Indonesia

Verso le elezioni Indonesiane

A febbraio 2024, i cittadini indonesiani andranno alle urne. Ma come possiamo immaginarci il futuro post Jokowi?

Di Anna Affranio

Gli assetti politici del Sud-Est Asiatico si trovano sull’orlo di un grande cambiamento, poiché ci  si prepara a dire addio a un decennio di governo di Joko Widodo, il popolarissimo presidente in carica dal 2014. La legge indonesiana, infatti, consente solo due mandati presidenziali, il che significa che Widodo non potrà competere nella tornata elettorale che si terrà il prossimo 14 febbraio. 

Lo scorso 25 ottobre è scaduto il termine ultimo per la registrazione dei candidati presidenziali. Al momento risultano ufficialmente in corsa tre coppie (in Indonesia, i candidati alla presidenza corrono sempre in coppia con i rispettivi vice presidenti), con a capo Prabowo Subianto, Ganjar Pranowo e Anies Baswedan.

Questa campagna elettorale sembra seguire il trend storico indonesiano (e non solo) che vede gli elettori e i media focalizzarsi più sul carisma dei leader e sugli accordi tra oligarchi e capi dei partiti piuttosto che sui dettagli dei programmi politici. Tuttavia, molti analisti hanno osservato come ognuna delle tre coppie rappresenti una visione diversa per quello che potrebbe essere il futuro dell’Indonesia. 

Prabowo Subianto, attuale Ministro della Difesa, è considerato il favorito dagli ultimi sondaggi. Quest’ultimo, 72 anni (il più anziano tra i candidati), proviene da una famiglia elitaria e gode di un ampio seguito nonostante numerose controversie che lo hanno investito. È stato, infatti, accusato di violazioni dei diritti umani legate al rapimento di attivisti democratici durante i tumulti che hanno contrassegnato il Paese alla fine degli anni ’90, nonostante egli abbia sempre negato ogni coinvolgimento. È anche l’ex genero del defunto presidente autoritario Suharto e in elezioni precedenti ha formato alleanze con gruppi islamici conservatori e con partiti politici divisivi. A favore di questa coalizione giova però il (tacito) supporto del Presidente uscente: nonostante quest’ultimo e Prabowo abbiano avuto alcuni problemi in passato, il candidato ha annunciato di voler continuare il progetto di Nusantara, la nuova capitale designata, che rappresenta la principale eredità politica di Jokowi. Quest’ultimo, infine, ha sicuramente apprezzato la decisione di candidare a vicepresidente Gibran Rakabuminag Raka, nientemeno che il figlio maggiore di Widodo stesso.

Il secondo candidato in corsa è Ganjar Pranowo, attuale governatore della provincia di Giava Centrale. 55 anni, è forse colui che più somiglia al presidente uscente Jokowi, con cui condivide la provenienza da una famiglia umile e un’abile capacità di rivolgersi alle masse. Per questo motivo sta ottenendo un ampio sostegno tra la gente comune e gode di ampia popolarità tra i giovani e i social media, in particolare su TikTok. Inoltre, è il candidato supportato dal PDI-P (Partito Democratico Indonesiano di Lotta), lo stesso partito di matrice populista che aveva supportato Joko Widodo nelle due elezioni precedenti. 

Il terzo candidato, Anies Baswedan, 54 anni, ex governatore di Jakarta, sta perdendo popolarità nei sondaggi. Quest’ultimo, formatosi negli Stati Uniti e dichiaratosi pubblicamente sostenitore di un Islam moderato, è stato tuttavia accusato di  associazione al movimento islamico radicale, sollevando preoccupazioni tra le minoranze religiose e i musulmani moderati. Ciò è legato al fatto che Anies, durante le elezioni del 2017 per il governatorato di Jakarta, accetto’  il supporto di gruppi islamici radicali scagliatisi contro il suo avversario, l’allora governatore di Jakarta, Basuki Tjahaja “Ahok” Purnama, un cristiano cinese, che fu successivamente imprigionato per insulto all’Islam. 

In sintesi, queste elezioni non sono solo una sfida tra candidati, ma anche tra diverse idee di un Indonesia di domani: un ritorno al passato reazionario, la continuità di una politica democratica,  o un possibile avvicinamento al radicalismo religioso. Sarà importante vedere quale strada sceglierà il popolo indonesiano, e i prossimi mesi saranno cruciali per orientare questa scelta.

Indonesia, i trend sul PIL del 2023

La spesa pubblica ha registrato un’impressionante impennata del 10,6%.L’economia dovrebbe continuare la sua traiettoria di crescita, con un intervallo stimato tra il 4,5% e il 5,3%

Di Lorenzo Riccardi

L’economia indonesiana ha registrato una robusta crescita nel secondo trimestre del 2023, con un aumento su base annua del 5,2%. Questo risultato ha superato le aspettative iniziali del mercato che prevedevano un aumento del 4,9%, dimostrando la resistenza economica della nazione. Sulla base dell’espansione leggermente rivista del 5% nel primo trimestre, questo trimestre ha segnato il nono periodo consecutivo di crescita economica e il ritmo più vigoroso registrato negli ultimi tre trimestri.

Uno dei principali fattori di crescita è stata l’accelerazione dei consumi delle famiglie, in particolare durante il mese di digiuno del Ramadan e le festività dell’Eid-ul Fitr. I consumi delle famiglie sono saliti al 5,2%, con un notevole incremento rispetto al 4,5% registrato nel primo trimestre. L’influenza positiva delle festività sulla spesa ha contribuito in modo significativo alla ripresa economica complessiva.

Inoltre, sia la spesa pubblica che gli investimenti fissi hanno svolto un ruolo fondamentale nel dare impulso all’economia. La spesa pubblica ha registrato un’impressionante impennata del 10,6%, un aumento sostanziale rispetto alla crescita del 3,4% del trimestre precedente. Anche gli investimenti fissi hanno registrato una forte crescita, con un incremento del 4,6%, superando la crescita del 2,1% registrata nel periodo precedente. L’insieme di questi fattori ha sottolineato l’impegno del governo a stimolare l’attività economica.

Tuttavia, la bilancia commerciale non è andata altrettanto bene, in quanto il commercio netto ha esercitato un’influenza negativa a causa del calo delle esportazioni (-2,7%) e delle importazioni (-3,8%). Queste sfide legate al commercio hanno evidenziato le potenziali aree di miglioramento all’interno del panorama del commercio internazionale.

Dal punto di vista della produzione, diversi settori hanno registrato un’accelerazione della crescita rispetto al trimestre precedente. L’agricoltura, ad esempio, ha registrato un aumento del 2%, un notevole incremento rispetto alla crescita dello 0,4% registrata nel primo trimestre. Il settore manifatturiero ha mantenuto il suo slancio con un tasso di crescita del 4,8%, in aumento rispetto al 4,4%. Anche il settore minerario ha registrato un’espansione del 5 percento, superando la crescita del 4,9 percento osservata in precedenza. Altri settori come il commercio all’ingrosso e al dettaglio (crescita del 5,2%), le comunicazioni (crescita dell’8%) e le costruzioni (crescita del 5,2%) hanno registrato performance migliori rispetto ai dati del trimestre precedente.

