Indonesia

Affari, prosperità e pace sul Pacifico

Il discorso del Presidente indonesiano Prabowo Subianto al summit della Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC) a Lima

Come tutti sappiamo, la pace e la prosperità sono guidate dall’attività economica, dal ruolo della comunità imprenditoriale, dal ruolo degli imprenditori, dal ruolo dell’industria. Senza la partecipazione dinamica del settore economico, fondamentalmente non possiamo avere crescita e prosperità. Senza crescita, non possiamo alleviare la povertà, non possiamo creare occupazione. La regione del Pacifico è una delle aree più dinamiche del mondo. La crescita economica, i potenziali risultati tecnologici, la demografia, le risorse disponibili  lasciano presagire un futuro economico brillante per tutti. Al momento ci sono tensioni geopolitiche, ma io sono un ottimista nell’interesse dell’umanità. Credo che i leader delle grandi potenze del mondo, in ultima analisi, opteranno sempre per il bene comune. La rivalità è storica, ci sarà sempre, ma il nostro pianeta è diventato più piccolo. Le enormi scoperte tecnologiche richiedono che i leader siano più saggi, più pazienti, più accomodanti, perché il potere della tecnologia può portare progressi significativi alla vita umana, ma il potere della tecnologia può anche distruggere la vita umana molto velocemente. Pertanto, scelgo sempre la strada della collaborazione, dell’impegno, della comunicazione, della negoziazione. Certo, dobbiamo rispettare e vivere secondo le leggi comuni, le regole internazionali, ma dobbiamo anche avere una comprensione comune degli interessi di tutti. Vengo da un Paese, l’Indonesia , che è uno dei più grandi Paesi del mondo, il quarto per popolazione. Il nostro territorio, da ovest a est, è lungo quasi quanto l’Europa. L’Europa ha 27 Paesi o più, noi siamo un solo Paese. Abbiamo le nostre sfide importanti, ma siamo benedetti da risorse abbondanti e abbiamo la fortuna di poter essere in pochi anni completamente autosufficienti dal punto di vista energetico. Saremo forse uno dei pochi Paesi in grado di raggiungere il 100% di energia rinnovabile entro pochi anni. Possiamo sostituire i combustibili fossili con le energie rinnovabili. Abbiamo il più grande potenziale geotermico e di energia solare, ma la nostra forza principale verrà dalla bioenergia, dal carburante di origine vegetale che possiamo produrre. L’Indonesia è aperta a fare affari. Sono determinato a proteggere tutti gli investimenti, a creare una condizione economica favorevole, a partecipare alle principali organizzazioni economiche del mondo e a lavorare insieme a tutti voi per creare prosperità reciproca. Credo che la prosperità possa venire solo dalla pace. La pace viene dalla comprensione. La comprensione deriva dall’impegno e dalla negoziazione. Invito alla cooperazione tra tutti voi, il settore privato del Pacifico, per raggiungere insieme la prosperità. Prosperità che, alla fine, garantisce pace e stabilità.

Nuovo slancio al libero scambio Indonesia-UE

Le amministrazioni entranti a Bruxelles e a Giacarta offrono la speranza di un progresso nei negoziati

