione e aprire nuove frontiere in settori strategici come la digitalizzazione, le scienze della vita e le tecnologie pulite. L’Italia, con la sua ricca tradizione manifatturiera, il suo patrimonio culturale e la sua creatività nel design si combina armoniosamente con Singapore, hub globale di innovazione, finanza e tecnologia. Questa sinergia offre opportunità uniche per entrambi i paesi di espandere i propri orizzonti economici e culturali.

Singapore e la “multiculturalità armoniosa”

Sin dalla sua indipendenza nel 1965 la creazione di una “società multietnica armoniosa” è stato uno dei principi che ha guidato l’operato del governo della città-Stato

Di Emanuele Ballestracci

“Noi, cittadini di Singapore, ci impegniamo come un popolo unito, indipendentemente da razza, lingua o religione, a costruire una società democratica basata sulla giustizia e l’uguaglianza, al fine di raggiungere felicità, prosperità e progresso per la nostra nazione”. Ogni mattina migliaia di studenti singaporiani iniziano la loro giornata recitando questo mantra, esemplificazione di uno dei capisaldi del proprio esecutivo: governare tramite le differenze. Sin dalla sua indipendenza nel 1965 la creazione di una “società multietnica armoniosa” è stato infatti uno dei principi che ha guidato l’operato del People’s Action Party (PAP) nel suo ininterrotto governo di Singapore. 

La rilevanza di tale questione è data dalla peculiare composizione della popolazione singaporiana e dagli scontri etnico-sociali che hanno storicamente caratterizzato il suo processo di decolonizzazione, seppur in misura minore rispetto al più ampio contesto regionale. Negli Stati dell’Asia meridionale e del Sud-Est asiatico, soprattutto in Sri Lanka, Indonesia e India, rivolte e scontri violenti tra diverse etnie sono infatti fenomeni che si sono spesso ripetuti dopo la loro indipendenza. Nel 1965, la popolazione di Singapore era composta per circa il 75% da cinesi, 13% da malesi, 7% da indiani e per 5% dai cosiddetti Altri (lavoratori migranti ed Euroasiatici) e le cifre sono rimaste pressoché stabili fino ai nostri giorni. Data tale eterogeneità, la governance etnico-sociale è stata fin da subito una sfida esistenziale per la neonata città-Stato. Proprio gli scontri tra i singaporiani di origine cinese e malese nel 1964, che causarono 36 morti e centinaia di ferite, portarono il fondatore del PAP Lee Kuan Yew ad affossare il progetto federativo con la Malesia e alla conseguente fondazione di Singapore in quanto Stato indipendente. Da allora tali episodi sono diminuiti esponenzialmente, portando Singapore ad essere il tanto decantato modello di ordine e stabilità sociale che è oggi.

Per realizzare una cosiddetta “società multiculturale armoniosa” negli anni il PAP ha lanciato una serie di iniziative di grande successo, prima fra tutte la scelta dell’inglese in quanto lingua franca. Tale scelta permise all’ex colonia britannica di creare uno spazio neutrale in cui sviluppare valori e un’identità condivisa, pur permettendo alle varie etnie di mantenere l’uso della propria lingua tradizionale. Il cinese mandarino, il malese, e il tamil rimangono infatti le lingue ufficiali del Paese e a seconda dell’appartenenza etnica vengono insegnate parallelamente all’inglese. In alcuni casi anche il sistema legislativo è stato adattato alla particolare composizione multiculturale singaporiana e la legislazione sulla famiglia ne è un chiaro esempio. La Carta delle Donne è infatti la principale fonte in materia ma esiste un parallelo sistema legale e giudiziario per dare seguito alla legge musulmana in materia di matrimonio, divorzio, mantenimento, custodia dei figli. 

C’è poi il sistema di quote per l’assegnazione delle abitazioni pubbliche, che corrispondono all’80% del totale a Singapore, creato nel 1989 al fine di rispecchiare la composizione etnica della popolazione in ogni distretto, quartiere e condominio. Ciò ha evitato che si creassero enclave mono-etniche e ha favorito la creazione di comunità multiculturali. Un sistema di quote garantisce anche la rappresentanza minima in parlamento alle minoranze e la carica di Capo di Stato viene tradizionalmente affidata ad un malese o indiano, bilanciando ulteriormente il peso politico di ogni etnia. 

