Indonesia

L’Indonesia guida la transizione ASEAN verso un’agricoltura sostenibile

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La sicurezza alimentare è una delle sfide del nostro tempo, ma l’ASEAN dovrà puntare su un’agricoltura sostenibile se vorrà limitare i rischi sociali e ambientali causati dal cambiamento climatico.

L’agricoltura sostenibile nel Sud-Est asiatico può essere la chiave di volta per la lotta globale al cambiamento climatico. Come sottolinea il giornalista statunitense David Wallace-Walls, “il futuro del pianeta sarà determinato in buona parte dalla traiettoria di crescita del mondo in via di sviluppo”, e le economie emergenti dell’ASEAN sono l’epicentro di questa trasformazione. Lo straordinario sviluppo demografico e la rapida urbanizzazione, l’aumento dei redditi, dei consumi, e il conseguente impennarsi della domanda di energia rendono difficilmente conciliabili interessi nazionali e imperativi di sostenibilità. Ma il Sud-Est asiatico è anche una delle regioni più vulnerabili al cambiamento antropogenico del clima. Secondo un rapporto dell’ISEAS, inondazioni, perdita di biodiversità e aumento del livello del mare sono le tre minacce percepite come più incombenti dalle comunità regionali, e per l’81,1% degli intervistati queste avranno un impatto diretto sull’approvvigionamento di cibo.

Il tema della sicurezza alimentare è una delle sfide del nostro tempo, e gli effetti della pandemia sul settore agricolo sono stati devastanti nel Sud-Est asiatico. Lo sviluppo dell’agricoltura sostenibile è infatti al centro del Comprehensive Recovery Framework, pensato dall’ASEAN per uscire dalla crisi causata dal Covid-19. Gli Stati membri hanno concordato sulla necessità di promuovere misure che tutelino le catene di approvvigionamento alimentare, essenziali per “mitigare il rischio di grandi shock, che hanno un impatto considerevole sulla società, specialmente sulle persone più povere e più vulnerabili”. 

La food security, però, deve essere promossa contestualmente ad altre iniziative di contrasto al cambiamento climatico. A questo proposito, oltre ad aver recentemente fornito una tassonomia che integrerà il linguaggio di tutti i progetti nazionali volti alla sostenibilità, l’ASEAN punta molto sulla cooperazione internazionale. Quello dell’agricoltura sostenibile sarà un punto all’ordine del giorno dell’High Level Meeting organizzato al Dubai Expo 2021, dove si incontreranno i vertici del settore privato e pubblico dei Paesi ASEAN, dell’Italia e degli Emirati Arabi Uniti, per discutere di una cooperazione futura all’insegna della sostenibilità. L’incontro si terrà il 9 dicembre a Dubai, ed è stato organizzato dal Commissariato Italiano all’Expo in collaborazione con la Camera di Commercio a Dubai e l’Associazione Italia-ASEAN. Gran parte della cooperazione climatica si svolge però a livello nazionale. Il Fondo internazionale per lo sviluppo dell’agricoltura (IFAD), ad esempio, collabora con il governo indonesiano per l’implementazione di otto progetti di sviluppo rurale sostenibile. Dal momento che il 44% della popolazione dell’Indonesia vive in aree rurali, e che l’agricoltura è la sua principale fonte di reddito, il successo dell’Agenda 2030 nel Paese è un indicatore dei progressi dell’intera regione. 

Le pratiche di produzione agricola alternative sperimentate in Indonesia sono d’ispirazione anche per gli altri Paesi ASEAN. Tali iniziative, incoraggiate dal governo di Joko Widodo, sono nate spesso dal basso. Questo perché la popolazione indonesiana è una delle più esposte agli effetti drammatici del cambiamento climatico, tra cui il rischio che buona parte delle sue città costiere finisca sepolta sotto il livello del mare. Questa condizione la rende particolarmente motivata a pensare a stili di vita, produzione e consumo alternativi. Durante la pandemia, a Giacarta ha spopolato il ricorso all’agricoltura urbana, che secondo gli esperti potrebbe rivelarsi alla causa della sicurezza alimentare, rispondendo anche alla forte pressione demografica della regione. Tahlim Sudaryanto, presidente dell’Indonesian Center for Agriculture Socio Economic and Policy Studies (ICASEPS) sotto il Ministero dell’Agricoltura indonesiano, ha lodato questi progetti. Considerando che entro il 2050 più di due terzi della popolazione globale vivranno nelle città, secondo uno studio del 2018 pubblicato su Earth’s Future, l’agricoltura urbana potrebbe produrre fino a 180 milioni di tonnellate di cibo l’anno, e fornire il 10% della produzione globale di legumi e verdure. 

Diversi progetti di agricoltura sostenibile si sono rivelati virtuosi nel Paese. L’Indonesia è la più grande economia del Sud-Est asiatico, e tre indonesiani su cinque vivono in campagna, ma il settore agricolo è la la principale fonte di reddito del 64% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. Quando Audria Evelinn ha fondato Little Spoon Farm, ad esempio, aveva ben in mente la situazione di precarietà in cui viveva buona parte dei suoi concittadini. Il suo obiettivo era quello di “migliorare il sistema alimentare locale in Indonesia riconciliando le relazioni tra natura, agricoltori e consumatori”. Dal momento che il cibo è una forza potente per il cambiamento, dare la possibilità ai consumatori di scegliere prodotti locali, biologici, diretti e stagionali, crea “una domanda che sostiene un’economia locale sostenibile, che dà da vivere agli agricoltori”. Ecco perché ha lanciato il suo progetto sull’isola indonesiana di Bali, dove le pressioni del settore turistico a volte divergono dalle istanze ambientaliste creando dibattito sul futuro dell’economia locale. Audria Evelinn ha voluto dare il suo contributo, progettando una piattaforma online da cui le persone possono ordinare direttamente i raccolti freschi locali. Nella sua azienda si sperimentano anche pratiche di gestione cooperativa e sistemi di reimpiego dei prodotti per risolvere il problema dello spreco alimentare. L’esperienza di Little Spoon Farm conferma che non solo sono necessarie misure di cooperazione internazionale dall’alto: il coinvolgimento delle giovani generazioni e delle istanze dal basso nella lotta al cambiamento climatico è imprescindibile se si vogliono trovare soluzioni efficaci per il futuro del pianeta.

Indonesia: COP26 e road to G20 2022

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Dagli impegni presi durante la conferenza sul clima di Glasgow agli obiettivi della presidenza di turno del G20: ecco quale può essere il futuro di Giacarta

Quest’anno il vertice COP26 è stato ospitato dai governi del Regno Unito e dell’Italia nella città scozzese di Glasgow. Come ogni anno, la COP è un momento importante che riunisce quasi tutti i Paesi con l’obiettivo di garantire un’azione tempestiva sui cambiamenti climatici. Nonostante le sfide poste dalla pandemia, i cambiamenti climatici continuano a generare gravi conseguenze ambientali, sociali ed economiche. Il vertice di quest’anno ha avuto l’arduo compito di affrontare il fallimento dell’ultima COP25 tenutasi a Madrid nel 2019, e ha presentato alcune sfide, tra cui interessi in competizione tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati, la questione del finanziamento del clima e le regole irrisolte per i mercati internazionali del carbonio che figuravano nell’articolo 6 dell’accordo di Parigi.

L’agenda della conferenza è stata suddivisa in cinque sessioni:

  1. Adattamento allo scaling-up;
  2. Mantenere in vita 1,5°C;
  3. Perdita e danno;
  4. Finalizzazione del Regolamento di Parigi – Articolo 6;
  5. Mobilitazione delle finanze.

Sin dall’inizio della Conferenza è emersa la forte (ma soprattutto necessaria) volontà politica dei leader mondiali a raggiungere gli obiettivi ambientali globali, ma l’Indonesia, data la sua posizione tra i principali contributori al cambiamento climatico globale, quali sforzi climatici sta compiendo e quali strategie sta mettendo in atto per influenzare positivamente il suo impatto ambientale interno e internazionale?

“L’Indonesia è un Paese super potente nel campo della mitigazione dei cambiamenti climatici”, queste le parole di Alok Sharma, presidente designato per la 26a Conferenza delle parti sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite, al Ministro dell’ambiente indonesiano Siti Nurbaya durante l’attesissimo incontro di Glasgow. Il governo inglese ha affermato che la collaborazione con l’Indonesia è stato uno degli elementi più importanti del successo della Gran Bretagna come host della COP26 ed ha espresso il desiderio di una continuità tra i due soggetti, realizzata e rafforzata attraverso la leadership congiunta nell’ambito del dialogo relativo alla silvicoltura, all’agricoltura e al commercio delle materie prime (FACT).