Dopo quasi un decennio di negoziati, la proposta di un accordo di libero scambio tra Unione europea e Indonesia potrebbe farsi più realizzabile. È quanto sostiene Alif Alauddin in un’analisi pubblicata su The Diplomat. L’Indonesia mira infatti concludere i negoziati sotto l’amministrazione del nuovo Presidente Prabowo Subianto, entrato ufficialmente in carica domenica 20 ottobre. Allo stesso tempo, l’Unione Europea ha presentato una nuova squadra della Commissione Europea sotto il secondo mandato di Ursula von der Leyen, iniziato il 17 settembre. L’ultima tavola rotonda tra Bruxelles e Giacarta, svoltasi a luglio, ha dimostrato che le questioni ancora aperte sono in gran parte legate agli interessi interni di entrambe le parti, preoccupate di proteggere le industrie nazionali da eventuali svantaggi una volta che l’accordo entrerà in vigore. Dall’inizio dei negoziati nel 2016, l’UE è rimasta ferma nel far rispettare gli standard di sostenibilità, mentre l’Indonesia ha incontrato difficoltà nel soddisfare queste aspettative. “Entrambe le parti devono ora considerare in modo più ampio il cambiamento del panorama geopolitico”, sostiene The Diplomat, secondo cui Prabowo desidera cercare partner occidentali per il commercio e gli investimenti. Ciò include l’accelerazione degli sforzi per ottenere la certificazione ambientale, di sostenibilità e di governance (ESG) per i siti di estrazione del nickel, al fine di conformarsi agli standard di mercato dell’UE e degli Stati Uniti. L’ambizione di raggiungere una crescita economica annua dell’8% durante il suo primo mandato sarà in gran parte guidata dagli investimenti esteri, con particolare attenzione all’energia verde, alla produzione di veicoli elettrici, alla tecnologia avanzata e al settore dei servizi digitali. “L’insediamento di Prabowo dovrebbe quindi essere accolto dall’UE come un’opportunità per rilanciare i colloqui sull’accordo di libero scambio” si legge. “Allo stesso modo, garantire l’accesso al mercato indonesiano è una priorità della Commissione UE”, visto che Giacarta potrebbe aiutarla a diversificare le sue relazioni economiche, riducendo la dipendenza da Pechino. Peraltro, sottolinea the Diplomat, “rispetto all’imposizione di misure unilaterali come per dettare le condizioni sui principali prodotti indonesiani, un accordo di libero scambio può essere uno strumento più efficace di influenza esterna per soddisfare gli standard globali di sostenibilità”. 

Le politiche economiche di Prabowo Subianto

Articolo di Luca Menghini

Il percorso dell’Indonesia verso la crescita e la stabilità

Dal 20 ottobre 2024, Prabowo Subianto è ufficialmente il nuovo presidente dell’Indonesia, a seguito di un’elezione molto contestata che porta sia continuità che cambiamento. Basandosi sulle fondamenta poste dal suo predecessore, Joko Widodo, meglio conosciuto come Jokowi, Prabowo mira a stimolare la crescita economica dell’Indonesia, introducendo allo stesso tempo nuove strategie per affrontare le sfide strutturali di lunga data che hanno sempre caratterizzato il Paese. La sua amministrazione arriva in un momento cruciale per l’Indonesia, che, essendo la più grande economia del sud-est asiatico, si pone al centro del commercio mondiale, soprattutto grazie alla sua ricchezza di risorse naturali.

Prabowo ha sottolineato che il suo impegno sarà quello di continuare molte delle politiche di Jokowi, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo delle infrastrutture e la gestione delle risorse. Sotto l’amministrazione Jokowi, l’Indonesia è diventata un attore significativo nella catena di approvvigionamento dei veicoli elettrici, capitalizzando e sfruttando le sue vaste riserve di nichel, uno dei componenti chiave utilizzati per la produzione di batterie per veicoli elettrici. Diverse compagnie straniere, tra cui Hyundai e LG, hanno investito significativamente in Indonesia, attratte dall’opportunità di accedere a queste risorse. Prabowo ha promesso di prestare particolare attenzione allo sviluppo del settore downstream domestico, che prevede la raffinazione delle materie prime in prodotti ad alto valore aggiunto, assicurando che l’Indonesia tragga maggiori benefici rispetto alla sola estrazione delle risorse, e possa così meglio capitalizzare le ricchezze presenti nel suo territorio.