Infine, negli anni è stato promulgato un fitto corpo legislativo che permette al governo di Singapore di punire severamente ogni tipo di violenza o discriminazione razziale, sia essa offline oppure online. Tali pene sono spesso state criticate per essere fin troppe dure, a rimostranza dell’importanza che il PAP attribuisce al tema dell’armonia sociale. Un’ulteriore riprova di ciò è la celerità con cui tali leggi vengono aggiornate per rispondere in maniera tempestiva a nuove forme di odio razziale. 

Tuttavia, non è tutto oro quel che luccica e Singapore non fa certo eccezione. La designazione delle rispettive etnie rimane infatti un processo controverso ed estremamente rigido. Nell’identificare le principali componenti sociali sono state appiattite tutte le specificità al loro interno, di cui tutte e tre erano estremamente ricche. Inoltre, la possibilità di modificare l’identità razziale attribuita è limitata anche per i figli di coppie interrazziali, che devono comunque indicare una “razza principale” per i loro figli a fini amministrativi. Presentano criticità anche il sistema di rappresentanza politica delle minoranze e il pur celebratissimo sistema abitativo. La supremazia politica dell’etnia cinese rimane infatti una costante nella storia della città-Stato, mentre le quote per l’assegnazione di residenze pubbliche hanno distorto il mercato immobiliare, aumentando le disuguaglianze economiche tra la popolazione.

Singapore chiede la riforma dell’Onu

L’Intervento del Ministro degli Affari Esteri Vivian Balakrishnan al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

“Le Nazioni Unite sono a un punto di svolta. Dobbiamo riformare le istituzioni multilaterali e dell’ONU per affrontare le sfide attuali e future, compresa la riforma di questo stesso Consiglio di Sicurezza”, ha dichiarato il Ministro degli Affari Esteri di Singapore di Vivian Balakrishnan, in occasione del dibattito aperto presso la sede delle Nazioni Unite. “Tutti i membri permanenti dovrebbero concentrarsi sull’obiettivo più ampio di garantire la pace e la sicurezza internazionale. Tuttavia, la tendenza all’aumento dell’esercizio del veto suggerisce che non possiamo lasciare che siano i cinque membri permanenti a cambiare volontariamente il loro comportamento. L’ONU nel suo complesso deve accordarsi sulle modalità di esercizio del veto in futuro e Singapore è pronta a discuterne ulteriormente all’Assemblea Generale. L’approccio non è quello di invadere il mandato del Consiglio, ma di evitare azioni che impediscano a questo Consiglio di adempiere al suo mandato”, ha aggiunto. Il riferimento è probabilmente ai veti incrociati posti su alcune risoluzioni riguardanti la guerra in Ucraina e ii bombardamenti su Gaza. “Il ruolo dei membri eletti del Consiglio di Sicurezza deve essere rafforzato”, ha affermato Balakrishnan. “Abbiamo visto come i 10 membri eletti hanno colmato le lacune quando i cinque permanenti erano invece impantanati nella sfiducia e nella paralisi reciproca. Dato il potente ruolo di ponte dei 10 eletti, i membri eletti dovrebbero avere più voce in capitolo nel processo decisionale, e dovrebbero essere autorizzati a guidare o leggere insieme le questioni chiave, in particolare per quanto riguarda le loro rispettive regioni. Il Consiglio di Sicurezza deve anche fare di più per prevenire i conflitti. Dovrebbe lavorare in modo più stretto ed efficace con gli altri organi principali dell’ONU per facilitare l’allarme e la risposta tempestiva. L’articolo 99 della Carta delle Nazioni Unite, che consente al Segretario Generale di portare all’attenzione qualsiasi questione che a suo parere possa minacciare il mantenimento della pace e della sicurezza, è di fatto un potente strumento di diplomazia preventiva. Sono lieto che il Patto per il futuro vi abbia fatto riferimento. Tuttavia, questo Consiglio deve reagire più rapidamente con una risposta concreta quando il Segretario Generale invoca l’articolo 99, in particolare per le catastrofi umanitarie e le atrocità di massa”, ha concluso il Ministro degli Affari Esteri di Singapore.