Il vertice sul clima ha offerto al presidente indonesiano Joko Widodo (“Jokowi”) l’opportunità di dare voce alla sua visione dell’Indonesia come “costruttore di ponti” e risolutore di problemi globali. Il presidente ha sottolineato la serietà del governo nel voler controllare il cambiamento climatico, che ha affermato essere tra i principali interessi nazionali del Paese; ha incoraggiato i leader mondiali a promuovere lo sviluppo verde e ad aumentare la resilienza climatica, come si evince dall’aggiornamento del Nationally Determined Contribution (NDC) presentato alla Conferenza delle Nazioni Unite nel luglio di quest’anno.

Finora, l’Indonesia ha presentato diversi documenti alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), 8 in tutto, che vanno da quelli relativi all’adattamento a quelli inerenti al finanziamento di soluzioni nature-based. In ognuno di questi documenti, il governo indonesiano ha ribadito il suo impegno a ridurre le emissioni del 29% rispetto allo scenario Business As Usual (BAU) nel 2030. In sede di Conferenza, il Ministro per l’ambiente indonesiano, Siti Nurbaya Bakar, ha aggiunto che col supporto internazionale, si potrebbe ottenere uno scenario più ambizioso arrivando ad abbattere il 41% delle emissioni e rispettare, in questo modo, il Low Carbon Compatible with Paris Agreement (LCCP). Entro il 2030, l’Indonesia si avvicinerà allo stato di essere un pozzo di carbonio netto nel settore della silvicoltura e dell’uso del suolo: il governo ha in programma di ridurre gradualmente l’uso del carbone fino al 60% entro il 2050 e procederà verso una condizione di emissioni nette pari a zero entro il 2070.

In qualità di capo della delegazione della Repubblica di Indonesia per la COP26, alla Conferenza il ministro Siti ha introdotto la Road Map governativa per l’adattamento ai cambiamenti climatici fino al 2030. Questo nuovo percorso ha previsto (e prevede per il futuro) diverse iniziative: la prima ha visto il coinvolgimento attivo della comunità attraverso il Climate Village Program (ProKlim), Ecoriparian: un programma che mira al ripristino dell’ecosistema di mangrovie e agro-forestazione sociale come fase di lavoro per l’adattamento climatico. Il programma ha coinvolto e integrato anche i programmi di lavoro di Ministeri e Agenzie, i governi locali, il settore privato e i leader delle comunità locali.

La seconda iniziativa nell’azione per il controllo del cambiamento climatico è “Indonesia FoLU Net-sink 2030“. Questo ambizioso obiettivo sarà accompagnato da un manuale di operatività, il cui completamento è previsto entro la fine del 2021, con finalità di supervisione e controllo. L’azione indonesiana sui cambiamenti climatici nel settore energetico mira alla graduale eliminazione delle centrali elettriche a carbone, all’implementazione dei termovalorizzatori, allo sviluppo di energia da biomassa, energia idroelettrica, solare e fotovoltaica, all’energia geotermica e alla conversione di centrali diesel ad alto costo con gas e NRE.

Nella sessione dedicata al “Finalising the Paris Rulebook – Article 6”, il viceministro indonesiano Alue ha presentato una proposta per trovare una soluzione comune per mettere in atto l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi:

  • aumentare l’ambizione e l’attuazione dei risultati del NDC (Nationally Determined Contriution) attraverso un approccio cooperativo e il sostegno finanziario tra gli Stati membri continuando a garantire il raggiungimento dell’integrità ambientale dalle azioni di mitigazione svolte;
  • al fine di evitare una doppia pretesa nella riduzione delle emissioni, l’Indonesia propone di utilizzare la migliore metodologia nella preparazione della linea di base, trasparente nella rendicontazione e basata sulle circostanze nazionali;
  • in termini di erogazione di fondi per le attività di adattamento possono essere effettuati previo accordo delle due parti che cooperano;
  • l’Indonesia incoraggia anche l’adozione dell’articolo 6 dell’accordo di Parigi alla COP 26 di Glasgow, considerando la sua importanza nel sostenere l’aumento dell’ambizione e l’attuazione degli NDC per raggiungere l’obiettivo a lungo termine di ridurre le temperature globali a 1,5°C.

La COP26 di Glasgow è anche stata il punto d’inizio della discussione sul New Collective Quantified Goal (NCQG). Per l’Indonesia, l’NCQG deve riflettere i bisogni reali e garantire che le finanze affluiscano effettivamente ai Paesi in via di sviluppo. Il processo di discussione del NCQG può essere avviato da una prospettiva politica e tecnica. Riunioni multilaterali o bilaterali formali e informali possono essere utilizzate per ottenere input e opinioni dalle parti, che possono essere parte del processo. L’intero processo deve essere inclusivo e trasparente. Il NCQG deve anche essere più ambizioso e comprensibile sia per i Paesi sviluppati che per quelli in via di sviluppo e più equilibrato in termini di utilizzo dei finanziamenti per il clima per la mitigazione e l’adattamento.

Il Ministro Siti Nurbaya Bakar ha posto particolare attenzione ed enfasi sull’aspetto economico e finanziario esortando i Paesi sviluppati ad assumere la guida nel fornire ai Paesi in via di sviluppo le risorse finanziarie necessarie per attuare i programmi climatici. Il trade-off tra economia e ambiente è un problema. Il coordinamento tra governo centrale e leader locali è un’altra sfida che l’Indonesia deve risolvere per raggiungere i suoi obiettivi climatici. Essendo un grande Paese in via di sviluppo, con la quarta popolazione mondiale, l’Indonesia avrà bisogno di 5,7 miliardi di dollari ogni anno per finanziare la sua transizione verso l’energia verde. La sfida non sta nella redazione o firma di accordi e decreti, ma nel coordinamento e nell’esecuzione necessari per attuarli efficacemente. Le azioni per il clima richiedono politiche strategiche e cooperazione finanziaria tra le parti interessate a livello nazionale e globale. Pertanto, la speranza del governo indonesiano è quella di continuare a spingere per un sostegno all’aumento dei finanziamenti per il clima, anche attraverso la politica fiscale e l’aumento dell’accesso alle finanze globali.

Il Ministro Siti ha voluto concludere il suo discorso con una nota positiva in riferimento alle giovani generazioni, le quali nutrono una grande preoccupazione per l’ambiente e spingono il governo indonesiano a prendere più seriamente il cambiamento climatico. Un sondaggio del 2020 dell’Indonesia Bright Foundation ha rilevato che il 97% dei millennials indonesiani vede che gli impatti dei cambiamenti climatici sono ugualmente o più pericolosi della pandemia di COVID-19. Il 63% degli intervistati ha affermato che le prestazioni del governo sono state il principale ostacolo agli sforzi per il clima. Anche il principale gruppo di politica estera indonesiana, la Foreign Policy Community of Indonesia, ha recentemente lanciato un forte appello al governo per proteggere la nazione in occasione del centenario d’oro (2045) dalla minaccia della crisi climatica. La consapevolezza del cambiamento climatico in Indonesia sta crescendo e potrebbe supportare uno sforzo del governo più robusto.

L’Indonesia alla presidenza del G20 nel 2022

Per la prima volta dalla fondazione del G20 nel 1999, l’Indonesia è stata nominata per assumere la presidenza del G20 dal 1° dicembre 2021 al 30 novembre 2022. Il modus operandi che il Paese adotterà per il Summit del prossimo anno sarà quello di concentrare il dialogo internazionale sugli sforzi per raggiungere un recupero economico sostenibile, stabile ed equilibrato nel mondo post-pandemico.

Il Ministro degli Esteri indonesiano Retno Marsudi ha anticipato che il Summit del prossimo anno sarà ospitato sull’isola di Bali nel rispetto di stretti protocolli sanitari e si intitolerà: “Recover Together, Recover Stronger”.

Il tema scelto (in italiano: “Recuperare insieme, recuperare più forte”) ha lo scopo di incoraggiare gli sforzi congiunti per la ripresa economica mondiale. Una crescita inclusiva, incentrata sulle persone, rispettosa dell’ambiente e sostenibile è il principale impegno dell’Indonesia come presidente del G20. “Questi sforzi devono essere portati avanti attraverso una più forte collaborazione globale e un’innovazione incessante. Il G20 deve essere il motore dello sviluppo dell’ecosistema che guida la collaborazione e l’innovazione”, ha aggiunto il Presidente Widodo.