In prospettiva, le proiezioni della banca centrale per quest’anno indicano che l’economia dovrebbe continuare la sua traiettoria di crescita, con un intervallo stimato tra il 4,5% e il 5,3%. Questa previsione evidenzia il cauto ottimismo delle autorità sulle prospettive economiche del Paese, nonostante le potenziali incertezze globali.

Rispetto all’anno precedente, nel 2022 l’economia indonesiana ha registrato un’espansione del 5,3%, segnando la crescita più consistente dal 2013. Questo precedente traguardo di crescita sottolinea la capacità del Paese di superare le sfide e di sfruttare il proprio potenziale economico.

In sintesi, l’economia indonesiana ha registrato una crescita impressionante nel secondo trimestre del 2023, superando le previsioni del mercato. Grazie all’aumento dei consumi delle famiglie durante le festività, alla robusta spesa pubblica e al rafforzamento degli investimenti fissi, l’espansione economica del Paese rimane su una traiettoria positiva. Sebbene il commercio abbia posto alcune sfide, il panorama produttivo complessivo ha mostrato tassi di crescita incoraggianti in vari settori. Mentre l’Indonesia punta a una crescita continua in un contesto di incertezza, i recenti risultati economici si basano sui sostanziali progressi compiuti nell’anno precedente.

Dall’Indonesia una nuova economia circolare

Pubblichiamo qui un estratto di un articolo di Bambang Susantono, Presidente dell’Autorità di Nusantara Capitale, su Nikkei Asia

Nel cuore delle foreste insulari del Borneo, è in corso lo sviluppo di Nusantara e dell’area circostante. Si prevede che la popolazione della nuova capitale raggiungerà 1,8 milioni di abitanti entro il 2045.

Fedele alla visione verde che la sostiene, la nuova capitale sarà in gran parte circondata dalla foresta esistente, che sarà protetta.

Ma è il modello economico circolare della città che tradurrà la visione verde di Nusantara in pratiche quotidiane significative.

Ad esempio, la nuova città implementerà un sistema completo e ben coordinato che darà priorità alla riduzione, al riutilizzo e al riciclaggio, con il 60% dei rifiuti di Nusantara da riciclare entro il 2045 e tutto l’approvvigionamento idrico trattato attraverso un sistema di recupero entro il 2035.

Questo approccio non solo ridurrà al minimo la quantità di rifiuti prodotti, ma garantirà anche il recupero di risorse preziose e la loro reintegrazione nell’economia.

L’economia circolare offrirà anche un approccio vantaggioso per gli investitori e le comunità. Secondo uno studio congiunto dell’Agenzia indonesiana per la pianificazione dello sviluppo nazionale e del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, la piena attuazione dell’approccio all’economia circolare nei settori industriali chiave dell’alimentazione e delle bevande, del tessile, del commercio all’ingrosso e al dettaglio, dell’edilizia e dell’elettronica potrebbe creare 4,4 milioni di posti di lavoro in Indonesia e aumentare la produzione economica del Paese di 45 miliardi di dollari entro il 2030.

Tuttavia, la piena attuazione dell’approccio all’economia circolare richiederà una maggiore collaborazione tra il settore pubblico e quello privato.

Coinvolgendo aziende, imprenditori e investitori nello sviluppo e nell’implementazione di modelli economici circolari, Nusantara sbloccherà maggiori opportunità di crescita e di creazione di posti di lavoro, riducendo al minimo l’impatto ambientale.

Le aree di collaborazione attualmente in fase di esplorazione includono la creazione di strutture di riciclaggio e progetti di infrastrutture verdi che potrebbero consolidare ulteriormente la posizione della nuova capitale come pioniere dello sviluppo urbano sostenibile. Per attirare gli investimenti e guidare la crescita sostenibile, abbiamo lanciato incentivi completi agli investimenti, tra cui agevolazioni fiscali per le imprese che adottano pratiche di economia circolare. Inoltre, saranno concesse agevolazioni fiscali fino a 30 anni e altre detrazioni fiscali alle imprese che si impegnano nella ricerca e nello sviluppo e agli investitori che adottano rigorosi standard ambientali, sociali e di governance.

Allineando gli incentivi economici agli obiettivi ambientali, la nuova capitale sarà una destinazione attraente per gli investitori lungimiranti impegnati nella sostenibilità.

Il successo dell’infrastruttura a zero rifiuti e zero emissioni della nuova capitale può fungere da catalizzatore per combattere l’inquinamento da plastica su scala nazionale e globale, in quanto il suo progetto di sviluppo può diventare un punto di riferimento per mega progetti simili.

Che eredità lascerà Widodo all’Indonesia?

Self-made man di umili origini, primo presidente dell’Indonesia senza una dinastia politica o l’esercito alle spalle. A pochi mesi dalla fine del suo secondo e ultimo mandato, Joko Widodo rimane popolarissimo e il suo successore emergerà probabilmente dal suo entourage. Storia eccezionale di un leader che incarna le forze e le contraddizioni del suo Paese

Ci si riferisce a Joko Widodo quasi sempre con il soprannome “Jokowi”. Accorciare nomi e titoli o dare nomignoli è un’abitudine diffusissima nella lingua indonesiana parlata, ma sembra che il soprannome del presidente sia stato coniato da un suo business partner francese. Prima di entrare in politica, Jokowi si occupava, con un discreto successo, di produrre ed esportare mobili fabbricati con il pregiato legname delle foreste tropicali dell’arcipelago indonesiano. Si trattava, per certi versi, dell’attività di famiglia, anche se il padre la svolgeva su una scala ben minore. Jokowi infatti era nato nella casa di un falegname di Surakarta, città nella Giava centrale, che vendeva per strada i mobili che fabbricava. Dopo gli studi in ingegneria forestale, Widodo lavora prima in una fabbrica statale di cellulosa e apre poi la sua azienda, entrando a far parte dell’associazione di categoria. All’inizio gli affari non decollano e, nei primi anni Novanta, Jokowi rischia la bancarotta, ma viene salvato da un prestito concesso da un’azienda statale. La società riesce a crescere grazie alle esportazioni, soprattutto verso l’Europe e, in particolare, la Francia. Insomma, il successo imprenditoriale di Widodo è stato costruito sul sostegno delle aziende statali e sull’export, due elementi che saranno poi al centro della sua politica economica, soprannominata da alcuni imprenditori Jokowismo.