“Eviteremo conflitti e blocchi commerciali”

Pubblichiamo qui stralci degli interventi del Dr. Ng Eng Hen, ministro della Difesa di Singapore, allo Shangri-La Dialogue

Dobbiamo e possiamo evitare un conflitto fisico in Asia. Né noi nel mondo potremmo sopportare un altro choc geopolitico dopo la guerra in Ucraina e quanto sta accadendo in Medio Oriente. E mi sento di poter dire che uno degli stati d’animo prevalenti tra i ministri e i funzionari presenti al dialogo di quest’anno, rispetto a quello dell’anno scorso, è che ciò che è accaduto in Europa e in Medio Oriente “non deve accadere in Asia”. Stiamo imparando lezioni importanti da compiere o non compiere osservando quanto accade. (…) Direi che si è rafforzata la determinazione affinché il conflitto non debba verificarsi in Asia. Stati Uniti e Cina sono attori predominanti e il loro rapporto influenzerà il futuro dell’Asia-Pacifico. Dallo Shangri-La Dialogue dell’anno scorso, ci sono stati segnali positivi. Joe Biden e Lloyd Austin hanno chiarito che gli Usa vogliono la competizione ma non un conflitto. E in questi giorni il Segretario della Difesa ha sottolineato che una guerra non è né imminente né inevitabile. Xi Jinping ha garantito che non vuole sfidare il ruolo degli Stati Uniti e che non vuole una nuova guerra fredda. (…) Ma in questo flusso di eventi che vede anche segnali di scontri commerciali, è importante aumentare il dialogo ai massimi livelli. Commercio e sicurezza sono due facce della stessa medaglia. L’architettura di sicurezza regionale lascia credere ai Paesi che hanno bisogno di nuove iniziative di deterrenza, ma non bisogna dimenticare del ruolo fondamentale delle rassicurazioni. Nonostante la loro rivalità strategica, sia gli Stati Uniti che la Cina sono fondamentali per l’economia globale, da cui tutti dipendono. (…) Washington e Pechino non hanno bisogno di una terza parte che medi tra loro e dubito anche che una terza parte possa aiutarli. Devono e possono affrontare la questione da soli. Noi, inteso come Singapore e come ASEAN, possiamo favorire l’aumento della cooperazione tra i vari attori regionali e internazionali. Siamo come gli hobbit ne “Il Signore degli Anelli”: l’ASEAN dovrebbe tenere l’anello perché le grandi potenze lo bramano troppo. Noi siamo votati alla neutralità e alla prosperità. Anche se ogni tanto abbiamo delle dispute tra di noi, le risolviamo in modo pacifico. Si guardi agli accordi tra Malesia, Indonesia e Vietnam sul Mar Cinese Meridionale. (…) Il nostro approccio è quello di convincere le potenze, siano esse grandi, medie o di altro tipo, che è nel loro interesse collettivo avere un sistema che protegga i diritti delle potenze grandi e piccole. Un sistema inclusivo per evitare alleanze militari e blocchi commerciali.

Hong Kong e Singapore: modelli di sviluppo e competizione economica

Il modello economico singaporiano è più resiliente e complicato da replicare, poiché si basa su caratteristiche uniche

Di Francesca Leva

La competizione tra Hong Kong e Singapore non è un fenomeno meramente regionale, ma piuttosto globale. Le due città, rinomati centri finanziari e commerciali, non sono solo rivali, ma riflettono altresì lo slancio economico dell’Asia. Sia Hong Kong sia Singapore ospitano alcune delle migliori università, hanno eccellenti infrastrutture e reti trasporto e attraggono turisti da tutto il mondo. In termini di business, sia Singapore sia Hong Kong hanno un sistema legale e fiscale snello, plurime opportunità di investimento e settori estremamente dinamici. Storicamente, sia Hong Kong sia Singapore sono state feroci rivali, ognuna avvantaggiata dalle proprie peculiarità. Tuttavia, a seguito dello scoppio della pandemia e delle rispettive misure governative, è nato un acceso dibattito circa la possibilità che l’età d’oro di Hong Kong stia tramontando a favore di Singapore.