All’epoca della creazione del G20, la crisi finanziaria asiatica degli anni 1997-98 ebbe forti conseguenze sull’Indonesia: il crollo del Pil (-13,1% nel 1998) e le sempre più forti potreste popolari portarono alla caduta del regime di Suharto. Sotto la guida del suo successore, Habibie, il Paese intraprese un percorso di democratizzazione e riforme economiche che l’hanno portato a diventare una delle più dinamiche economie del Sud-Est asiatico. Insieme all’Arabia Saudita e alla Turchia, Jakarta è un membro G20 a maggioranza islamica, ma porta avanti istanze ben diverse dagli altri due soggetti citati. Sin dall’inizio infatti, Giacarta si è assegnata il ruolo di mediatrice all’interno del Gruppo dei 20 tra le economie occidentali ed i Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). La mediazione indonesiana è stata importante anche nel sensibilizzare il forum alle problematiche dei Paesi emergenti e delle economie esterne al Gruppo dei 20. L’esperienza indonesiana ha permesso a Giacarta di fornire al G20 il punto di vista di un Paese emergente e di individuare uno schema di supporto per le nazioni che, come spesso accade nel caso delle economie in via di sviluppo, hanno un ridotto margine di manovra fiscale.

Oltre al ruolo di mediatore, l’Indonesia nel G20 ha svolto la funzione fondamentale di rappresentante dell’ASEAN all’interno del Gruppo. Giacarta è infatti l’unico membro G20 appartenente all’unione economica che comprende anche Brunei, Cambogia, Thailandia, Laos, Filippine, Vietnam, Malesia, e Myanmar. In virtù di ciò, l’Indonesia ha dunque sempre partecipato al G20 facendosi portatrice anche delle posizioni dell’ASEAN.

La presenza dell’Indonesia all’interno del G20 è, quindi, sia dovuta al peso economico e demografico di Giacarta, ma anche alla necessità di inserire nel Gruppo dei Venti un rappresentante di una regione di crescente importanza nel commercio globale. Giacarta ha sempre visto nel G20 l’opportunità per portare sul piano globale le istanze del Sud-Est asiatico, in particolare la preservazione di un’architettura regionale stabile e l’integrazione della regione nell’economia globale.

Come sarà il G20 dell’Indonesia

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Giacarta ha il potenziale di dirigere l’attenzione del mondo verso l’Asia in via di sviluppo, ma potrebbe perdere l’occasione di uscire dal mainstream del dialogo multilaterale. Ecco le sfide della sua presidenza di turno

Dal 1° dicembre 2021 al 30 novembre 2022 l’Indonesia guiderà la presidenza del G20. È la prima volta che Giacarta ottiene la posizione di guida del gruppo multilaterale, che comprende 19 tra le maggiori economie e l’Unione Europea. Nata nel 1999 come piattaforma per la discussione di tematiche economiche, si è presto estesa ad altre questioni. Il passaggio di consegne tra Italia e Indonesia, completato in occasione del summit a Roma del 30-31 ottobre è stato l’occasione per metterle in luce: crisi climatica, emergenza sanitaria, gestione dei mercati globali sono solo alcuni dei termini più menzionati dai leader riuniti in quell’evento.

La presidenza dell’Indonesia, che sfocerà nel summit di Bali dell’ottobre 2022, apre una stagione che vedrà protagoniste le economie emergenti, non solo nei contenuti del dialogo tra i Paesi del G20: nel 2023 sarà il turno dell’India, seguita dal Brasile e poi dal Sudafrica. “Questo è un onore per noi, per l’Indonesia, e allo stesso tempo una grande responsabilità, che dobbiamo svolgere bene”, ha detto il Presidente indonesiano Joko Widodo, meglio conosciuto come Jokowi. Non per niente il tema del 2022 è “Recover Together, Recover Stronger”, espressione che contiene quel carattere di inclusività in cui la presidenza a guida indonesiana cercherà di puntare.

Secondo quanto dichiarato in chiusura del summit di Roma, nel 2022 andrebbero concretizzati i progetti in ottica di sicurezza sanitaria, di riduzione delle emissioni e di gestione dei mercati per contenere la crisi economica provocata dalla pandemia. Sfide non semplici, che Giacarta dovrà portare sulle proprie spalle in quanto unico membro ASEAN incluso nel club. 

Crisi climatica e sviluppo sostenibile

Come altri paesi del Sud-Est asiatico, l’Indonesia è esposta a eventi climatici estremi sempre più frequenti (2510 segnalazioni nel 2020, contro le 535 del 2005). Jokowi ha affermato che l’Indonesia, durante la sua presidenza, spera di offrire una piattaforma per partenariati globali e finanziamenti internazionali per sostenere la transizione energetica verso fonti rinnovabili più pulite. 

Giacarta conosce bene le difficoltà delle economie emergenti davanti alle trasformazioni che la transizione energetica richiede. Quella che viene considerata una delle principali soluzioni sul tavolo è, per i Paesi in via di sviluppo, una sfida che richiede innanzitutto l’accesso universale all’energia elettrica di qualità. La sola Indonesia ha la sovranità su 17,500 isole e una capitale che sta sprofondando, mentre la politica economica è profondamente radicata intorno alle fonti fossili. I progetti sono tanti e ambiziosi, come un parco solare a Java che verrà completato entro la fine del 2022 e sarà, con i suoi 145 Megawatt, il più grande del Paese.

Lo sviluppo sostenibile richiede un approccio diverso rispetto a quello adottato dal Nord globale, e l’approdo dell’Indonesia a capo di una delle organizzazioni rappresentative di questa realtà potrebbe portare nuovi spunti spesso sottovalutati. Dal 2014 Jokowi ha iniziato a introdurre molte riforme in un’ottica di accrescimento del benessere individuale, tanto che il coefficiente di Gini per la disuguaglianza di reddito in Indonesia ha ripreso a scendere dopo quasi 15 anni: oggi si è stabilizzato intorno al 38,2 (quello dell’Italia è a 35,9). Rimarrà importante anche il tema della cooperazione sanitaria per sostenere i paesi in difficoltà, che rimane un argomento importante anche per la politica interna: negli ultimi anni, per esempio, Jokowi ha introdotto una revisione delle assicurazioni sulla salute in un’ottica di universalizzare il sistema sanitario.

Giacarta mantiene delle politiche fiscali prudenti, al punto che il debito nazionale si mantiene sotto il 40% del Pil. Questa visione politica è accompagnata, non senza criticità (come nel caso delle leggi sul lavoro) da un netto appoggio alle liberalizzazioni. In questo modo le riforme di Jokowi hanno contribuito a migliorare la posizione dell’Indonesia nell’indice Doing Business della Banca Mondiale dal 120º posto nel 2014 al 73° nel 2020. In questo senso Giacarta rimane un membro gradito del G20, e potenziale esempio di sviluppo economico per il resto della regione.

Cooperazione internazionale

La cautela dell’Indonesia rimane alta anche in politica estera, dove Jokowi ha saputo tenere legami attivi sia con la Cina che con gli Stati Uniti. Il controllo sul debito pubblico ha permesso di accogliere i progetti cinesi della Belt and Road initiative per accelerare i piani di sviluppo infrastrutturale, mentre rimane alta l’attenzione verso altri potenziali investitori. Non per niente la landing page del sito dedicato alla presidenza dell’Indonesia fa emergere l’intenzione di presentare il Paese al mondo, renderlo più attrattivo e degno di fiducia da parte della comunità internazionale. Da un punto di vista politico, inoltre, Jokowi ha saputo gestire le conflittualità interetniche nel Paese e rappresenta l’unico leader musulmano effettivamente arrivato alla presidenza tramite procedure democratiche regolari. 

Cautela e compromessi: la presidenza indonesiana contiene quella leadership accomodante che si presta a tamponare le frizioni ideologiche in una fase storica particolarmente complessa per la comunità internazionale. Diverso, ma complementare a un modello politico ed economico affine alle democrazie occidentali. Il G20 di Roma intendeva riaffermare il modello di relazioni internazionali multilaterali, mentre il mondo rischia di scivolare verso piccole o grandi conflittualità di vicinato che ostacolano la cooperazione e la supervisione di attori esterni. La presidenza indonesiana cercherà di riportare l’attenzione verso quei Paesi che devono colmare il ritardo col resto del mondo.

Le opportunità di investimento in Indonesia

La pandemia da Covid-19 ha interrotto i progetti di riforma del presidente indonesiano Jokowi, ma in Indonesia il ruolo degli investimenti esteri resta cruciale anche per la ripresa post-pandemica.

La crisi economica globale che ha fatto seguito alla diffusione del Covid-19 ha preso alla sprovvista il presidente Joko “Jokowi” Widodo, che aveva progetti macroeconomici ambiziosi per l’Indonesia. Il governo di Giacarta era impegnato a implementare una fitta agenda riformista, volta al benessere economico e sociale, per stimolare la produzione manifatturiera e soprattutto attrarre investitori stranieri interessati a fare affari nel Sud-Est asiatico. Anche se la pandemia ha modificato le priorità del governo, per la ripresa economica resta di cruciale importanza attrarre investimenti di capitale straniero.