I produttori di mobili sono un gruppo industriale influente in Indonesia e Widodo, presidente dell’associazione per la città di Surakarta, è pronto a entrare in politica. Nel 2005 vince le elezioni a sindaco di Surakarta e la sua amministrazione risulta estremamente popolare grazie al pugno duro contro la criminalità e alla promozione del turismo. L’imprenditore di successo ora sindaco non dimentica però le sue umili origini e si reca spesso a visitare i quartieri poveri della città, dove promuove l’edilizia popolare e l’accesso all’istruzione. Politiche apprezzate che Jokowi replicherà su scala più grande nei suoi incarichi successivi. La sua popolarità è altissima e nel 2010 viene rieletto sindaco con più del 90% dei voti. Forte di tale risultato, appena due anni dopo punta alla posizione di governatore di Giacarta e viene eletto. Carica che mantiene per poco tempo, dato che nel 2014 il suo partito, il PDI-P (Partito Democratico Indonesiano di Lotta) lo designa quale proprio candidato alla presidenza del Paese. La fulminante carriera politica di Jokowi è costruita sul suo talento di apparire come “uomo del popolo” che non dimentica le sue origini, capace di ottenere risultati e sinceramente interessato a migliorare le condizioni di vita degli indonesiani più poveri.  

La scelta di Widodo da parte del PDI-P fu eccezionale per le dinamiche della politica indonesiana. L’allora governatore di Giacarta non era un ex ufficiale dell’esercito come invece il suo rivale, l’ex generale conservatore Prabowo Subianto, né il rampollo di una dinastia politica come la leader del PDI-P e figlia di Sukarno Megawati. Prima di lui, tutti i presidenti dell’Indonesia erano appartenuti a una delle due categorie, ma per Widodo e il PDI-P l’anomalia poteva diventare la leva con cui risollevare il partito dopo anni di disfatte elettorali. Jokowi si presenta come uomo nuovo, estraneo all’establishment e vicino al popolo. Come tanti altri leader negli stessi anni, Widodo vince con una piattaforma populista che metteva al centro la lotta alla corruzione. Le elezioni sono un trionfo, Jokowi batte Prabowo con il 53% dei voti e ripete il successo nel 2019, sempre contro Prabowo, con il 55%. Tutt’oggi Jokowi rimane popolarissimo, con un gradimento intorno al 76%. È difficile sentire voci critiche contro il presidente, anche perché offenderlo può portare a 18 mesi di prigione, come è successo a un diciottenne di Sumatra nel 2017.

Widodo infatti è un leader democraticamente eletto, disposto a cedere il potere alla fine dei suoi due mandati come previsto dalla Costituzione, ma è anche il leader di una democrazia “ibrida”. Il potere è contendibile alle elezioni, ma il dissenso viene represso quando alza troppo la voce o esce dal solco tracciato dal governo. Durante l’amministrazione Widodo sono state scritte leggi alquanto vaghe contro la diffamazione e la “blasfemia”, che sono ora interpretate in modo ampio per limitare la libertà di espressione, assemblea e associazione. Un’altra pagina grigia per quanto riguarda i diritti fondamentali è rappresentata da una recente e inedita assunzione di responsabilità da parte di Jokowi per alcuni episodi di violenza perpetrati dallo Stato indonesiano in passato. Un passo in avanti solo parziale, dato che il presidente ha taciuto sui crimini commessi dall’esercito durante l’occupazione di Timor Est e sulla violenta repressione tutt’oggi perpetrata contro i nativi della Papua Occidentale che chiedono l’indipendenza da Giacarta. Anche la promessa di combattere la corruzione è rimasta disattesa. Rizal Ramli, politico di lungo corso ed ex ministro del primo governo Widodo, ha recentemente scritto su The Diplomat che con Jokowi “le lancette dell’orologio sono tornate indietro”, dato che la clique del presidente si è dimostrata “terribilmente corrotta, con enormi conflitti d’interesse”. Widodo tace e lascia fare, così da tenere uniti gruppi d’interesse contrapposti e mantenere il potere. Anche l’ex rivale Prabowo è stato cooptato come ministro della difesa.

Nonostante la corruzione sia un problema gravissimo e percepito come tale dall’opinione pubblica, l’economia indonesiana cresce e non conosce crisi. Il Jokowismo sembra funzionare e rimane popolare. Memore della sua esperienza personale, Widodo vede nelle ricche aziende statali del Paese uno strumento utile per guidarne l’economia e le infrastrutture verso i suoi obiettivi di sviluppo economico, ma anche sociale. In questo, il presidente è stato assistito con successo dal suo ministro delle imprese statali Erick Thohir, imprenditore noto in Italia per aver acquistato e guidato per alcuni anni l’Inter. Un altro principio del Jokowismo è la ricerca di nuovi mercati e investimenti all’estero. L’Indonesia ha ricoperto recentemente la presidenza sia del G20 sia dell’ASEAN, dando grande importanza in entrambi i forum al commercio e alla crescita economica. E Jokowi è riuscito a trovare molti investitori, soprattutto in Cina. La presenza di Pechino nel Paese è aumentata molto, sia per investimenti che per presenza di lavoratori cinesi, categoria spesso vittima di violenze. Un tema un po’ scomodo per l’amministrazione, criticata in passato dall’opposizione per aver “svenduto” il Paese alla Cina e oggi impegnata a tenere sotto controllo il sentimento anti-cinese.

Anche se è difficile prevedere chi sarà il successore di Jokowi, sicuramente sarà un jokowista in economia. Presentarsi in continuità con il popolare presidente uscente sarà necessario per emergere da una rosa ancora affollata di contendenti. I due nomi più probabili sembrano essere l’ex rivale, ora alleato, Prabowo e il candidato ufficiale del PDI-P Ganjar Pranowo, governatore della Giava centrale. I due potrebbero addirittura allearsi e correre in ticket, in continuità assoluta con la grande coalizione che sostiene Widodo. Se Jokowi è entrato in politica senza provenire da una dinastia di potere, ne esce dopo averne creata una propria: i suoi figli hanno già iniziato a far gavetta e il primogenito è già sindaco di Surakarta, la città da cui è partita l’ascesa di Widodo. Sentiremo ancora parlare di loro. In ogni caso, il fatto che la transizione al post-Jokowi stia avvenendo in modo democratico dimostra la forza della democrazia, seppur “ibrida”, indonesiana. Una democrazia piena di contraddizioni che ha richiesto un politico fuori dagli schemi come Jokowi per guidarla: tanto capace ed efficace, quanto accondiscendente verso la corruzione e i vizi del sistema.