Le promesse di continuità di Prabowo rassicurano molte persone; tuttavia, rispetto al suo predecessore, si trova davanti a un’economia con nuove sfide. Sotto Jokowi, l’Indonesia ha registrato una crescita stabile di circa il 5% all’anno. Tuttavia, Prabowo ha fissato un obiettivo ancora più ambizioso, puntando a una crescita dell’8% durante la sua presidenza. Per raggiungere questo obiettivo non sarà sufficiente solo un flusso continuo di investimenti nelle infrastrutture, ma saranno necessarie anche riforme in altri settori, in particolare nell’aumentare il livello di innovazione e nell’affrontare il problema persistente dell’occupazione informale nel Paese. L’economia indonesiana, fortemente dipendente dalle esportazioni di materie prime come il nichel e l’olio di palma, deve essere diversificata per garantire una crescita sostenibile ed evitare di cadere in quella che gli economisti chiamano “middle-income trap”, ossia il momento in cui l’economia di un Paese inizia a stagnare prima di raggiungere lo status di economia sviluppata.

Uno dei piani più ambiziosi di Prabowo è quello di aumentare significativamente la spesa pubblica, in particolare per i programmi sociali, come i pasti gratuiti per i bambini in età scolare, una delle sue promesse elettorali. La sua amministrazione punta ad aumentare il rapporto debito/PIL dell’Indonesia dall’attuale 39% al 50%, una mossa che sta suscitando un acceso dibattito tra economisti e investitori. Mentre il team di Prabowo sostiene che l’aumento del debito del Paese è necessario per finanziare i vari programmi che il governo intende implementare, i critici affermano che una mossa del genere potrebbe destabilizzare la disciplina fiscale di lunga data dell’Indonesia. Sotto Jokowi, infatti, l’Indonesia ha mantenuto politiche fiscali conservative, con limiti molto stretti rispetto al deficit di bilancio e all’emissione di debito, che hanno aiutato a proteggere l’economia dagli shock esterni.

L’amministrazione di Prabowo ha rassicurato i mercati affermando che l’aumento dei prestiti sarà accompagnato da sforzi per aumentare le entrate. Il suo team ha proposto varie misure per incrementare le entrate del governo, tra cui l’aumento delle tasse e delle royalties dal settore minerario, nonché il potenziamento dei meccanismi di raccolta fiscale. Tuttavia, le sfide sono significative. Il rapporto tasse/PIL rimane basso rispetto ad altre nazioni del sud-est asiatico, e molti dei lavoratori del Paese sono impiegati in modo informale, rendendo difficile l’espansione della base fiscale.

L’energia e la sicurezza energetica sono altri pilastri fondamentali dell’agenda economica di Prabowo. L’Indonesia è il più grande produttore di olio di palma, e Prabowo sta pianificando di espandere il suo utilizzo nella produzione di biocarburanti, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza del Paese dalle importazioni di diesel. Sotto la politica B35 introdotta lo scorso anno, una miscela contenente il 35% di olio di palma è ora obbligatoria per legge nel biodiesel, e Prabowo ha deciso di aumentare questa percentuale al 50% entro il 2029. Riducendo la dipendenza dalle importazioni di carburanti, Prabowo spera di migliorare la bilancia commerciale del Paese e dare un impulso significativo alla produzione domestica. 

Per quanto riguarda la sicurezza alimentare, Prabowo ha sottolineato la necessità di riforme agricole per aumentare la produttività e ridurre la dipendenza dell’Indonesia dalle importazioni di cibo. Ha evidenziato piani per investire nella modernizzazione del settore agricolo, migliorando i sistemi di irrigazione e ampliando l’accesso al credito per i piccoli agricoltori. Queste misure mirano a garantire che l’Indonesia soddisfi il fabbisogno alimentare della sua popolazione, creando al contempo nuove opportunità nelle aree rurali.