Le elezioni politiche dell’aprile 2019 si sono rivelate una battaglia per l’economia, e il voto dei millennials e della classe media indonesiana è stato decisivo. In questa circostanza, Jokowi aveva fatto leva sull’immagine di un uomo del popolo che avrebbe continuato a rendere prospera l’Indonesia anche durante il suo secondo mandato. Secondo gli esperti, questo successo elettorale era da interpretarsi proprio come una convalida delle sue politiche, lanciate durante il mandato precedente, volte allo sviluppo delle infrastrutture e alla spesa pubblica in programmi sociali. La Banca centrale supportava queste ambizioni, mantenendo alti i tassi di interesse per attrarre capitale straniero. Poi è arrivato il Covid-19, e per il presidente Widodo le occasioni per fare la differenza si sono ridotte. Oggi la priorità del governo nazionale è la ripresa economica, che richiede un abbassamento dei tassi di interesse pensato per stimolare i consumi, mentre si cerca di arginare le pressioni a ribasso sulla rupia. 

Nonostante queste misure finanziarie pensate per far fronte alla crisi, la struttura macroeconomica di molti Paesi del Sud-Est asiatico fa grande affidamento sul flusso in entrata di investimenti diretti esteri (IDE), e l’Indonesia non fa eccezione. I settori di punta dell’ASEAN, come la produzione, la vendita al dettaglio, i trasporti e le telecomunicazioni, hanno portato il blocco a diventare una vera potenza economica, con un PIL stimato di 9,3mila miliardi di dollari a partire dal 2019. L’Indonesia rappresenta circa il 40% della produzione economica dell’ASEAN, che è in procinto di diventare la quarta economia mondiale entro il 2050. Secondo ASEAN Briefing, gli sforzi compiuti negli anni scorsi dai governi del Sud-Est asiatico, per promuovere sistemi normativi attraenti per chi voglia fare affari nella regione, sono uno dei vettori che continueranno a garantire l’afflusso di IDE, anche durante gli sforzi di ripresa in Indonesia.

A questo proposito, la società di consulenza Dezan & Shira Associates ha messo a punto un report che fa luce sul panorama degli investimenti nel Paese. I primi cinque settori destinatari di investimenti sono l’industria dei metalli, la fornitura di elettricità, gas e acqua, i trasporti e le telecomunicazioni, l’edilizia abitativa e il settore minerario. Le prime cinque economie che investono in Indonesia sono invece Singapore, Cina, Hong Kong, Giappone e Corea del sud. Il sistema normativo è particolarmente attraente per i finanziatori stranieri, anche perché l’Indonesia è parte di ben dodici accordi di libero scambio, tra cui anche la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), siglata lo scorso anno. In occasione della proposta di ratifica dell’accordo, il Ministro del Commercio indonesiano Muhammad Lufti ha dichiarato che la RCEP sarà molto vantaggiosa per l’Indonesia, perché rafforzerà il suo ruolo nelle catene di approvvigionamento regionali, oltre a supportare l’economia durante la ripresa post-pandemica. Il report riporta poi i vantaggi fiscali dedicati a chi desidera fare affari nel paese, oltre a una lista di industrie con ampio margine di crescita tra cui l’economia digitale, l’industria manifatturiera dei componenti elettronici e quella super competitiva dei veicoli.

Le potenzialità delle relazioni UE-Indonesia: dal commercio alla cooperazione politica

Articolo a cura di Pierfrancesco Mattiolo

Per l’UE, approfondire i rapporti con Giacarta e gli altri Paesi ASEAN è un’opportunità – forse addirittura una necessità. La visita dell’Alto Rappresentante Borrell a inizio giugno ne è un segnale.

“Il centro di gravità globale si sta spostando verso la regione Indo-Pacifica”. Con queste parole, pubblicate in un suo articolo per il Jakarta Post, Josep Borrell ha messo in chiaro con quanta attenzione Bruxelles stia guardando agli sviluppi politici ed economici nei Paesi ASEAN. L’Alto Rappresentante UE per gli Affari esteri e Vicepresidente della Commissione Europea si era recato a inizio giugno a Giacarta in visita ufficiale, dove aveva incontrato figure di primo piano del Governo indonesiano – il Presidente Widodo, i Ministri degli Affari esteri e della Difesa, esponenti del Parlamento – e dell’ASEAN – tra cui il Segretario Generale Lim Jock Hoi.

La rinnovata attenzione dell’UE verso l’ASEAN ha molteplici ragioni. Se da un lato Bruxelles ha fatto un salto di qualità nei suoi rapporti con due Paesi membri, Vietnam e Singapore, grazie ai recenti accordi di libero scambio, rimangono delle distanze notevoli con altri Governi. Ad esempio, sul piano politico, l’UE ha risposto al coup in Myanmar con una serie di sanzioni contro alcune personalità legate al Tatmadaw e, l’anno scorso, alle ripetute violazioni dei diritti umani in Cambogia con la revoca del regime commerciale di favore EBA (Everything But Arms). Sul piano commerciale, Bruxelles è stata adita due volte in giudizio innanzi alla World Trade Organization (WTO) per le sue misure sull’olio di palma e i biocarburanti con esso prodotti, rispettivamente da Kuala Lumpur e da Giacarta. Nonostante la disputa legale in corso, il futuro dei rapporti commerciali tra UE e Indonesia è promettente e un rafforzamento della cooperazione, anche politico-strategica, con lo Stato più popoloso dell’ASEAN è nel pieno interesse di Bruxelles. Borrell è stato chiaro sul punto: “il potenziale del nostro rapporto è inespresso. Possiamo fare molto di più”. 

Sul piano commerciale, i negoziati per l’Accordo di libero scambio tra UE e Indonesia sono in fase avanzata ed entrambe le parti sembrano interessate ad accelerare i tempi. Uno dei dossier più caldi, la questione dell’olio di palma, potrebbe essere spostato su un altro tavolo negoziale, così da raggiungere un compromesso separato e rendere più agevole il confronto sul capitolo TSD (Commercio e Sviluppo Sostenibile) dell’Accordo. Borrell stesso sembra aver suggerito questo approccio nel corso della sua visita a Giacarta. Le discussioni sugli altri capitoli proseguono in modo positivo, nonostante su alcuni temi sia più complesso trovare un punto di incontro – ad esempio, sulle barriere tecniche al commercio (TBT), sull’accesso agli appalti pubblici e sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale. L’Accordo conterrà un capitolo dedicato agli investimenti, tema particolarmente caro al Governo indonesiano. Risale allo scorso 4 marzo il regolamento attuativo della Omnibus Law, l’ambizioso piano di riforme economiche di Giacarta che ha aperto il Paese agli investimenti stranieri in molti settori – tra cui telecomunicazioni, trasporti, energia, servizi edili – e ha previsto vari incentivi per attrarli. Questa apertura potrebbe essere rafforzata ulteriormente dall’Accordo di libero scambio e portare nuove opportunità alle imprese europee. Per il momento, il mercato indonesiano è particolarmente favorevole ai competitors dei Paesi che hanno sottoscritto il RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership, l’accordo commerciale tra Paesi ASEAN, Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda). In particolare, l’Indonesia ha bisogno di investimenti stranieri sulle sue infrastrutture, la cui inadeguatezza costituisce un ostacolo per la crescita economica del Paese, e la Cina si è dimostrata ben lieta di intervenire, approfittando delle recenti aperture.

L’appeal degli investimenti cinesi, oltre al supporto ricevuto nella gestione della crisi COVID-19, sta spingendo il Governo indonesiano a riallacciare i rapporti con Pechino, particolarmente tesi in passato a causa delle dispute sulle zone di pesca nel Mar Cinese Meridionale. La crescente influenza cinese nella regione rientra senza dubbio tra i motivi che hanno spinto l’UE e alcuni suoi Stati membri – Francia, Germania e Paesi Bassi – a formulare una nuova e più coraggiosa “strategia Indo-pacifica” che passa proprio da Giacarta. Se il dialogo con Myanmar e la Cambogia è difficile a causa delle divergenze molto profonde – di cui la Cina ha approfittato per aumentare la sua influenza in questi due Paesi – sulla forma di Stato e sulla tutela dei diritti, l’UE non ha problemi a riconoscere nell’Indonesia “una delle più grandi democrazie ed economie al mondo” e un Paese like-minded, quasi a voler sottolineare l’intenzione di voler collaborare anche sul piano politico, oltre che commerciale. Giacarta ha lanciato segnali incoraggianti in questo senso: dopo il colloquio con Borrell di inizio giugno, la Ministra degli Affari esteri Retno Marsudi ha ribadito l’impegno del suo Governo a ottenere la nomina di un inviato ASEAN per il Myanmar, la cessazione delle violenze e la liberazione dei prigionieri politici da parte delle forze golpiste birmane.La cooperazione politica potrebbe diventare presto anche strategica. L’UE ha espresso l’intenzione di essere presente nel Sud-Est asiatico anche con le proprie marine militari. Si tratta di un cambiamento non da poco per Bruxelles, alla ricerca di un approccio pragmatico in equilibrio tra cooperazione – economica e politica – e proiezione strategica nell’Indo-pacifico, anche per bilanciare il protagonismo cinese. L’Indonesia – che, tra l’altro, ricoprirà la presidenza del G20 il prossimo anno, subito dopo l’Italia – è sicuramente un partner fondamentale, probabilmente necessario, per concretizzare questa nuova visione.