La corsa al nichel dell’Indonesia

Sempre più Paesi e investitori internazionali guardano con attenzione alle enormi risorse minerarie di Giacarta

Articolo di Tommaso Magrini

Nel 2022 l’Indonesia ha prodotto 1,6 milioni di tonnellate di nichel, più di qualsiasi altro Paese. È a pari merito con l’Australia per le maggiori riserve mondiali, con 21 milioni di tonnellate. Nella speranza di far risalire il suo Paese nella catena del valore delle materie prime, nel 2020 il governo del presidente Joko  Widodo ha vietato le esportazioni di minerale di nichel non lavorato. Diversi governi e multinazionali si stanno muovendo con sempre maggiore decisione per assicurarsi l’accesso alle vaste riserve di nichel indonesiane. Il produttore di acciaio sudcoreano POSCO Holdings ha dichiarato di voler spendere 441 milioni di dollari per costruire una raffineria di nichel sull’isola indonesiana di Halmahera, nella provincia di North Maluku. L’inizio della costruzione è previsto per la fine dell’anno, con l’obiettivo di iniziare le operazioni nel 2025. La raffineria di POSCO produrrà intermedi di nichel da utilizzare nelle batterie ricaricabili che potrebbero alimentare l’equivalente di 1 milione di veicoli elettrici. Il produttore chimico tedesco BASF e l’azienda mineraria francese Eramet investiranno 2,6 miliardi di dollari in una raffineria a North Maluku, che produrrà un composto di nichel-cobalto utilizzato nelle batterie EV. Gli investimenti diretti esteri nel settore metallurgico indonesiano hanno raggiunto circa 10,9 miliardi di dollari nel 2022, con quasi il 60% proveniente dalla Cina continentale e da Hong Kong. Gli operatori indonesiani stanno intanto muovendosi per quotarsi in borsa. Meglio conosciuta come Harita Nickel, Trimegah si è quotata in borsa il 12 aprile, raccogliendo quasi 10.000 miliardi di rupie (673 milioni di dollari), una delle più grandi offerte pubbliche iniziali dell’anno. Merdeka Battery Materials, una fonderia di nichel sotto l’ombrello di Merdeka Copper Gold, ha condotto la propria IPO poco dopo, raccogliendo 9,2 trilioni di rupie. Merdeka Battery collabora con un’unità del gigante cinese delle batterie Contemporary Amperex Technology (CATL).

Indonesia e India capofila del Sud globale

Nel 2023 Giacarta e Nuova Delhi presiedono ASEAN e G20. Rafforzando i rapporti possono promuovere la visione di una parte di mondo in costante ascesa

Tra i tanti ambiziosi obiettivi della presidenza di turno indonesiana dell’ASEAN, c’è anche quello di rafforzare il ruolo di Giacarta e del blocco del Sud-Est asiatico all’interno del Sud globale. E a sua volta sostenere il ruolo del Sud globale negli affari mondiali. L’intenzione è stata esplicitata da Sri Mulyani Indrawati, Ministra delle Finanze dell’Indonesia, in una rilevante intervista a Nikkei Asia. “Lavoreremo a stretto contatto con l’India”, ha dichiarato Indrawati. “L’India e l’Indonesia sono tra i pochi grandi Paesi emergenti che stanno ottenendo ottimi risultati economici, quindi questo rapporto ci garantisce più influenza e più rispetto a livello globale”. D’altronde, Giacarta e Nuova Delhi sono accomunate da una prospettiva comune sugli affari internazionali e dai cruciali impegni diplomatici di questi anni. Nel 2023 l’India ha ereditato la presidenza di turno del G20 proprio dall’Indonesia, che a sua volta appunto detiene quella dell’ASEAN. I Paesi del Sud globale tendono alla neutralità politica ed evitano di schierarsi durante i conflitti. Nonostante le tensioni, molti considerano il vertice del G20 di Bali di novembre un successo, con la pubblicazione di una dichiarazione dei leader che condanna l’aggressione della Russia in Ucraina. Pur proponendo una soluzione pacifica che tuteli non solo la sicurezza ma anche la tenuta di commercio e globalizzazione. Una prospettiva che sarà sostenuta anche dall’India. “Il G7 sta ammettendo di aver bisogno di una controparte che possa fornire una visione equilibrata… fornendo una maggiore inclusività e diversità all’interno della comunità globale, il che è salutare, credo”, ha detto Indrawati, la quale sostiene che i Paesi del Sud globale stanno “contribuendo in modo costruttivo all’agenda globale”, ha dichiarato. “Sono anche diventati una fonte di soluzione per molti problemi mondiali in termini di cambiamento climatico, crisi finanziaria, pandemia o anche ora economia globale”. Proprio per questo i 10 Paesi dell’ASEAN possono svolgere un “ruolo molto importante”, non solo dal punto di vista economico, ma anche politico e in termini di sicurezza regionale “a causa delle tensioni tra Stati Uniti e Cina”. E approfondire la cooperazione con un altro attore regionale come l’India non può far altro, secondo la visione di Giacarta, che rafforzare il ruolo di una parte di mondo in ascesa sotto tutti i punti di vista.

Un film riapre il tema della giustizia di genere in Indonesia

Sri Asih è il riadattamento cinematografico del primo supereroe dei fumetti indonesiani. Celebra un personaggio femminile, reincarnazione della dea della giustizia. Ma il messaggio di emancipazione contrasta con le restrizioni dei diritti delle donne e delle comunità LGBTQ+ 

L’eruzione di un vulcano dà vita ad Alana, una vera forza della natura, reincarnazione della dea guerriera protagonista del film indonesiano Sri Asih. Uscito al cinema a novembre, il film diretto da Upi Avianto racconta la storia del primo supereroe della storia dei fumetti in Indonesia: una giovane combattente che cresce senza genitori, è appassionata di kickboxing e ben presto scopre di essere stata scelta per esercitare sulla Terra la volontà di Dewi Asih, la dea della giustizia, e riportare l’equilibrio nel mondo. Il tempismo di questo successo cinematografico, che adatta il celebre fumetto degli anni ‘50, ripropone un personaggio molto amato della cultura pop indonesiana, proprio in una delle congiunture storiche più difficili per le donne e per la comunità LGBTQ+ in Indonesia.

Il film fa parte della serie di blockbuster di supereroi del Bumilangit Cinematic Universe ed è inserito nella lineup dell’International Film Festival di Rotterdam che si tiene dal 25 gennaio al 5 febbraio 2023. Si tratta di un prodotto che mescola l’action tipico degli universi Marvel e DC con i riferimenti culturali del Sud-Est asiatico – dalle arti marziali a tutto l’immaginario legato al misticismo locale, con demoni e spiriti benigni che si scontrano in sfide all’ultimo sangue. Un film d’azione a tema supereroi che non ha niente da invidiare alle più celebri saghe statunitensi.

“Sono rimasta sorpresa e stupita nell’apprendere che il primo supereroe in assoluto in un Paese con una cultura così fortemente patriarcale all’epoca fosse una donna”, ha detto la regista e sceneggiatrice Upi Avianto a Nikkei Asia. La storia era già stata il soggetto di un film uscito nel 1954, le cui bobine sono andate perdute. Ma la celebrazione dell’emancipazione femminile di Sri Asih si scontra con l’attuale, progressivo esacerbarsi del conservatorismo religioso nel Paese. 