 Hong Kong è rinomata per essere un’economia di libero mercato guidata da commercio internazionale e finanza, dove laissez-faire da parte del governo e tasse molto basse hanno positivamente favorito l’ambiente business.  A Hong Kong solo i guadagni generati entro la giurisdizione sono tassabili, la massima imposta sui redditi d’impresa è del 16.5% e il sistema legale è particolarmente flessibile. Parallelamente, Singapore è stata classificata come il posto più semplice dove fare business, ed è peraltro ritenuta una meta priva di corruzione. Nonostante l’imposta sui redditi d’impresa sia leggermente più alta – 17%- Singapore può altresì contare su un robusto sistema legale e una forza lavoro qualificata ed efficiente. In termini di investimenti, Hong Kong possiede uno dei più ampi stock market ed è, infatti, divenuta un importante hub IPO. Considerando lo stretto contatto con la Cina, Hong Kong origina ed intermedia 2/3 degli investimenti diretti esteri e degli investimenti in uscita da e per la Cina, ed è infatti diventata il più grande offshore hub di Renminbi al mondo. Singapore, dall’altro lato, è famosa per le generose sovvenzioni, prestiti ed incentivi che non mancano di attrarre numerose startups, angeli investitori e venture capitalists.

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Gli sviluppi recenti ad Hong Kong hanno altresì aperto nuovi spazi di competizione: in primo luogo, Hong Kong è dominata da oligopoli e cartelli, soprattutto nel settore di costruzioni, energia e supermercati, mentre Singapore è considerata più innovativa e diversificata. Inoltre le misure pandemiche – che hanno bruciato la maggior parte delle riserve fiscali – e un mercato del lavoro in crisi hanno portato circa 200.000 expats a lasciare Hong Kong: simultaneamente, Singapore ha visto un aumento nel numero di professionisti stranieri del 16%. Contestualmente alla diminuzione del 5%del numero di compagnie straniere a Hong Kong, tuttavia, le aziende cinesi che si sono recentemente rilocalizzate sull’isola sono aumentate del 18%, dando forse vita a un nuovo fenomeno. Come conseguenza della divergenza economica di cui sopra, al 2022 il PIL di Singapore era 1,7 volte superiore a quello di Hong Kong.

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Source: World Bank.

Singapore presenta a sua volta delle problematiche, quali l’utilizzo sempre maggiore della pensa capitale, l’assenza di società civile, nonché’ prezzi degli immobili e costo della vita crescentemente proibitivi. La continua competizione tra i due centri ha inoltre cominciato a coinvolgere la vita sociale e culturale: online è facile imbattersi in dibattiti circa quale delle due città abbia il miglior cibo, la migliore vita notturna, o i migliori paesaggi.

L’aspetto interessante dietro questa competizione, tuttavia, non è quale sia il PIL più alto o chi abbia livelli maggiori di FDI. È piuttosto una tematica di modelli di sviluppo ed economici differenti, che a loro volta impattano sul modo in cui Hong Kong e Singapore sono soggetti e rispondono ai pattern mutevoli della globalizzazione. Le policies adottate a Hong Kong si sono sempre più focalizzate sul rendere l’isola un ponte verso la Cina, integrandola progressivamente con l’ economia cinese. E’ a tal proposito di rilievo menzionare che il 77% delle compagnie quotate in borsa a Hong Kong provengono dalla Cina. Hong Kong si e’ sviluppata come un’economia ad alta intensità di conoscenza focalizzata sui suoi settori di punta, ossia servizi business e finanziari, che la rendono fortemente dipendente da iniezioni di capitale estero. Dall’altro lato, Singapore ha investito massivamente in ricerca e sviluppo, capitale umano e diversificazione industriale. A Singapore le multinazionali hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo locale, attraendo talenti ed ampliando il range delle opportunità: l’economia locale è infatti più diversificata, basandosi su settori manifatturiero, servizi finanziari, dell’informazione, tech e della comunicazione. Infine, contrariamente ad Hong Kong, Singapore – uno dei membri fondatori dell’ASEAN – fa da ponte verso il sud-est asiatico, beneficiando da basse barriere commerciali e distanziandosi dalla competizione tra Cina e Stati Uniti.