GoTo: il nuovo colosso dell’e-commerce ASEAN

Gojek e Tokopedia annunciano la fusione in un nuovo soggetto chiamato a sfidare Grab e Sea. Ecco come cambia il mercato dell’e-commerce del Sud-Est asiatico

Gojek e Tokopedia hanno confermato i rumors delle scorse settimane, annunciando la loro fusione. GoTo, la piattaforma che ne nascerà, sarà un nuovo gigante e-commerce ASEAN da oltre 18 miliardi di dollari.Una notizia che si inserisce in un contesto in cui l’industria tech, e specialmente il digital commerce, è stata recentemente caratterizzata da una estrema dinamicità.

Rilevante il senso di urgenza che accompagna la nascita di GoTo, il che fa pensare che possa essere l’unica soluzione, per entrambe le aziende, per guadagnarsi un ruolo più rilevante nel mercato di riferimento.

Tokopedia e Gojek sono due importanti scale-up, entrambe indonesiane, ed entrambe con ottimi fondamentali oltre che prospettive di crescita rosee nei rispettivi mercati.

Tokopedia è una piattaforma e-commerce, una delle maggiori cinque in ASEAN, mentre Gojek è il leader della shared mobility sullo stesso mercato nazionale.

Entrambe le aziende sono molto promettenti e si sono dimostrate in grado di competere in larga scala, anche e soprattutto grazie alle caratteristiche del loro Paese di origine. Con una popolazione che supera i 270 milioni (la quarta più grande al mondo) e un’economia che prima del Covid era in fortissima crescita (+5% nel 2019 prima di calare del 2,1% nel 2020), l’Indonesia rappresenta uno dei mercati più attrattivi per l’e-commerce. 

In aggiunta, Tokopedia ha ricevuto round di finanziamenti per 2,8 miliardi di dollari al fine di potenziare la sua piattaforma e-commerce, e può vantare tra i suoi investitori nomi come SoftBank, Google e Alibaba.

Gojek, d’altro canto, vanta un portafoglio investitori del calibro di Facebook, PayPal, Visa e MUFG (colosso bancario giapponese) per oltre 5 miliardi di dollari, e rappresenta una promessa certa della mobilità digitale, simile a Uber nei suoi primi anni negli USA.

Entrambe hanno non solo ottime basi ma anche i fondi necessari e l’accesso alle infrastrutture ICT asiatiche best-in-class.

La causa della fusione tra Tokopedia e Gojek va quindi ricercata all’esterno, soprattutto nella minaccia rappresentata dagli altri competitor, e qui vale la regola d’oro dell’e-commerce: agglomerazione e accentramento sono sinonimo di potere e garanzia di sopravvivenza.

Da un lato, infatti, le due aziende devono far fronte all’exploit di Grab, la più grande piattaforma di shared mobility del SudEst asiatico con 200 milioni di utenti, che ha annunciato una imminente quotazione al NASDAQ per un valore di oltre 40 miliardi di dollari. Grab è la prima vera superapp della regione, ossia il primo esempio di applicazione mobile totalizzante che racchiude servizi di social networking, pagamento digitale, e-commerce, mobilità e servizi finanziari: da qui il suo motto, ‘The Everyday Everything app’. Tutto lascia pensare alla volontà strategica di raggiungere una rapida espansione a livello internazionale, oltre che l’esplicita ambizione di diventare leader indiscusso in area ASEAN.

Dall’altro lato, Tokopedia e Gojek si devono confrontare con giganti come Sea, che sta iniziando a rappresentare un grande competitor nello stesso mercato indonesiano. Il gruppo di Singapore continua a investire incessantemente per aumentare la propria presenza nei singoli mercati locali della regione: con una capitalizzazione stellare, ha una potenza di fuoco in grado di escludere gli altri player da molti mercati digital della regione.

L’Indonesia apre agli investimenti esteri

L’Indonesia cambia rotta e apre agli investimenti esteri, nell’ambito delle riforme previste dall’attuazione dell’Omnibus Law

Il 4 marzo 2021 è entrato in vigore il  Decreto Presidenziale 10/2021, anche soprannominato “Lista degli Investimenti Positivi”, che delinea i settori economici aperti agli investimenti. Questo regolamento fa parte dell’attuazione della cosiddetta “Legge Omnibus”, il più grande piano di riforme economiche mai lanciato in Indonesia e sostituisce il Decreto Presidenziale n. 36/2010, che elencava i settori chiusi agli investimenti e quelli aperti a specifiche condizioni. 

Approvata il 5 ottobre 2020, la discussa Omnibus Law (UU 11/2020 Cipta Kerja) mira principalmente a creare nuovi posti di lavoro, incoraggiare gli investimenti nazionali ed esteri, e stimolare l’economia attraverso la semplificazione dei processi  burocratici e la velocizzazione delle decisioni politiche. Tuttavia, forti condanne sono giunte dai sindacati e dalle associazioni per i diritti dei lavoratori, che hanno organizzato massicce proteste per tutto il mese di ottobre, dichiarandosi contrari alla legge per i danni causati ai salari, alla sicurezza del lavoro e all’ambiente, con ulteriore centralizzazione del potere a Jakarta. 

La nuova lista di investimenti ha ridotto in modo significativo il numero di settori completamente chiusi a qualsiasi forma di investimento (estero o locale) e quelli che sono totalmente chiusi o parzialmente aperti a investimenti esteri. Ciò si allinea agli sforzi del governo per contrastare l’impatto della pandemia di Covid-19, incoraggiando l’arrivo di maggiori IDE in Indonesia. Il decreto rappresenta infatti una delle maggiori liberalizzazioni del capitale estero: prima dell’introduzione della Omnibus Law, il Paese non disponeva di un sistema completo per incentivare gli investimenti.

Importanti settori, quali telecomunicazioni, trasporto, energia, distribuzione e servizi edili, che subivano in precedenza forti restrizioni, sono stati aperti agli investimenti esteri e incoraggiati con sgravi fiscali, come la riduzione dell’imposta sul reddito delle società. Ulteriori incentivi comprendono la fornitura di infrastrutture di supporto alle aziende estere, nonché di energia e materie prime, insieme alla semplificazione delle procedure per la concessione di licenze commerciali. Inoltre, gli investimenti esteri nei settori delle start-up tecnologiche nelle Zone Economiche Speciali sono esentati dalla soglia minima di investimento di 10 miliardi di rupie.

I settori economici sono stati suddivisi in 4 categorie principali, ponendo grande enfasi sulla categoria dei settori prioritari, in cui sono state delineate 245 aree di business ora aperte agli investimenti esteri. I settori prioritari includono inoltre alcune industrie strategiche per lo sviluppo economico del Paese, tra cui la lavorazione e la raffinazione del nichel, materiale chiave nelle batterie dei veicoli elettrici. L’Indonesia, sede delle più grandi riserve di nichel del mondo, intende infatti diventare un hub di produzione di batterie per veicoli elettrici, creando una catena di approvvigionamento completa del nichel, dall’estrazione di materie prime alla produzione delle batterie stesse. Tesla ha recentemente avanzato la sua proposta di investimento per aiutare lo sviluppo degli ambiziosi piani indonesiani in questa direzione. 

L’Indonesia lancia quindi un forte messaggio alla comunità economica internazionale, mettendo nero su bianco l’elenco delle nuove opportunità di business. L’apertura agli investimenti esteri sancisce un approccio nuovo e prezioso per il futuro del Paese.