Il controllo ancora stringente del ruolo delle donne nella società indonesiana si declina nel progressivo aumento delle leggi nazionali e regionali sull’uso obbligatorio dello hijiab in varie province, e in alcuni passaggi del nuovo codice penale che punisce il sesso fuori dal matrimonio. La nuova legge, approvata all’unanimità dal parlamento e frutto di un difficile compromesso politico, entrerà in vigore entro tre anni. Il nuovo documento “contiene disposizioni che violano i diritti delle donne e delle ragazze a un’educazione e informazione complete e inclusive sulla salute sessuale e riproduttiva”, ha affermato Andreas Harsono di Human Rights Watch. Punendo le relazioni extraconiugali, il nuovo codice rischia di colpire in modo sproporzionato le coppie omosessuali alle quali è interdetto il matrimonio. 

“Più di ogni altra cosa, questo è uno scontro tra tradizione e modernismo – e sul fatto che la propria famiglia accetti le proprie scelte sessuali”, ha affermato un manifestante intervistato dal Guardian, “c’è la clausola secondo cui [il sesso extraconiugale] è considerato un atto criminale solo se denunciato da un parente stretto – genitori, coniuge, figli – e non da qualsiasi parte offesa a caso”. La comunità transgender indonesiana potrebbe subire più di tutte le conseguenze della revisione del codice, poiché persone LGBTQ+ “hanno maggiori probabilità di essere denunciate dalle famiglie per relazioni che disapprovano”, ha affermato di recente Human Rights Watch. 

Le nuove disposizioni hanno provocato manifestazioni pubbliche e proteste contro l’imposizione di valori morali conservatori sulla sessualità. Le sorti della giustizia di genere in Indonesia sembrano molto incerte e la situazione è ancora lontana dal combaciare con il messaggio liberatorio raccontato nel riadattamento cinematografico delle vicende della supereroina Sri Asih. 

Omnibus Law e il settore finanziario in Indonesia

Approvata l’attesa riforma del settore finanziario, che Giacarta cercava da molto tempo. Ecco che cosa cambierà

Articolo di Aniello Iannone

Dopo quasi 3 anni di trattative, il 15 dicembre 2022 la Camera dei Rappresentanti indonesiana ha approvato la riforma  sullo sviluppo e il rafforzamento del settore finanziario (UU PPSK). La riforma che andrà a modificare le norme in materia di diritto finanziario in particolar modo per il settore riguardante gli investimenti, sarà amministrata tramite una omnibus law, tipologia già usata per la riforma sul lavoro nel 2020 e nel 2021 sulle riforme riguardanti le armonizzazioni  delle normative fiscali. Le norme per lo sviluppo e il rafforzamento del settore finanziario (PPSK), composto da 27 capitoli e 341 articoli, vedono grandi cambiamenti suddivisi in 17 articoli.

La nuova riforma diventerà la norma principale per la regolarizzazione business quali attività come capitale di rischio, mercato del carbonio e il mercato delle criptovalute, ma toccherà  anche istituzioni finanziarie quali banche e centri assicurativi e la banca dell’oro. Inoltre la nuova legge riformula competenze e poteri della Banca Centrale Indonesia (Bank Indonesia o BI), dell’autorità per i servizi finanziari (Otoritas Jasa Keuangan o OJK) e della Società di assicurazione dei depositi  (Lembaga Penjamin Simpanan o LPS).

Secondo la nuova legge, infatti, la Bank Indonesia potrà comprare titoli di Stato a lunga scadenza sul mercato primario.  In pratica la banca centrale potrà stampare  denaro per finanziare la spesa del governo, nel caso eventualmente anche di crisi finanziarie che potrebbero mettere a rischio l’economia nazionale. Prima la BI comprava le obbligazioni del Paese sul mercato primario con un livello di interesse, diventando un acquirente in standby nel caso che gli investitori non fossero riusciti a riassorbire i titoli di stato, comprando obbligazioni nazionali anche con un tasso di interesse dello 0%. Questa azione, tecnicamente detta burden sharing, è stata praticata durante la crisi sanitaria del Covid-19 perché le entrate statali del governo hanno risentito della pandemia. L’azione di burden sharing dovrebbe essere usata sola quando serve. Ma con la nuova riforma diventa una vera e propria non stop policy in caso di stato crisi economica. Non è ben specificato, però, nella riforma in cosa consista lo stato di crisi, in tal senso la riforma potrebbe diventare un mezzo nel caso in cui il governo abbia bisogno di introiti  fiscali a basso costo. 

Un ruolo importante invece è dato alla OJK, che viene riformata strutturalmente. I membri del Consiglio dei Commissari dell’OJK passano da 9 a 11. Vengono istituiti il ruolo di Capo Esecutivo della Supervisione delle Istituzioni Finanziarie Società di Capitali di rischio ed Istituti di Microfinanza e il ruolo di Sovrintendente capo per l’innovazione tecnologica del settore finanziario per gli  asset finanziari digitali e le attività cripto. La nuova legge impone all’OJK di controllare e gestire le attività legate al fintech e alla finanza digitale compreso il mercato cripto. Proprio le attività legate alle criptovalute, (prima gestite dal BAPPEBTI, cioè l’ agenzia di vigilanza sul commercio dei futures delle materie prime), rientrano nell ITSK, quali nuove forme tecnologiche nel settore finanziario devono essere regolamentate e controllate e sarà l’OJK a doverle gestire da questo momento. Oltre al OJK e alla BI anche la LPS ha visto cambiamenti nei suoi ruoli. Inizialmente uno dei compiti principali della LPS era garante dei depositi pubblici nelle banche. L’omnibus law finanziaria invece incarica la LPS di garantire le polizze assicurative.

Conclusione 

Una riforma del settore finanziario era attesa in Indonesia da tempo. La riforma mira a migliorare, mettere in sicurezza  e velocizzare un settore che in Indonesia, come ha notato il Ministro delle Finanze Sri Mulyani Indrawati, usa norme ormai non al passo coi tempi. Come le altre riforme, anche questa non manca di alcune lacune. Per esempio non è ben chiaro da chi saranno scelti i direttori delle tre autorità finanziarie primarie, BI, OJK e LPS. Nella legge è chiaro che non possono essere dirigenti attivi di partiti politici, però non è presente un vero e proprio meccanismo per tutelare questo principio. 

“Food Estates”: il piano di Jokowi per l’autosufficienza alimentare

Per combattere la crisi alimentare, il Presidente Indonesiano ha lanciato un nuovo programma per incrementare i terreni agricoli. Raccogliendo però anche alcune critiche

L’Indonesia sta affrontando con risolutezza una possibile crisi alimentare, con una popolazione in crescita e una superficie coltivabile limitata che mette sotto pressione la capacità del Paese di nutrire la sua popolazione. Per affrontare questa crisi, il governo indonesiano ha deciso di ricorrere a un nuovo progetto di tenute agroalimentari (le cosiddette “food estates”, nome usato anche in Indonesia in riferimento al programma), progetti agricoli di grandi dimensioni che mirano ad aumentare la produzione alimentare.