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Generalmente, il focus di Hong Kong sul proprio vantaggio competitivo la espone maggiormente ai flussi commerciali e alle traiettorie della globalizzazione, in quanto le sue i settori e i servizi possono essere replicati altrove e a costi inferiori, tra cui in Cina. Al contrario, il modello economico singaporiano è molto più resiliente e complicato da replicare, poiché si basa su caratteristiche uniche, punti di forza intrinsecamente legati all’economia locale e progressi in ricerca e sviluppo stratificati, che rendono la città più resistente a traiettorie economiche sfavorevoli.

Singapore, il meglio deve ancora venire

Pubblichiamo qui uno stralcio del discorso di insediamento di Lawrence Wong, il nuovo Primo Ministro della città-stato

La giornata di oggi segna una pietra miliare significativa: un passaggio di testimone, non solo tra gruppi dirigenti, ma anche tra generazioni diverse. Sono il primo Primo Ministro di Singapore ad essere nato dopo l’indipendenza. Anche quasi tutti i miei colleghi del team sono nati dopo il 1965. La storia della mia generazione è la storia della Singapore indipendente. Le nostre vite testimoniano i valori che hanno forgiato la nostra nazione: Incorruttibilità, meritocrazia, multirazzialità, giustizia e uguaglianza. Questi principi sono profondamente radicati in tutti noi. Comprendiamo l’importanza vitale di una buona leadership, della stabilità politica e della pianificazione a lungo termine. Noi stessi siamo i beneficiari delle politiche fantasiose dei nostri padri fondatori, perseguite con determinazione e pazienza per decenni. Plasmati da queste esperienze, il nostro stile di leadership sarà diverso da quello delle generazioni precedenti. Guideremo a modo nostro. Continueremo a pensare con coraggio e a pensare lontano. Sappiamo che c’è ancora molto da fare, perché la storia della nostra isola-nazione continua a svolgersi. Ci sono ancora molte pagine da scrivere. E i capitoli più belli della nostra storia di Singapore ci aspettano. (…) La posizione di Singapore è forte. Ma il mondo intorno a noi è in continua evoluzione. Per trent’anni, dalla fine della Guerra Fredda, abbiamo goduto di una pace e di una stabilità senza precedenti nell’Asia Pacifica. Purtroppo, quell’epoca è finita. Le grandi potenze sono in competizione per dare forma a un nuovo ordine globale, ancora non definito. Dobbiamo prepararci a queste nuove realtà e adattarci a un mondo più disordinato, più rischioso. (…) Oggi Singapore si trova a un livello economico elevato rispetto alla maggior parte degli altri Paesi. Secondo gli standard internazionali, abbiamo costruito sistemi eccellenti di istruzione, alloggi, assistenza sanitaria e trasporti. Ma le circostanze stanno cambiando, la tecnologia avanza e la popolazione invecchia rapidamente. Non possiamo quindi permetterci di andare avanti a tentoni. Dobbiamo continuare a fare del nostro meglio per migliorare, aggiornare e trasformare Singapore. Sono convinto che possiamo e dobbiamo fare meglio. Come singaporiani, sappiamo tutti cosa significa superare le aspettative, andare oltre quello che gli altri pensano che siamo in grado di fare, o anche quello che noi stessi pensavamo di poter fare. Quando il gioco si fa duro, non crolliamo. Andiamo avanti, con fiducia nei nostri concittadini e nel futuro di Singapore.

Qui il discorso integrale

Chi è Lawrence Wong, nuovo Premier di Singapore

Dopo 20 anni Singapore cambia Premier. E per la prima volta non si tratta di un membro della famiglia Lee

Di Francesco Mattogno

Il 15 maggio Singapore avrà un nuovo primo ministro, il quarto della sua storia. Come è sempre accaduto dall’indipendenza della città-stato (1965) a oggi, anche in questo caso il passaggio di consegne non sarà dovuto al risultato di un’elezione, o a un voto di sfiducia in parlamento. Per la terza volta da quando è al potere, cioè da sempre, il Partito Popolare d’Azione (PAP) ha programmato con cura e largo anticipo il cambio di leadership, che passerà nelle mani della “quarta generazione” (4G) di leader del partito.