L’Indonesia vaccinerà i lavoratori prima degli anziani

Il gigante ASEAN sceglie una strategia diversa per fermare l’avanzata del COVID e far ripartire l’economia

La sfida della vaccinazione, una straordinaria impresa logistica resa ancor più ardua dai ritardi della produzione, richiede scelte difficili. Durante lo scorso anno i policymakers di tutto il mondo hanno concentrato sforzi e risorse prima nella ricerca per lo sviluppo dei vaccini e quindi nell’acquisto delle dosi necessarie all’inoculazione dei propri concittadini. Negli ultimi mesi, invece, una nuova domanda ha conquistato il centro del dibattito politico: a chi spetteranno le prime dosi disponibili?

La discussione riguardante il corretto ordine di precedenza nella somministrazione dei vaccini è di estrema importanza. Una volta terminata la vaccinazione degli operatori sanitari, la maggior parte degli Stati Membri dell’Unione Europea ha scelto di dare priorità ai cittadini più anziani, ritenuti gli elementi più fragili di fronte al virus, partendo quindi  dagli ultraottantenni, gli ultra sessantacinquenni, e così via scendendo. L’Indonesia, invece, ha scelto una strategia diversa: vaccinare per primi i cittadini tra i 18 e i 59 anni, la forza lavoro, che rappresenta più del 60% della popolazione. 

Il governo ha scelto di intraprendere questa strada per due motivi principali. Il primo è prettamente sanitario; le autorità indonesiane sperano di poter fermare l’avanzata del contagio immunizzando coloro che si muovono di più, sia per gli impegni professionali che per le attività sociali. Queste persone hanno più probabilità di essere contagiate e di conseguenza di contagiare a loro volta: l’80% dei casi COVID registrati in Indonesia è tra la popolazione attiva. Il secondo motivo è essenzialmente economico; come e forse più di altre economie mondiali, infatti, l’Indonesia sta pagando un conto salatissimo per l’epidemia. La ripresa passa anche per la ripartenza del turismo e dei trasporti, tra i settori maggiormente colpiti, e per questo serve che le persone possano ritornare al più presto a lavorare, magari anche a viaggiare, in sicurezza. 

Questo risultato, secondo Fithra Faisal Hastiadi, economista dell’Università dell’Indonesia e portavoce del Ministero del Commercio, può essere raggiunto solo attraverso una campagna di vaccinazione di massa delle persone in piena età lavorativa, a partire, certo, da coloro che svolgono una professione in cui il rischio di contagio è più elevato (gli operatori sanitari, le forze di polizia ed i militari). L’Indonesia sta dunque puntando sul vaccino per risolvere sia l’emergenza sanitaria che la crisi economica. Per dirla con le parole di Hastiadi, «quando si parla di salute pubblica si parla anche di economia, perché la salute pubblica è una funzione dell’economia». 

Come tutte le scelte anche questa non è esente da critiche e il governo indonesiano è stato accusato a più riprese di non preoccuparsi abbastanza per la salute delle fasce più deboli della popolazione. Amin Soebandrio, direttore dell’Istituto di biologia molecolare Eijkman, difende però la strategia di Jakarta dichiarando che vaccinare per primi i lavoratori è l’unico modo per l’Indonesia di raggiungere l’immunità di gregge e riportare il contagio sotto controllo. Altro convinto sostenitore di questa scelta è il Ministro della Sanità, Budi Gunadi Sadikin, che, nonostante non vi siano ancora studi approfonditi sull’impatto dei vaccini sulla diffusione del virus, ha insistito sul fatto che grazie a questa strategia gli anziani non rischieranno più di essere infettati dai parenti che rientrano a casa dopo una giornata a contatto con altre persone. 

Certo, quando l’Indonesia ha dato il via alla campagna vaccinale, non era sicura di avere abbastanza dosi per vaccinare l’intera popolazione , ed il Paese aveva a disposizione soltanto il vaccino Sinovac Biotech, sviluppato in Cina, che, allora, non era ritenuto scientificamente efficace e sicuro sugli anziani. L’approvazione all’uso di Sinovac sugli ultrasessantenni è arrivata il 6 febbraio scorso e nel frattempo il governo ha prenotato ulteriori 125 milioni di dosi del vaccino cinese e 330 milioni di dosi dei vaccini di AstraZeneca e Pfizer-BioNTech. Eppure il Governo non sembra, al momento, intenzionato a cambiare l’ordine di priorità con cui verrà somministrato il vaccino. 

CB. Kusmaryanto, membro del Comitato di bioetica del Paese, sostiene che in Indonesia non è possibile «fare buone scelte, ma scegliere il male minore». L’economia indonesiana, la più grande del Sud-Est asiatico e la decima al mondo a parità di potere d’acquisto, ha superato l’India nel 2012 diventando il secondo stato membro del G20 per crescita del PIL. Dall’inizio del nuovo secolo, l’Indonesia ha dimezzato la povertà e prima del Covid-19 si era qualificata per raggiungere lo status di Paese a reddito medio-alto. Il piano del governo ora è di vaccinare il 67% degli individui nei prossimi 15 mesi, sperando che la strategia si dimostri efficace e sufficiente a rimettere l’Indonesia sulla propria traiettoria di sviluppo.

A cura di Carola Frattini

L’economia islamica in Indonesia

Con il lancio del Masterplan per l’economia islamica e la certificazione halal obbligatoria, l’Indonesia punta a diventare hub mondiale del settore halal entro il 2024.  

Il 14 maggio 2019 il Presidente indonesiano Joko Widodo ha lanciato ufficialmente il primo Masterplan per l’Economia Islamica (MEKSI) da implementare nel quinquennio 2019-2024. L’Indonesia è il Paese con la più numerosa popolazione musulmana del mondo e negli ultimi anni sta puntando sempre più concretamente allo sviluppo di forti strategie inerenti l’economia islamica. 

The State of The Global Islamic Economy Report 2020/2021 rileva che l’Indonesia continua ad avanzare in tutte le classifiche dei principali settori dell’economia islamica mondiale, posizionandosi sempre tra i primi 10 Paesi. In relazione al GIEI (Global Islamic Economy Indicator), l’Indonesia è salita dal decimo posto nel 2018 al quarto posto nel 2020, avanzando di un ulteriore posizione rispetto al quinto posto del 2019. Inoltre, si posiziona al 1° posto nella Top 5 dei mercati mondiali di consumo alimentare halal, con una spesa di $144 miliardi; 7° posto nella Top 10 dei Paesi in base agli asset di finanza islamica; 2°, 4° e 5° posto nelle rispettive Top 5 dei mercati di consumo di cosmetici halal, prodotti farmaceutici halal e modest fashion. 

Questi dati confermano il ruolo dell’Indonesia tra i Paesi con maggiore potenziale per diventare centri nevralgici dell’economia islamica. Di recente, l’Indonesia ha compiuto passi decisivi in tale direzione. Innanzitutto, con la legge No. 33/2014 sulla Garanzia dei Prodotti Halal, il governo indonesiano ha reso obbligatoria la certificazione per tutti i prodotti halal distribuiti sul mercato interno, incluse le importazioni. Questa legge è entrata in vigore ad ottobre 2019 e prorogata fino al 2024 per permettere ai produttori di adeguarsi alle nuove direttive ed ottenere la certificazione halal. I requisiti halal si applicano a varie categorie di beni e servizi. Il mercato globale halal, analizzato dal suddetto Report, comprende infatti ben 7 categorie economiche: cibo halal, finanza islamica, turismo Muslim-friendly, modest fashion, farmaci halal, cosmetici halal, media e intrattenimento a tema islamico.

Su questa scia si pone quindi l’adozione del cosiddetto MEKSI 2019-2024 (Masterplan Ekonomi Sharia Indonesia), il primo piano d’azione atto a rendere l’Indonesia un Paese leader nella produzione di prodotti e servizi specificamente halal. Il piano individua 4 strategie principali. Esse prevedono il potenziamento del ruolo delle micro, piccole e medie imprese, intese come motore della catena del valore halal, concentrandosi in particolare sui settori più competitivi del Paese (alimenti e bevande halal, e modest fashion); il rafforzamento del settore finanziario islamico, con maggiore presenza e fornitura di capitali per le imprese di produzione halal; e infine, la promozione dei prodotti e servizi halal indonesiani tramite una più intensa collaborazione con le piattaforme di e-commerce.

L’avvio del Masterplan è passato attraverso l’istituzione del National Islamic Finance Committee (KNKS, Komite Nasional Keuangan Syariah) da parte del governo indonesiano. L’obiettivo esplicito è quello di rafforzare il ruolo della finanza islamica nel guidare la crescita economica del Paese, supportata dallo sviluppo di un roadmap nazionale per il fintech islamico. 