In particolare, il progetto consiste nello sviluppo di colture di cereali e altri beni di prima necessità, come riso, manioca, cassava e mais con l’obiettivo di ridurre le importazioni di questi generi alimentari e rendere il Paese sempre più autosufficiente.

Le province del Kalimantan centrale, sull’isola del Borneo, e di Sumatra settentrionale saranno le prime a sperimentare  il programma e, se questo avrà successo, potrà essere esteso al resto dell`arcipelago, compresa l`isola di Papua.

Il presidente Joko Widodo, conosciuto come “Jokowi”, ha annunciato che in questa prima fase le risaie saranno piantate su 148.000 ettari di terreno, mentre altri 622.000 ettari saranno destinati alla manioca, al mais e ad altre colture, oltre che ad aziende agricole. Entro la fine del 2025, tuttavia, la superficie coltivabile sarà ampliata per coprire un totale di 1,4 milioni di ettari nel Kalimantan centrale, secondo il Ministro della Difesa Prabowo Subianto, ovvero colui che è stato incaricato di guidare il programma.

Il progetto ricorda molto l`ambizioso tentativo degli anni `90, quando l’ex Presidente Suharto decise di ripristinare l’autosufficienza alimentare dell’Indonesia lanciando un megaprogetto per intensificare le colture del riso in Kalimantan Centrale. Con la speranza che il nuovo progetto abbia più successo, visto l’esito disastroso del progetto di Suharto causato dall’allora inadeguatezza dei terreni torbosi alla coltura del riso.

Anche quest`iniziativa ha suscitato fin dall’inizio alcune critiche degli ambientalisti perché i terreni agricoli saranno sviluppati su terreni che in precedenza erano stati classificati come, appunto, torbiere. Le torbiere sono molto importanti in quanto trattengono acqua e CO2, e sono quindi un importante alleato contro inondazioni e nella lotta al cambiamento climatico. La loro preservazione è un tema che sta molto a cuore agli indonesiani, al punto da aver istituito una vera e propria organizzazione per la loro conservazione e il loro recupero. 

Come se non bastasse, attivisti e tribù indigene stanno opponendo una forte resistenza al progetto, convinti che i danni di quest`iniziativa saranno maggiori dei benefici. Una delle principali critiche rivolte alle tenute agroalimentari è che spesso sradicano le comunità locali e distruggono gli habitat naturali. Ad esempio, un nuovo territorio a destinazione agricola nel Kalimantan centrale ha causato lo sradicamento di migliaia di persone, oltre alla distruzione di foreste e aree vitali per l’ecosistema locale. Allo stesso modo, un compendio sviluppato nell’ambito di questo programma in Nusa Tenggara Orientale ha provocato lo spossessamento delle comunità indigene, costrette in questo modo a trasferirsi altrove. Oltre a causare danni alle comunità locali e all’ambiente, questi compendi agricoli  sono stati anche criticati per non essere affatto sostenibili. Molti di questi progetti si basano sulla monocoltura, che prevede la coltivazione di un solo raccolto anno dopo anno, con conseguente degradazione del suolo e riduzione della resa nel tempo. Ciò è in contrasto con le pratiche agricole tradizionali, che spesso prevedono una moltitudine di colture diverse e l’utilizzo di fertilizzanti naturali, che possono essere più sostenibili a lungo termine. In generale, sembra che le “food estates” non siano la soluzione alla crisi alimentare dell’Indonesia, per risolvere la quale erano state inizialmente proposte. Sebbene possano fornire un aumento a breve termine della produzione alimentare,si rivelano invece avere un alto costo per le comunità locali e l’ambiente e non sono sostenibili a lungo termine. Invece di affidarsi a questi progetti di grandi dimensioni, il governo indonesiano potrebbe considerare investimenti più misurati e equi per aumentare la produzione alimentare, come il sostegno ai piccoli agricoltori e la promozione delle pratiche agricole tradizionali.

L’indonesia alla prova della presidenza ASEAN

Nel corso del 2022, l’Indonesia è passata dalla presidenza del G20 a quella dell’ASEAN. Giacarta ha dimostrato di essere un punto di riferimento per la regione e un interlocutore indispensabile per tutti gli attori interessati nell’Indo-pacifico

Giacarta non è mai stata così centrale nello scenario internazionale. Nel 2022, i diplomatici di tutto il mondo hanno lavorato con il Governo indonesiano per preparare il Summit G20 di Bali. La città è anche la sede del Segretariato dell’ASEAN e, dalla fine del 2022 e per buona parte del 2023, sarà la sede della presidenza di turno dell’ASEAN. Il biennio 2022-2023 è forse un annus mirabilis per Giacarta, una capitale “in scadenza”, dato che sono già iniziati i lavori per spostare il Governo del Paese nella nuova città di Nusantara, nel Borneo orientale. I lavori per la costruzione della nuova capitale procedono però a rilento e saranno necessari ancora degli anni. Il progetto è quasi un simbolo delle ambizioni dell’Indonesia nella regione – e di alcune sue contraddizioni. La volontà di spostare il centro del Paese da Giava a una delle zone più periferiche dell’arcipelago. Le difficoltà amministrative di un progetto mastodontico. L’innalzamento del livello del mare che minaccia la vecchia capitale e il resto della regione. Un nome evocativo di un’ambizione di leadership plurisecolare.

Nusantara viene infatti dall’antico giavanese e significa “isole esterne”. Esterne dalla prospettiva di Giava, il cuore dell’Impero Majapahit, la cui influenza si estendeva, tra il XIII e il XV secolo, su tutto l’arcipelago malese – e infatti il concetto abbraccia non solo i territori che oggi corrispondono all’Indonesia. Il termine fa parte del nation-building indonesiano fin dal celebre giuramento del Palapa pronunciato da Gajah Mada, primo ministro di Majapahit, nel XIV secolo. Il primo ministro giurò di astenersi dal mangiare cibo speziato (palapa) fino a quando non avesse unificato tutta Nusantara sotto l’autorità giavanese. L’idea di unificare l’arcipelago e le popolazioni di lingua Malay sotto un’unica leadership sta alla base della nascita dello Stato indonesiano nel corso del Novecento. Durante il regime di Sukarno, il giovane Paese era arrivato a scontrarsi prima con i Paesi Bassi e poi la Malesia per completare il processo di unificazione della regione – con parziale successo. Già sotto Suharto queste ambizioni cambiarono natura: l’Indonesia doveva guidare Nusantara attraverso la sua influenza politica e la diplomazia e non con la forza. Il Paese segue questa dottrina da allora. Anche il giuramento del palapa rimane parte della retorica nazionale: il primo satellite lanciato dagli indonesiani nel 1976 fu battezzato appunto Palapa a simboleggiare la dedizione della Paese nel progetto.