Lo scorso 15 aprile l’attuale premier Lee Hsien Loong, in carica dal 2004, ha annunciato che lascerà il posto a Wong Shyun Tsai, per tutti Lawrence Wong. A sottolineare come tutto sia stato organizzato nei minimi particolari, con un mese di anticipo si è già a conoscenza dell’orario in cui si terrà la cerimonia di giuramento nel palazzo presidenziale di Singapore, cioè alle 20:00 del 15 maggio, appunto. Wong diventerà così il quarto primo ministro nella storia del Paese, il secondo a non essere un membro della famiglia Lee.

Lee Hsien Loong è infatti il figlio maggiore di Lee Kuan Yew, salito al potere nel 1959 e primo premier della storia indipendente della Repubblica di Singapore, divenuta uno stato autonomo nel 1965 a seguito della scissione dalla Malaysia. Il PAP governa ininterrottamente da allora, legittimato dall’enorme crescita economica della città-stato, che nel corso dei decenni ha trasformato in uno dei principali centri finanziari del mondo. A Singapore si tengono regolarmente delle elezioni, che il PAP ha sempre stravinto, monopolizzando il parlamento. Le prossime sono previste entro novembre del 2025, ma potrebbero essere anticipate.

Il cambio di leadership avviene forse nel momento più delicato della storia del PAP. Intanto, al contrario di quello che accadde durante il passaggio di consegne nel 1990 tra Lee Kuan Yew e il suo successore, Goh Chok Tong, la storica presa della famiglia Lee sul partito sembra destinata a svanire nel prossimo futuro. All’epoca Goh nominò subito Lee Hsien Loong come suo vice, rendendo già chiaro come sarebbe stato lui il futuro leader del PAP e premier del paese, con un oltre decennio di anticipo.

Oggi invece non sembrano vedersi all’orizzonte degli eredi dei Lee pronti a mantenere il PAP un bene di proprietà della famiglia anche nei decenni a venire. Questo farà di Wong il primo premier a non avere connessioni esplicite con i Lee, anche se è probabile che, almeno per i prossimi anni, Lee Hsien Loong continuerà a esercitare la sua influenza sul PAP e quindi sul paese.

Complice anche questa situazione, il partito ha iniziato a mostrare segni di fragilità. Wong non era la prima scelta per il cambio di leadership. Prima di lui nel 2018 era stato designato Heng Swee Keat, che avrebbe dovuto prendere il posto di Lee già qualche anno fa. Lo scoppio della pandemia da Covid ha portato il PAP a rimandare la transizione, la cui stabilità è stata poi messa in discussione dalle elezioni del 2020, nelle quali il partito ha conquistato “solo” 83 dei 93 seggi elettivi, uno dei peggiori risultati della sua storia. L’esito relativamente modesto del voto ha convinto Heng a farsi da parte.

La pandemia si è invece rivelata un’occasione, per Wong. Già ministro delle Finanze e vicepremier, Wong si è fatto notare per il buon lavoro portato avanti da copresidente della task force messa in piedi dal governo per gestire l’emergenza causata dal Covid. Nel 2022 i vertici del PAP lo hanno quindi nominato leader della 4G e di fatto successore di Lee, ma non all’unanimità (15 favorevoli su 19), denotando quantomeno una leggera frammentazione interna. A questo vanno sommati gli scandali che negli ultimi mesi hanno portato tecnicamente alle dimissioni, in pratica all’allontanamento, dello speaker del parlamento Tan Chuan-Jin (per una storia extraconiugale con una deputata) e del ministro dei Trasporti, Subramaniam Iswaran, accusato di corruzione (ne avevamo parlato qui).

Le due vicende hanno fatto scalpore, minando l’immagine di integrità e correttezza che il PAP si è costruito nel corso dei decenni e contribuendo al rafforzamento dell’opposizione, guidata dal Partito dei Lavoratori (WP). Gli esponenti della 4G del partito non godono quindi dello stesso livello di adulazione mostrata dai singaporiani verso i leader precedenti (non mancano già i nostalgici e le agiografie di Lee Hsien Loong).