Il KNKS ha successivamente cambiato nome in National Sharia Economy and Finance Committee (KNEKS), nell’ambito di una nuova strategia e di una nuova direzione esecutiva. Il KNEKS coprirà quattro aree: sviluppo dell’industria dei prodotti halal, sviluppo della finanza islamica, sviluppo della finanza sociale islamica e aumento delle attività commerciali islamiche. La domanda per il consolidamento della finanza islamica, così come la sua analisi e comprensione, è infatti sempre più forte in Indonesia. Essa registra anche il maggior numero di eventi del settore, e si classifica seconda per la quantità di studi ad esso correlati. 

L’attuazione del MEKSI coinvolge i vari attori dell’economia islamica con iniziative ampie ed ambiziose. Tra gli obiettivi del Masterplan rientrano infatti la costruzione del Halal Lifestyle District a Jakarta, un distretto industriale di 21 mila metri quadrati con un investimento di $18 milioni; e la realizzazione del Muslim Fashion Project (MOFP), un piano d’azione per lo sviluppo dell’industria della modest fashion, che include concorsi e progettazione di start-up di moda, e in cui sono coinvolti circa 656 piccole e medie imprese e 60 designer. L’Indonesia mira così a diventare la prossima capitale mondiale della modest fashion

Il MEKSI 2019-2024 rappresenta quindi un importante punto di svolta per la politica economica indonesiana. L’economia islamica è destinata a diventare il valore identitario dell’Indonesia, che si pone l’ambizioso obiettivo di diventare produttore chiave e hub mondiale del settore halal entro il 2024.  

13° Bali Democracy Forum: il futuro della democrazia in Asia Sud-Orientale

Dalla tutela dei diritti civili alla necessità di un’economia inclusiva, l’Indonesia punta i riflettori sullo sviluppo della democrazia nella regione Asia-Pacifico.

Il 10 dicembre si è svolta, in modalità semi-virtuale, la tredicesima edizione del Bali Democracy Forum, intitolata Democracy and the Covid-19 Pandemic. Il discorso del Ministro degli Affari Esteri indonesiano Retno Marsudi, la prima donna a ricoprire questo ruolo nel Paese, ha dato il via alla cerimonia di apertura tenutasi a Nusa Dua, sede dell’evento. Al termine del suo intervento sono state trasmesse, tramite videoconferenza, le parole del Segretario Generale dell’ONU e del Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Il 13° Bali Democracy Forum (BDF) ha affrontato l’impatto e le conseguenze della pandemia su democrazia e solidarietà tra Stati. La preoccupazione di molti, infatti, è che le misure restrittive adottate dai governi per contenere l’epidemia di Covid-19 stanno minacciando alcuni valori fondanti delle società democratiche. L’obiettivo del 13° BDF è stato quindi quello di fornire uno spazio per la condivisione di esperienze tra Stati e stakeholders, nonché identificare risposte sul futuro della democrazia in seguito alla crisi globale.

Questo forum intergovernativo annuale focalizza la sua attenzione sullo sviluppo della democrazia nella regione dell’Asia-Pacifico. Istituito dal governo nel 2008 per celebrare i primi dieci anni della democrazia indonesiana, il BDF ha lo scopo di incoraggiare la cooperazione regionale e internazionale sul tema della democrazia e della pace, attraverso un dialogo costruttivo tra tutti gli Stati partecipanti. La pluralità è per l’Indonesia uno dei suo principi fondanti, sanciti nel cosiddetto Pancasila, il pensiero filosofico su cui si fonda lo stato indonesiano. La promozione della democrazia è inoltre parte integrante della politica estera dell’Indonesia, in particolare nel continente asiatico. 

L’adesione ai principi di uguaglianza e rispetto reciproco è diventata il fondamento su cui si basa lo spirito stesso del Forum. Nel corso degli anni, il BDF ha reso la democrazia un punto chiave dell’agenda strategica nella regione Asia-Pacifico, diventando il principale meeting della regione su tale tematica. In linea con i tre pilastri fondanti della Carta delle Nazioni Unite, il BDF punta i riflettori sulla necessità di riuscire a creare un equilibrio duraturo tra lo sviluppo economico e politico, il mantenimento della pace e della sicurezza, e la tutela dei diritti umani e dei valori umanitari in Asia-Pacifico. 

Il 13° Bali Democracy Forum ha visto svolgere prima dell’evento il Road to BDF, tenutosi da settembre a novembre 2020. Questa nuova iniziativa è stata suddivisa in tre segmenti principali: Bali Civil Society and Media Forum (BCSMF), Bali Democracy Students Conference (BDSC), e il Panel of Inclusive Economy. Ogni segmento ha prodotto una serie di incontri e consultazioni preliminari sulla democrazia e la pandemia di Covid-19.

Il BCSMF mira a incoraggiare la partecipazione della società civile e dei media, in quanto attori centrali nel processo di elaborazione della politica pubblica. L’evento è un’occasione per far incontrare leader di comunità, attivisti di ONG, accademici, ricercatori, giornalisti e altri personaggi pubblici. Il BDSC coinvolge invece studenti provenienti da varie università, indonesiane ed estere, in un prezioso momento di confronto su diversi argomenti e ambiti di discussione scaturiti dalla tematica principale del Forum. Il Panel of Inclusive Economy infine è stato introdotto nell’edizione 2019 come fulcro del BDF: con esso viene evidenziata l’importanza di un’economia inclusiva, che sappia garantire la partecipazione di tutti gli attori economici, in particolare i settori privati. Infatti, la collaborazione tra il settore pubblico e privato consente il rafforzamento del sistema democratico e dello sviluppo economico. Il Panel agisce inoltre come piattaforma per approfondire gli argomenti in questione e proporre azioni concrete per affrontare le sfide economiche. Il rafforzamento delle micro, piccole e medie imprese (MSME) è stato un tema cruciale del BDF 2020. È stata enfatizzata la necessità di potenziare le MSME come parte fondamentale della ripresa economica, in quanto rappresentano uno dei settori più colpiti dalla pandemia. 

«Il nostro compito non è facile, dobbiamo fare in modo che la democrazia possa sostenere i nostri sforzi nell’era post-pandemica», ha dichiarato il Ministro degli Esteri Retno Marsudi. Con il BDF, l’Indonesia si pone al centro della regione Asia-Pacifico e afferma una prerogativa quanto mai essenziale nel momento storico che stiamo vivendo. Lo spirito di inclusione è il cardine di una democrazia di successo. Il sostegno e la tutela dei principi democratici devono diventare una forza positiva per superare le sfide e i problemi causati dalla pandemia attuale e lanciarci nella fase post-pandemica. 

RCEP: sfide e opportunità per l’Indonesia

L’Indonesia cerca di trarre vantaggio dall’adesione alla RCEP mentre è alle prese con problemi di infrastrutture e investimenti

La firma della Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) avvenuta il 15 novembre segna un’importante tappa nella storia recente dell’Indonesia. Dopo otto anni di negoziati, i dieci Stati membri dell’ASEAN insieme a Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, hanno finalmente firmato un accordo commerciale destinato a diventare il più grande della storia. Il trattato infatti creerà un mercato di circa 2,1 miliardi di consumatori, equivalente al 30% del PIL globale.

L’obiettivo della RCEP è quello di creare un partenariato economico reciprocamente vantaggioso per ciascuno dei Paesi partecipanti grazie all’abbassamento delle tariffe, alla semplificazione delle procedure doganali e alla stesura di regolamenti economici comuni. Per l’Indonesia, l’adesione alla RCEP non solo aprirà le porte a una vasta gamma di opportunità commerciali future, ma nell’immediato servirà al Paese per rimettere in sesto un’economia pesantemente colpita dalla pandemia di Covid-19. Molti economisti stanno tuttavia ancora cercando di prevedere tutte le possibili implicazioni che un accordo così ambizioso comporterà per il mercato indonesiano.

Uno degli obiettivi immediati della RCEP è consentire alle merci di circolare in modo più efficiente attraverso i 15 Paesi membri. Ciò comporterebbe un indubbio vantaggio per Jakarta, poiché le attività commerciali di queste nazioni hanno rappresentato il 57% delle esportazioni totali dell’Indonesia e il 67% delle sue importazioni totali nel 2019. Inoltre, il 66% degli investimenti diretti esteri proviene da diversi Paesi firmatari quali Singapore, Cina, Giappone, Malesia e Corea del Sud. Tuttavia, per sfruttare al meglio i vantaggi dell’accordo, l’Indonesia ha bisogno di adeguare il suo sistema infrastrutturale.

Anche prima della pandemia di Covid-19, la crescita economica del Paese è stata spesso rallentata da questo fattore. Nel 2017, la Banca Mondiale ha stimato che l’Indonesia dovrà investire circa 500 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni per colmare il suo divario infrastrutturale. Secondo gli esperti, una delle possibili soluzioni è quella di sfruttare maggiormente le iniziative infrastrutturali lanciate dai governi dell’Asia-Pacifico. Questi includono la cinese Belt & Road Initiative, la Partnership for Quality Infrastructure del Giappone, e l’istituzione della Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture sponsorizzata da Pechino. 