La leadership di Prabowo sarà anche influenzata dalla posizione geopolitica dell’Indonesia tra le due potenze globali, gli Stati Uniti e la Cina. L’Indonesia ha mantenuto una posizione neutrale, bilanciando con attenzione le relazioni con entrambi i Paesi, e ci si aspetta che Prabowo continuerà con questo approccio. La Cina è il più grande partner commerciale dell’Indonesia e i legami economici tra i due Paesi si sono rafforzati negli ultimi anni, in particolare per quanto riguarda gli investimenti nelle infrastrutture. Allo stesso tempo, l’Indonesia rimane un partner chiave degli Stati Uniti nel sud-est asiatico, soprattutto nel settore della sicurezza. Prabowo, un ex generale, si prevede continuerà a sviluppare le capacità di difesa dell’Indonesia, mantenendo al contempo un approccio neutrale nella più ampia competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina.

Gli investimenti esteri continueranno a giocare un ruolo chiave nelle strategie economiche di Prabowo. Sotto Jokowi, l’Indonesia ha registrato una crescita significativa degli investimenti diretti esteri (IDE), in particolare nei settori minerario e manifatturiero. Prabowo ha indicato che manterrà gli incentivi introdotti sotto l’amministrazione precedente per attrarre investitori stranieri, incluse le agevolazioni fiscali e le normative semplificate. Tuttavia, la reazione dei mercati alle politiche economiche di Prabowo è stata mista, con alcuni investitori preoccupati per i potenziali rischi legati all’aumento del debito. I recenti downgrade da parte di banche d’investimento come Morgan Stanley riflettono queste preoccupazioni, sebbene le agenzie di rating come Fitch e Moody’s abbiano mantenuto un outlook stabile per l’Indonesia, citando i solidi fondamentali economici del Paese.

Nonostante queste sfide, la presidenza di Prabowo rappresenta un’opportunità per l’Indonesia di consolidare la sua posizione come leader economico regionale. La sua amministrazione è focalizzata sullo sviluppo industriale, l’indipendenza energetica e la sicurezza alimentare, il che dovrebbe portare all’obiettivo di raggiungere stabilità e crescita a lungo termine. Tuttavia, tutto dipenderà da quanto efficacemente il suo governo riuscirà a bilanciare la necessità di prudenza fiscale con le richieste di un’agenda economica ambiziosa. Investitori e partner internazionali seguiranno attentamente come Prabowo affronterà queste sfide nei primi anni della sua presidenza.

L’inaugurazione della presidenza di Prabowo segna l’inizio di un nuovo capitolo per l’Indonesia. Si spera che questo capitolo sarà caratterizzato dagli sforzi per accelerare la crescita, assicurando al contempo che i benefici della stessa siano equamente distribuiti tra la popolazione. I suoi obiettivi ambiziosi, sebbene rappresentino una sfida, segnalano una chiara intenzione di trasformare l’Indonesia in un Paese ad alto reddito entro il 2045. Se riuscirà nell’intento, le sue politiche non solo solleveranno milioni di persone dalla povertà, ma solidificheranno anche il ruolo dell’Indonesia come potenza economica globale negli anni a venire.

Diventare Lumbung: lo scambio culturale tra Italia e Indonesia

Lo scambio culturale e artistico tra i due Paesi ha grandi potenzialità. Diventare Lumbung è un primo passo per cogliere grandi opportunità

Di Paola Pietronave

Tra Italia e Indonesia lo scambio culturale e artistico è un terreno con tante strade da esplorare. A livello di letteratura, arti contemporanee, musica, danza e cultura in senso ampio, sembrano davvero molte le possibilità per espandere e ampliare la conoscenza reciproca tra i due Paesi.

Per questa ragione, nel 2023 è stato avviato “Diventare Lumbung” che, grazie al supporto dell’Italian Council, ha cercato di restituire e disseminare nel contesto italiano alcuni dei valori e delle pratiche di ruangrupa e Gudskul Ekosistem, tra i collettivi artistici più rilevanti nel momento contemporaneo. 

ruangrupa è nato nel 2000 da un gruppo di artisti con la necessità di costituire uno spazio (fisico e mentale) in cui coltivare una sensibilità critica, ed elaborare strumenti di analisi sui contesti urbani e sulla cultura in senso ampio, utilizzando formati e linguaggi diversi. Dopo diverse esperienze orientate alla costruzione di un network di collaborazione improntato al mutuo-aiuto, alla condivisione di conoscenza e al pensiero critico, nel 2018 prende forma Gudskul Ekosistem, fondato con Serrum e Grafis Huru Hara, uno “spazio di studio sulla simulazione delle pratiche collettive”, che promuove l’importanza di un dialogo critico e sperimentale attraverso processi di apprendimento basati sulla condivisione e sull’esperienza diretta. 