Wong dovrà vedersela con questo e con una situazione interna che non è delle migliori. Nonostante il reddito pro-capite di Singapore resti tra i più alti al mondo (80 mila dollari nel 2022), le disuguaglianze di reddito tra la fascia alta e bassa della popolazione sono in aumento, così come il costo della vita. Questo sta portando i singaporiani a fare sempre meno figli o a lasciare la città-stato, mentre la percezione del paese come centro finanziario stabile sta venendo intaccata dall’incremento della corruzione e dal riciclaggio di denaro “sporco”. Le varie crisi internazionali stanno inoltre mettendo in discussione l’ordine internazionale che ha permesso a Singapore di prosperare negli ultimi decenni.

Startup italiane a Singapore

Con un ecosistema innovativo in crescita e un ruolo chiave nel commercio globale, Singapore offre opportunità senza pari per le aziende italiane

L’innovazione italiana mette un piede in Asia. Passando da Singapore. Il 7 novembre ha segnato il ritorno del Global Startup Program nella città-Stato, che punta a essere un catalizzatore per l’innovazione e la collaborazione tra l’Italia e la regione del Sud-Est asiatico attraverso i Paesi ASEAN. Organizzato dall’Italian Trade Agency (ITA) in collaborazione con il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il programma rappresenta un’opportunità per otto startup italiane di varie aree, tra cui fintech, healthtech, blockchain, health & fitness, sostenibilità e hrtech. L’evento, ospitato dall’Accelerator Tenity Singapore, offre alle startup la possibilità di rafforzare le proprie capacità tecniche, organizzative e finanziarie durante il processo di incubazione. Le otto startup innovative italiane, tra cui Brain & Fitness Italy, Carchain, Coffeefrom, Fairtile, Hacking Talents SRL SB, iWise, Sensosan Sell e Wibiocard. Dante Brandi, ambasciatore d’Italia a Singapore e nel Brunei, ha sottolineato l’importanza di questa partecipazione, definendo il programma come un catalizzatore per l’innovazione e la collaborazione e il rafforzamento dei legami tra Italia e Singapore. Brandi ha evidenziato il ruolo chiave di Singapore nelle strategie commerciali globali dell’Italia nella regione ASEAN, con cifre significative di esportazioni e investimenti italiani. Singapore, scelta come sede ideale, rappresenta un trampolino di lancio cruciale per le startup italiane. Con un ecosistema innovativo in crescita e un ruolo chiave nel commercio globale, Singapore offre opportunità senza pari per le aziende italiane. Ilaria Piccinni, vice commissario al commercio per Singapore e Filippine presso l’Agenzia per il commercio italiano, ha sottolineato la sinergia e l’energia nell’ecosistema delle startup di Singapore, evidenziando il potenziale delle startup italiane di prosperare e avere un impatto significativo. Con una vasta gamma di attività programmate fino al 1 dicembre 2023, il programma si propone di consolidare ulteriormente la presenza e l’influenza delle startup italiane nel panorama globale dell’innovazione. Singapore e l’ASEAN rappresentano uno snodo nevralgico per raggiungere l’obiettivo.

Sempre più ricchezza a Singapore

 Il numero di family office – società che gestiscono le vite e i patrimoni dei clan più ricchi – è salito a 1.100 alla fine dello scorso anno, da appena 400 nel 2020