Tale ruolo di leadership è per certi versi naturale date le dimensioni del Paese. Per popolazione ed economia, l’Indonesia è il più grande membro del blocco ASEAN e l’unico Stato della regione ad essere parte anche del G20. Nel 2022 Giacarta ha ricoperto la presidenza del summit, aprendo un triennio in cui il vertice si svolgerà sempre nel Sud globale: dopo Italia e Indonesia, la presidenza passerà all’India e poi al Brasile. Il Governo guidato da Joko Widodo non aveva un compito semplice, considerate le crescenti tensioni nella politica internazionale. La Russia è un membro del G20 e la membership è divisa tra i Paesi che boicottano Mosca e quelli con una linea più attendista. Nonostante questa contrapposizione, Widodo ha invitato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a intervenire al Summit di Bali. Dopo la conclusione del vertice, il Presidente cinese Xi Jinping si è trattenuto per un incontro bilaterale con Widodo per rafforzare la cooperazione in vari settori – in particolare nello sviluppo delle infrastrutture. Sul piano politico, Giacarta ha espresso la sua adesione al principio di non-interferenza negli affari interni molto caro a Pechino – un dato significativo visto che l’Indonesia è il più grande Paese a maggioranza musulmana del mondo e che la Cina riceve critiche dall’estero in particolare per il trattamento della minoranza musulmana nello Xinjiang. Allo stesso tempo, l’amministrazione Widodo non intende appiattirsi sulle posizioni cinesi, come neanche su quelle americane, rifiutando la logica della “nuova guerra fredda”. Si tratta di una posizione condivisa dalla grande maggioranza dei governi dell’ASEAN e delle economie emergenti del G20. Anche in questo caso, la strategia indonesiana viene da lontano – anche se non da un concetto antico come palapa o Nusantara. Uno dei leader del movimento indipendentista e futuro primo ministro Mohammad Hatta tracciò in un suo discorso del 1948 la rotta della politica estera della nuova nazione: mendayung antara dua karang, ossia “remando tra due scogli” – all’epoca, USA e URSS, a cui oggi forse potremmo aggiungere la Cina.

Anche la presidenza annuale dell’ASEAN, assunta da Giacarta a novembre 2022, porta con sé sfide non di poco conto. Il Governo indonesiano ritiene che l’organizzazione debba affrontare due questioni essenziali: navigare la crescente rivalità tra le grandi potenze e distribuire i frutti della crescita economica ai quasi 700 milioni di cittadini del blocco. La strategia tracciata dall’amministrazione Widodo per risolvere tali sfide si articola in tre punti: attuare lo Statuto dell’ASEAN – in altre parole, condividere certe scelte politiche essenziali, come ad esempio la risoluzione della crisi tuttora in corso in Myanmar –, rafforzare l’ASEAN come istituzione e dotarla di maggiori strumenti per raggiungere la sicurezza energetica e alimentare, l’”indipendenza medica” e la stabilità finanziaria della regione. Tale strategia è stata riassunta nello slogan: “l’ASEAN conta: un epicentro per la crescita”. La presidenza indonesiana sembra dunque intenzionata a rafforzare l’organizzazione e a risolvere al suo interno le già citate questioni politiche che scuotono la regione, ossia la questione birmana e il difficile equilibrio tra USA e Cina. Sul piano economico, l’Indonesia cercherà di attuare la strategia ASEAN Vision 2025, dunque rafforzare gli scambi commerciali infra-regionali e accelerare la transizione tecnologica. Un altro importante dossier è l’ingresso di Timor Est nell’organizzazione.Le aspettative per la presidenza indonesiana sono alte, considerata l’ambizione del Paese e i precedenti storici: due processi fondamentali per l’integrazione regionale – la creazione di una Comunità ASEAN sul modello dell’UE (2007) e l’accordo commerciale RCEP (2020) – sono stati avviati proprio durante due turni di presidenza indonesiana, rispettivamente nel 2003 e nel 2011. Nei mesi a venire potremmo vedere se anche stavolta l’Indonesia riuscirà a tenere uniti – con politica, cooperazione e leadership – i Paesi di Nusantara e del resto del Sud-Est asiatico.

Acqua bene comune? La privatizzazione a Giacarta e Manila

Per rimediare ai problemi dei sistemi idrici delle due capitali, negli anni novanta le municipalità hanno scelto di concedere la gestione a società private. Nonostante le premesse simili, però, l’esperimento delle due città non si è svolto allo stesso modo

La privatizzazione del servizio pubblico dell’acqua nelle due megalopoli del Sud Est Asiatico risale agli anni ’90 del secolo scorso. In quel periodo, istituzioni di peso come la Banca Mondiale e molti economisti avevano riposto grandi speranze nel ruolo che il libero mercato avrebbe potuto giocare nei paesi in via di sviluppo, e in settori strategici come l’acqua era opinione prevalente che la privatizzazione fosse la strada giusta da percorrere. Ed è stato così che molte aziende di servizi pubblici sono state completamente o parzialmente privatizzate, spesso con il sostegno degli Stati Uniti o di istituzioni multilaterali di sviluppo. 

Fino a quel momento, i sistemi idrici di Giacarta e Manila erano affidati alle rispettive municipalità e versavano in condizioni molto precarie, con un tasso di utenza tra la popolazione molto basso. Il sistema di acquedotti di Giacarta era stato originariamente costruito dagli olandesi all’epoca del loro dominio nel Paese e, ovviamente, non ha tenuto il passo con la rapida crescita dell’area metropolitana, che oggi conta 11 milioni di abitanti. Il sistema idrico e fognario di Manila è ancora più vecchio di quello di Giacarta, creato nel 1878 dai colonialisti spagnoli e progettato per una città di 300.000 abitanti, che invece oggi ne conta più di 14 milioni.

Gli schemi di privatizzazione dei sistemi idrici delle due città, inizialmente, erano molto simili. In entrambe le città infatti, l’area metropolitana era stata divisa in due settori assegnati a società differenti, ed in entrambi i casi la concessione prevedeva una durata iniziale di 25 anni. Furono coinvolte le più grandi aziende idriche internazionali per offrire assistenza tecnica e schemi di finanziamento alle agenzie governative indonesiane e filippine a sostegno dei programmi di privatizzazione, mentre la fornitura di servizi fu assegnata a grossi conglomerati internazionali assieme a gruppi locali di rilievo e politicamente ben collegati, elemento essenziale per ottenere i contratti di privatizzazione. 