Nel 2022 ruangrupa ha curato la quindicesima edizione di documenta1 denominata, appunto documenta fifteen. Charles Esche2 l’ha definita “la prima mostra del XXI secolo”, a sottolinearne l’importanza nella storia dell’exhibition making, grazie alla scelta di una curatela “collettiva” e all’attivazione di processi collaborativi orizzontali, rizomatici e non competitivi. La metafora fondativa della mostra è stata “Lumbung”, ovvero la pratica tradizionale in Indonesia di condivisione del surplus di riso tra le famiglie che gestiscono i campi coltivati. Questo surplus viene raccolto in un deposito, e poi distribuito a seconda delle necessità, attraverso un processo decisionale collettivo. Si tratta di una strategia di gestione delle risorse improntata alla al mutuo-aiuto, che ancora oggi sopravvive. “Lumbung” ha segnato un cambio di paradigma in grado di interrogare le dinamiche e le condizioni del sistema dell’arte e della cultura contemporanee, proponendo metodologie e pratiche improntate alla sostenibilità e alla condivisione.

Una mostra di tale portata ha tuttavia avuto una scarsa restituzione nel contesto italiano, e “Diventare Lumbung” è stato il primo tentativo di diffonderne i contenuti per tentarne una messa in pratica. 

Il progetto ha previsto un primo periodo di residenza negli spazi di Gudskul Ekosistem, cui ha fatto seguito una fase di restituzione e disseminazione nel contesto italiano, utilizzando diversi formati (talk e workshop) e coinvolgendo diverse istituzioni (ar/ge Kunst a Bolzano, MAMbo a Bologna, Fondazione Lac o Le Mon a San Cesario di Lecce e l’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova) e spazi indipendenti (Alchemilla a Bologna, Osservatorio Futura a Torino e Disordedrama a Genova). 

Attraverso la scelta di creare momenti di incontro e riflessione, è stato possibile costruire una prima rete di iniziative che hanno accolto con entusiasmo e interesse la possibilità di attivare “Lumbung Italia”, un laboratorio per esplorare modalità sostenibili per “vivere bene insieme” all’interno e oltre il sistema dell’arte. 

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  1. Documenta è la mostra di arte contemporanea, fondata nel 1955 da Arnold Bode, che si tiene ogni cinque a Kassel per la durata di cento giorni, rappresentando uno dei punti di riferimento per la ricerca nel campo dell’arte contemporanea in Europa. 
  2. Charles Esche è un direttore di museo (per venti anni al Van Abbenmuseum di Eindhoven), curatore, scrittore e direttore editoriale di Afterall Journal and Books, di base al Central Saint Martins College of Art and Design (Londra).

Indonesia, è arrivata il momento di Nusantara

La nuova capitale del Paese del Sud-Est asiatico è pronta per l’inaugurazione, nonostante molti intoppi

Di Anna Affranio

Con una mossa audace e storica, nel 2019 il presidente indonesiano Jokowi aveva annunciato la decisione di di dare il via al progetto ambizioso e audace di trasferire la capitale dalla vivace metropoli di Giacarta a una città di nuova progettazione chiamata Nusantara. Questa iniziativa senza precedenti non riguarda solo lo spostamento della sede del governo, ma incarna anche l’idea di una nazione al passo coi tempi. Mentre Jakarta è alle prese con problemi cronici come le gravi inondazioni, l’inquinamento e il sovraffollamento, Nusantara emerge come un faro di speranza, promettendo un ambiente urbano più sostenibile ed equo. Situata nel cuore del Borneo, questa nuova capitale è stata progettata per essere una città modello che promuove la tecnologia verde, l’inclusione culturale e la crescita economica. Il trasferimento a Nusantara segna un momento cruciale nella storia dell’Indonesia, ridisegnando non solo il paesaggio geografico ma anche quello socio-economico dell’arcipelago. 