Articolo di Tommaso Magrini

Singapore è sempre più ricca. Il patrimonio gestito dall’industria del risparmio gestito della città-Stato è raddoppiato in soli sei anni, raggiungendo circa 4.000 miliardi di dollari e circa l’80% di questo patrimonio è estero. BlackRock Inc. si sta espandendo a Singapore, così come l’Ontario Teachers’ Pension Plan. Anche le banche svizzere si stanno espandendo: gli uffici di UBS Group AG dominano un intero isolato in un quartiere commerciale di primo piano, con uno staff di 3.000 persone, una palestra privata e un bar per il cappuccino. La rapida ascesa della gestione del denaro è frutto di un progetto ben preciso. Nel 2020 il governo ha introdotto un nuovo tipo di struttura giuridica, chiamata società a capitale variabile, che fornisce incentivi fiscali e legali alle società di hedge fund, venture capital e private equity che si stabiliscono a Singapore, in modo simile ai programmi di hub offshore. A partire dallo scorso ottobre, più di 600 società hanno usufruito del nuovo programma. Alcuni dei più grandi gestori di denaro del mondo si sono stabiliti a Singapore, tra cui Marshall Wace, Citadel Enterprise Americas di Griffin e D.E. Shaw. Point72 Asset Management del miliardario Cohen ha ampliato il suo team di Singapore di oltre il 50%, arrivando a 100 persone. Complessivamente, gli asset degli hedge fund sono cresciuti del 30% nel 2021, raggiungendo i 191 miliardi di dollari.  Il numero di family office – società che gestiscono le vite e i patrimoni dei clan più ricchi – è salito a 1.100 alla fine dello scorso anno, da appena 400 nel 2020. Tra gli incentivi ad aver contribuito ci sono le modifiche fiscali del 2019 e un programma che prevede una corsia preferenziale per la residenza per gli ultra ricchi. Singapore sta beneficiando anche della volontà di parecchie aziende che cercano una diversificazione nella regione o una base per operazioni asiatiche più ampie oltre la Cina continentale e Hong Kong.

Un centro di aspirazioni condivise

Pubblichiamo qui uno stralcio del discorso di insediamento di Tharman Shanmugaratnam, nuovo Presidente di Singapore

Ho dedicato la mia vita a servire Singapore, la nostra casa. Niente potrebbe essere più significativo per me. Il mio più grande privilegio è stato quello di lavorare attivamente sul campo, settimana dopo settimana, per più di due decenni. Ascoltare le speranze e le preoccupazioni delle persone, aiutarle a superare le difficoltà della vita e condividere le loro gioie. (…) Una società equa e inclusiva va ben oltre le politiche governative. Riguarda tutti noi. Riguarda il rispetto e l’amicizia che ci portiamo l’un l’altro. Indipendentemente dal nostro background e dai nostri risultati scolastici. Indipendentemente dalla razza, dalla religione o da qualsiasi altra differenza. E si tratta di sapere che se un gruppo del nostro popolo perde la speranza, tutti noi avremo meno speranza come singaporiani. Ora più che mai dobbiamo approfondire la nostra solidarietà come singaporiani, in modo da sollevarci a vicenda. (…) Le sfide che il nostro Paese deve affrontare aumenteranno. Siamo in un momento di transizione, sia a Singapore che a livello internazionale. Stiamo entrando in una nuova era, più difficile e più complessa. Il mondo è sempre più diviso e instabile. Le crisi globali – economiche, geopolitiche e ambientali – stanno scoppiando più spesso. Metteranno alla prova tutti i Paesi, soprattutto quelli più piccoli come Singapore. A casa nostra, a Singapore, stiamo diventando una democrazia con opinioni più diverse. Lo considero inevitabile e salutare, e l’ho detto più volte. Ma la nostra vera sfida come singaporiani è garantire che questa diversità di opinioni non ci porti a una società più divisa, come molte altre. Dobbiamo essere una democrazia con più spazio per le diverse opinioni e una società civile fiorente. Ma per essere fiduciosi nel nostro futuro, dobbiamo anche essere una società con un forte centro di aspirazioni condivise e di rispetto per tutti i cittadini.(…) Possiamo e dobbiamo rafforzare una cultura del rispetto per tutti i singaporiani negli anni a venire. Non dobbiamo mai diventare solo un altro piccolo Paese. Ho sventolato la bandiera di Singapore a livello internazionale per molti anni e lavorerò attivamente per rafforzare le partnership esistenti e costruirne di nuove. (…) Nei molti anni trascorsi al governo come ministro, sono rimasto fedele ai miei ideali di giustizia sociale e di inclusione e ho lavorato continuamente, anno dopo anno, per creare consenso su modi pratici e sostenibili per migliorare la vita dei lavoratori e dei cittadini comuni. Sebbene il Presidente sia distinto dal Governo e non faccia politica, non rinuncerò mai a questo scopo nella mia vita e all’indipendenza mentale nell’adempimento dei miei doveri. Passeremo attraverso alti e bassi. Ma siamo ancora un luogo unico, dove possiamo lavorare insieme per rendere il futuro migliore per tutti.

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