La privatizzazione dell’acqua a Manila iniziò quando l’allora presidente delle Filippine, Fidel Ramos, per combattere la crisi idrica che stava colpendo la capitale bandì una gara d’appalto che fu vinta da due società: Maynilad Water Services a Manila Ovest e Manila Water a Manila Est. Nonostante alcune difficoltà iniziali, aggravate dalla crisi finanziaria che aveva colpito l’Asia in quegli anni, le due società hanno raggiunto ad oggi più del 94% di copertura del servizio nella città rispetto al 58% prima della privatizzazione, e le dispersioni idriche sono state ricondotte al 27% rispetto al 67% circa pre-privatizzazione. Per questi motivi, la privatizzazione dell’acqua nelle Filippine è considerata da molti uno dei partenariati pubblico-privati di maggior successo al mondo.

Diversamente è stato, ahimè, per la capitale indonesiana. Qui l’allora presidente Suharto, cercando di rimediare alla scarsa efficienza del sistema di erogazione pubblico dell’acqua a Giacarta, che non consentiva un equo accesso all’acqua per tutti i cittadini, concesse la gestione della rete idrica a due società straniere senza alcuna gara d’appalto. Si trattava della francese Suez Environment, che insieme al gruppo Salim (di proprietà di un magnate fedelissimo al presidente), aveva costituito la PT PAM Lyonnaise Jaya (Palyja). L’altra società, invece, PT Aetra Air Jakarta, era costituita dalla britannica Thames Water assieme al figlio di Suharto. Nei 25 anni di concessione, le due società hanno subito numerose modifiche societarie e cessioni di quote, e hanno fatto ben pochi progressi nell’espansione della copertura del servizio, come anche nell’aumento dell’efficienza ma soprattutto nell’equità in termini di accesso all’acqua tra i diversi strati della popolazione. Secondo il Jakarta Post, dopo quasi due decenni la copertura ha raggiunto solo il 59% degli abitanti della città, nonostante le tariffe medie dell’acqua siano piuttosto simili a quelle di Manila. Nel 2017 dunque, le due società idriche sono state citate in giudizio per il mancato rispetto dei loro obblighi contrattuali e il tribunale si è pronunciato contro di loro, minacciando la fine dell’esperimento di privatizzazione dell’acqua a Giacarta. Tuttavia, è molto probabile che si proseguirà lungo la strada della privatizzazione, mantenendo le due concessioni, seppur riformulando i termini. 

Resta da vedere, però, se la capitale indonesiana riuscirà, seppur con un po’ di ritardo, a replicare l’esempio di successo del modello filippino.

L’Indonesia e il biodiesel di palma

L’Indonesia è il più grande produttore di olio di palma al mondo. La domanda che Giacarta si pone è: la miscela di diesel combinato al 40% di “olio da cucina” può aiutare a raggiungere gli obiettivi del governo?

L’Indonesia sta testando una miscela biodiesel da usare come carburante per automobili, di cui l’olio di palma ne compone il 40%. In particolare, Giacarta sta testando se questa combinazione di diesel e olio di palma (detto anche “olio da cucina”) possa funzionare ad alta quota. Infatti, in generale, l’olio di palma tende a indurirsi nei climi più freddi. La miscela biodiesel con olio di palma non è una novità in Indonesia. Il Paese del Sud-Est asiatico attualmente impone alle automobili l’utilizzo di una miscela al 30% (o “B30” – “requisito B30”), e sta cercando di aumentarla al 40% (“B40” – “requisito B40”). Per scoprire se l’olio tropicale è in grado di adattarsi ad altitudini più elevate, poche settimane fa gli addetti all’esperimento sono partiti da Dieng, una regione vulcanica attiva nel centro di Giava, per un tour di collaudo. Pertanto, nelle prossime settimane, sei minivan Toyota Innova, alimentati con biodiesel al 40% con olio di palma, gireranno in prova sull’isola di Java. 

Nell’eventualità che i test dovessero dare il risultato sperato, il target del governo sarebbe quello di aumentare il requisito da B30 a B40, e quindi di imporre la miscela di diesel combinato al 40% di “olio da cucina”. La conseguenza sarebbe una ridistribuzione dell’olio di palma: le esportazioni di olio di palma si ridurrebbero e ci sarebbe invece un maggior consumo a livello locale. L’obiettivo dell’Indonesia è proprio questo: da una parte aumentare il consumo interno di olio di palma dall’altra invece ridurre le importazioni di combustibili fossili. Inoltre, un maggior uso del biodiesel di palma porterebbe anche una riduzione delle emissioni. Quindi la spinta per un utilizzo maggiore dell’olio di palma è data dalla speranza di ridurre le emissioni, ridurre le importazioni di combustibili fossili e consumare le scorte di olio di palma in eccesso.

Come già anticipato, un risultato positivo ai test porterebbe anche a minori quantità di olio di palma da esportare e ciò sicuramente avrebbe un impatto sulle esportazioni del prodotto. Il piano del governo indonesiano potrebbe far salire i prezzi a livello globale, con conseguente aumento del prezzo dell’olio. Infatti, seguendo le regole di base dell’economia, se c’è una minor offerta a fronte di una maggiore domanda il prezzo del prodotto è destinato a salire. Questa non è la prima volta in cui l’Indonesia prova a diminuire le esportazioni dell’olio di palma. Già all’inizio dell’anno in corso il Paese aveva provato a vietare le esportazioni nel tentativo di ridurre l’inflazione locale. A seguito di questa politica i prezzi dell’olio di palma avevano raggiunto livelli record. Il paese ha cambiato strategia solo quando si è ritrovato con molte più scorte di olio di palma rispetto a quello che i cittadini potevano realisticamente consumare. Le esportazioni, quindi, sono ripartite e i prezzi hanno cominciato a scendere.

Per capire se ci sarà un’altra diminuzione delle esportazioni da parte dell’Indonesia, dobbiamo però aspettare la fine dei test e il possibile annuncio del governo di Giacarta sull’implementazione del requisito “B40”. I risultati definitivi arriveranno verso dicembre quando la sperimentazione sarà terminata. Secondo Dadan Kusdiana, direttore generale delle energie nuove e rinnovabili presso il Ministero dell’Energia e delle Risorse Minerarie, i risultati dei test su strada finora effettuati indicano che l’efficienza di utilizzo di questa miscela sono generalmente paragonabili alla miscela “B30”. Il ministero spera in risultati positivi così poi da formulare le specifiche tecniche per il “requisito B40”. Come dichiarato dal direttore generale Kusidiana, con il requisito B30, l’obiettivo del governo di Giacarta era quello di raggiungere un consumo annuale di 11 milioni di chilolitri. Ad ottobre 2022 già 8 chilolitri erano stati utilizzati. Se il requisito B40 verrà applicato, l’uso domestico di biodiesel di palma aumenterà di circa 3,4 milioni – 3,5 milioni di chilolitri. Quando il B40 sarà a regime, il governo prevede che il carburante a base di olio di palma che si prevede di utilizzare salirà a 15 milioni di chilolitri all’anno.