La costruzione della città è iniziata a metà del 2022 e, sebbene ci vorranno ancora diversi anni per il suo completamento, il governo prevede di inaugurare ufficialmente nella data simbolica del 17 agosto, giorno in cui si celebra l’indipendenza Lo stesso presidente Joko Widodo ha iniziato a lavorare nel  palazzo presidenziale della nuova capitale Nusantara, già  dall’ultima settimana di luglio, tenendo in quella sede le prime riunioni con i propri collaboratori Non a caso l’’edificio governativo, noto anche come Garuda Palace, dal nome e dalla forma del mitico uccello Garuda, simbolo che compare anche nello stemma del Paese, è stato completato in tempo per il giorno dell’ inaugurazione e farà da sfondo alle celebrazioni. Questa importante occasione non rappresenta quindi solo il trasferimento fisico della capitale, ma anche il lancio di Nusantara come cuore amministrativo e politico dell’Indonesia.

Il progetto visionario di creare dal nulla nel cuore del Borneo una città sostenibile e futurista si è scontrato però fin da subito con gli ostacoli e i ritardi dovuti fondamentalmente alla difficoltà di reperire le necessarie risorse economiche per la realizzazione del piano, nonché alla complessa gestione delle problematiche ambientali  . Nonostante gli sforzi del governo per rispettare i tempi previsti, le complessità dello sviluppo delle infrastrutture, le incertezze economiche e le considerazioni ecologiche hanno reso il processo più arduo di quanto inizialmente previsto. La nuova capitale dovrebbe essere una città intelligente e verde che utilizza fonti di energia rinnovabili e opera una gestione dei rifiuti rispettosa dell’ambiente. Ma si sono dovuti registrare, invece, ritardi e impedimenti nell’acquisizione dei terreni, che hanno portato a conflitti con le popolazioni indigene in lotta contro il governo statale contro l’esproprio delle loro terre, rivendicando un equo indennizzo che l’Amministrazione statale per la scarsità delle risorse finanziarie investite non è in grado di garantire.A ciò si aggiunga il problema dell’afflusso di lavoratori da altre parti dell’Indonesia, che ha sì creato nuove opportunità commerciali, ma ha anche sollevato preoccupazioni tra i locali per le inevitabili speculazioni,  l’aumento del costo della vita e il degrado ambientale.  

Inoltre, il costo stimato del progetto di 35 miliardi di dollari, che il governo spera di finanziare per l’80% con investimenti privati, ha visto un tiepido interesse da parte degli investitori stranieri. Finora il governo ha investito circa 3,4 miliardi di dollari, con altri 2,5 miliardi di dollari dal settore privato. Nel tentativo di attrarre maggiori investimenti, il Presidente Jokowi ha firmato un regolamento presidenziale che concede agli investitori una serie di diritti nella futura capitale, compresi i diritti fondiari per un massimo di 190 anni.

All’inizio di giugno, il capo e il vice capo dell’organismo che supervisiona la nuova capitale indonesiana si sono inaspettatamente dimessi, sollevando dubbi sul futuro sviluppo del progetto. Questi cambiamenti di leadership, insieme alle varie sfide, sottolineano la complessità del trasferimento della capitale e dello sviluppo di Nusantara come previsto.