La partecipazione a queste iniziative multilaterali non è tuttavia esente da rischi, e il governo indonesiano deve tenere conto dei risvolti geopolitici. In quanto uno dei principali Paesi del Sud-Est asiatico, l’Indonesia ha un mercato interno che fa gola alle altre potenze del continente asiatico e del mondo. Un esempio è il progetto della ferrovia ad alta velocità Jakarta-Bandung, la cui gara per la costruzione ha causato frizioni tra il Giappone e la Cina, entrambe interessate all’appalto. A vincere alla fine è stata Pechino, che ha offerto tassi di prestito più bassi e una tempistica più breve il completamento dell’opera.

La partecipazione alla RCEP contribuirà senza dubbio ad aumentare degli investimenti esteri diretti verso l’Indonesia. In passato, le rigide leggi sul lavoro hanno indotto molte aziende straniere a ridurre i propri investimenti; per risolvere questo problema, il governo ha introdotto quest’anno una nuova riforma, la Legge Omnibus, che mira a facilitare le attività economiche nel Paese modificando ben 76 leggi esistenti. Sono incluse tra le varie norme la riduzione della burocrazia, l’allentamento delle restrizioni sugli investimenti stranieri e l’abrogazione di alcune leggi sul lavoro.

Nonostante gli sforzi del governo, il progetto ha ricevuto severe critiche da vari gruppi sociali, poiché il disegno di legge taglia alcune protezioni sociali e allenta le norme ambientali, aumentando il rischio deforestazione e inquinamento. Tuttavia, è ancora troppo presto per vedere l’impatto a lungo termine del disegno di legge, in quanto tutto dipende dalle modalità di attuazione. La Legge Omnibus potrebbe effettivamente portare a un clima migliore per gli investimenti in Indonesia e quindi creare più posti di lavoro, ma deve essere sostenuta da una solida esecuzione e da un ampio monitoraggio da parte del governo.

Sulla base di quanto descritto è chiaro che fare affidamento solo sulla RCEP non è sufficiente, né per la ripresa post-pandemia, né per lo sviluppo economico a lungo termine dell’Indonesia. Per trarre il massimo vantaggio da questo accordo, il Paese deve sostenerlo con una solida pianificazione infrastrutturale e un quadro normativo moderno, entrambe grandi priorità per l’attuale governo. Una volta raggiunti questi obiettivi, l’Indonesia otterrà significativi benefici economici, aumentando la propria competitività e integrandosi maggiormente nella regione Asia-Pacifico. 

A cura di Rizka Diandra 

Traduzione di Andrea Passannanti 

L’Indonesia punta sul settore elettrico

Il Paese, maggiore produttore mondiale di nichel, vuole costruire un’industria che includerà la realizzazione di veicoli elettrici 

In Indonesia il settore dei trasporti ha contribuito per quasi un terzo alle emissioni di gas serra nel 2018, principalmente a causa della mobilità stradale. Il governo indonesiano si è impegnato dunque a ridurre le proprie emissioni di CO2 per raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi di mantenere la temperatura globale al di sotto dei 2 °C. A tal proposito, la diffusione dei veicoli elettrici (EV) è vista da molti osservatori come la principale strategia futura per ridurre le emissioni inquinanti. 

Al fine di fare chiarezza sulla materia, il Ministero dei Trasporti indonesiano ha già stilato una bozza di regolamento sui test che i veicoli elettrici dovranno affrontare prima di poter essere venduti nel Paese. L’adozione di linee guida avvenuta in tempi così rapidi è una buona notizia per i produttori di veicoli elettrici, sia domestici che stranieri, in quanto da tempo puntavano a questo mercato di oltre 200 milioni di potenziali consumatori. La spinta è arrivata dal Presidente Joko Widodo in persona, il quale sta puntando sull’accelerazione del programma EV per la mobilità.

Il regolamento delinea inoltre le varie iniziative che il governo prenderà per rafforzare l’industria domestica dei veicoli elettrici, tra cui l’obbligo per i prodotti finiti di avere componenti realizzati localmente. La realizzazione di 2.200 unità di veicoli elettrici, 711.000 unità ibride e 2,1 milioni di motociclette elettriche entro il 2025, renderà l’Indonesia meno dipendente dal petrolio, il cui import grava pesantemente sul bilancio pubblico. Tuttavia, Il colosso statale dell’elettricità Perusahan Listrik Negara stima che l’Indonesia necessiti di oltre 31.000 nuove stazioni di ricarica per veicoli elettrici entro il 2030 per raggiungere gli obiettivi prefissati, con un costo pari a 3,7 miliardi di dollari. L’Istituto per la Riforma dei Servizi Essenziali ha identificato la mancanza di stazioni di ricarica come uno dei fattori chiave che inibiscono la crescita delle auto elettriche in Indonesia. A questo si aggiungono gli insufficienti incentivi fiscali e gli alti costi di supporto dell’infrastruttura EV.

In compenso l’Indonesia è uno dei maggiori produttori mondiali di nichel, di cui il governo ha recentemente vietato l’esportazione: l’obiettivo è quello di incentivare le aziende straniere a investire nella produzione di prodotti finiti direttamente nel Paese, utilizzando il nichel indonesiano. Il CEO di Tesla Elon Musk, pur non essendo questa ancora presente nel mercato indonesiano, ha chiesto alle compagnie minerarie di aumentarne la produzione. La materia prima è indispensabile all’azienda californiana per raggiungere la produzione delle proprie celle della batteria a 200 GWh di capacità di produzione annuale nel 2023 e 3 TWh nel 2030.

Il Ministro dell’Industria indonesiano Agus Gumiwang ha mostrato interesse verso la proposta di Tesla, che ha già in programma la costruzione di una fabbrica di batterie in loco, più precisamente a Batang. È attualmente in corso una trattativa tra l’azienda californiana e il governo indonesiano per costruire una nuova impresa di estrazione e lavorazione di nichel nel Paese. Anche il Ministro Coordinatore per gli Affari Marittimi e gli Investimenti, Luhut Binsar Pandjaitan, ha confermato la disponibilità del governo indonesiano a concedere l’utilizzo delle riserve di nichel del Paese qualora l’azienda di Elon Musk dovesse decidere di investire nella costruzione di una fabbrica di batterie nel Paese.

Ormai consapevole della crescente importanza del nichel nello sviluppo di questo settore, l’Indonesia vuole dare vita anche a un’industria di batterie per veicoli elettrici, con l’obiettivo di mettere sul mercato le prime celle entro il 2023. A progettarle e costruirle sarà la “Indonesia Battery Holding”, una nuova azienda formata dalla compagnia petrolifera statale Pertamina, dalla società di distribuzione dell’energia Perusahan Listrik Negara e dalla compagnia mineraria Aneka Tambang. La fondazione di questa nuova società a forte partecipazione statale, metterà l’Indonesia in una posizione di forza nel mercato mondiale delle batterie.

Ad oggi, il punto debole di questa strategia è il difficile accesso alle tecnologie necessarie per la produzione su scala industriale. Per rimediare a ciò, il governo sta portando avanti una trattativa con l’azienda cinese CATL e la coreana LG Chem, due tra i più grandi produttori al mondo di batterie per veicoli elettrici. L’ingresso di questi player nel mercato indonesiano, porterà investimenti per ulteriori 20 miliardi di dollari da destinare allo sviluppo delle tecnologie mancanti. Le batterie per i veicoli elettrici prodotte in Indonesia, inoltre, non saranno destinate soltanto al settore dei trasporti, ma anche a quello dello stoccaggio di energia: gli esperti prevedono che la domanda aumenterà per entrambi gli utilizzi.

In conclusione, dato il mercato attuale dell’Indonesia, le normative esistenti e le deboli infrastrutture industriali, i veicoli elettrici dovranno affrontare sfide molto ardue per penetrare nel commercio automobilistico. Per raggiungere un’elevata quota di mercato e una significativa riduzione delle emissioni, sono necessari strumenti politici di supporto. Le nuove misure dovranno mirare a fornire incentivi per i veicoli elettrici e disincentivi per gli ICEV (internal combustion engine vehicle). Gli strumenti dovrebbero includere incentivi fiscali, sia iniziali che ricorrenti, incentivi non finanziari, incentivi normativi e la disponibilità di infrastrutture di ricarica pubbliche, strumenti indispensabili già adottati in altri paesi con un’elevata diffusione di veicoli elettrici.

A cura di Diego Mastromatteo