Nonostante le difficoltà l’Indonesia continua caparbiamente a portare avanti questo mastodontico progetto., Nusantara costituisce perciò una testimonianza  fondamentale e decisiva della capacità di un Paese di saper affrontare le sfide finanziarie, ambientali e sociali costruendo una città che non dovrà rappresentare solo un centro politico e amministrativo, ma anche l’emblema più prestigioso della capacità di una nazione di dare vita ad un futuro più sostenibile e inclusivo per tutti gli indonesiani 

L’Indonesia di Prabowo e le sfide della sicurezza regionale

L’approccio di politica estera del nuovo Presidente indonesiano contribuirà a determinare gli equilibri della regione

Di Alessia Caruso

A febbraio del 2024, il Ministro della Difesa indonesiano Prabowo Subianto ha vinto le elezioni presidenziali della più grande democrazia del Sud-Est asiatico. Assumerà formalmente l’incarico da ottobre, prendendo il posto del più volte rivale Joko Widodo. 

La presidenza di Prabowo si apre in un contesto di crescenti tensioni regionali, ponendolo di fronte a una sfida significativa nel posizionamento all’interno dello scacchiere politico. A 72 anni, il neo-eletto Presidente dovrà navigare con abilità in questo panorama geopolitico complesso. Sarà cruciale comprendere quale approccio di politica estera adotterà Prabowo. Le sue decisioni avranno, infatti, inevitabili ripercussioni sul ruolo e sull’equilibrio di potere all’interno dell’ASEAN. 

Negli ultimi anni, la tensione nell’area del Mar Cinese Meridionale è in drastico aumento. Secondo i dati disponibili, negli ultimi anni la spesa militare complessiva dei Paesi della regione è cresciuta del 6,2%, riflettendo la volontà di questi Stati di rafforzare la loro presenza e capacità di proiezione nella zona. Parallelamente, si è assistito ad un’intensificazione delle alleanze strategiche regionali. In particolare, gli Stati Uniti sono diventati sempre più attivamente impegnati, rafforzando i legami politici e militari con alleati come Giappone e Filippine. La combinazione di scontri, gli aumenti della spesa per la difesa e alleanze nella regione evidenzia come il Mar Cinese Meridionale sia diventato uno dei principali teatri di competizione geopolitica tra le grandi potenze nell’Indo-Pacifico. 

In qualità di Paese più popoloso e democrazia più grande del sud-est asiatico, l’Indonesia riveste un ruolo di primaria importanza nel complesso contesto geopolitico del Mar Cinese Meridionale. Mentre la tensione e i conflitti nell’area continuano a inasprirsi, gli occhi sono puntati sull’approccio che l’amministrazione del Presidente Prabowo adotterà per affrontare il contesto regionale sempre più teso.

Già durante il mandato di Widodo, la linea dell’Indonesia nei confronti della Cina è evoluta notevolmente, passando da un atteggiamento proattivo volto a promuovere la pace regionale, a un approccio passivo e non antagonistico, pur mantenendo ferma la difesa dei confini nazionali nell’area delle isole Natuna, territorio indonesiano rivendicato dalla Cina all’interno della sua controversa “Dash line”. Con Widodo, l’interesse a riscattare un ruolo nella bilancia di potere regionale, ha fatto spazio alla volontà di sviluppo delle infrastrutture locali, finanziate in larga parte dalla Cina.

Sebbene sia ancora presto per definire le modalità con cui Prabowo si proporrà nello scenario internazionale, una chiara indicazione è stata data dalla sua visita in Cina, dal 31 marzo al 2 aprile, su invito personale del Presidente Xi Jinping. In questa occasione il Presidente della Repubblica Popolare ha esaltato l’andamento delle relazioni bilaterali fra i due Stati, mentre Prabowo ha rinnovato il suo intento di perseguire la linea cooperativa di Widodo. L’intento è quello di rafforzare i rapporti economici, commerciali e di contrasto della povertà. Si tratta del primo viaggio di Prabowo da Presidente eletto, che decide così di definire fin da subito le priorità del suo mandato. In questa decisione si riflette l’andamento del legame economico costruito negli ultimi decenni fra le due potenze. La Repubblica Popolare è diventata il principale trading partner dell’Indonesia, rappresentando il 40% del suo export e il 55% del suo import, creando in questo modo un indubbio legame di dipendenza economica. La visita testimonia quindi l’importanza che Prabowo intende attribuire alla dimensione domestica ed economica all’interno della sua agenda, continuando la politica di acquiescenza del predecessore. La relazioni instauratasi fra i due Stati sembra a tutti gli effetti un accordo di mutuo scambio, tale per cui l’Indonesia assicura i propri interessi economici, mentre la Cina si assicura il tacito consenso della nazione più popolosa del Mar Cinese Meridionale, in un contesto in cui i rapporti bilaterali diventano sempre più determinanti. Nel descrivere i suoi rapporti di sicurezza e difesa con la Cina, Prabowo descrive la Repubblica Popolare come partner chiave nel garantire stabilità e pace alla regione. Così facendo, il generale indonesiano sembra ben disposto a cedere alla Cina il controllo della linea di sicurezza e difesa regionale, abdicando consapevolmente alla condanna delle scorrerie militari nelle acque territoriali di altri stati membri dell’ASEAN. Tuttavia, il rischio di questa strategia di passivismo securitario è quello che l’Indonesia abidichi del tutto al ruolo politico che le spetterebbe all’interno dell’equilibrio di forze della regione. Ruolo che prima della Presidenza di Widodo, l’Indonesia era ampiamente impegnata a riscattare. 

Importanti sono le implicazioni per la tenuta dell’ASEAN. Il rischio è infatti che l’incapacità, così come la mancanza di volontà, di prendere una posizione all’interno del dibattito regionale, contribuisca alla frammentazione della volontà politica, con il conseguente risultato che la regione diventi sempre più terreno di gioco per la rivalità fra Stati Uniti e Cina. L’assenza di posizionamento strategico della principale democrazia dell’ASEAN, in un contesto teso come quello del Mar Cinese Meridionale, rappresenta di per sé una presa di posizione a favore di una frammentazione sempre crescente.

In conclusione, il modo in cui il nuovo Presidente indonesiano saprà bilanciare gli interessi domestici, regionali e globali sarà cruciale per definire il futuro posizionamento dell’Indonesia nello scacchiere asiatico e le conseguenti ripercussioni sulla coesione dell’ASEAN.

La fluidità dell’Islam indonesiano

A chiedere l’istituzione della sharia sono solo dei gruppi minoritari, che alle ultime elezioni del 14 febbraio hanno contato molto meno che in passato. Questo è probabilmente dovuto alla fluidità con la quale la fede islamica si è imposta in Indonesia e all’impostazione costituzionale contenuta nella Pancasila – Dall’ebook “Indonesia” pubblicato con China Files

Articolo di Francesco Mattogno

Essere islamici, in Indonesia, è da sempre una scelta strategica. O almeno lo è secondo le teorie di alcuni storici. C’è chi sostiene che l’Islam si sia diffuso nel paese a partire dal tredicesimo secolo come conseguenza dei rapporti commerciali con i mercanti dell’Asia Meridionale e della penisola araba, provenienti in particolare dal Gujarat indiano e dallo Yemen. Altri che abbia contribuito alla sua espansione anche l’ammiraglio cinese musulmano Cheng Ho, approdato a Giava nel quindicesimo secolo. Ma, al di là del proselitismo, buona parte del successo dell’islam in Indonesia potrebbe essere dovuto alla geografia.

Quello indonesiano è un territorio distribuito su 17 mila isole, totalmente circondato dall’acqua, non particolarmente famoso per la qualità dei suoi terreni e dunque costretto al commercio. «Stanchi di pagare i tributi ai grandi e prosperi imperi indù e buddhisti della regione», ha detto a TRT World lo storico Carool Kersten, molti sovrani indonesiani videro come un’opportunità quella di convertirsi all’islam e di «cercare alleati in Africa e Medio Oriente» in un’epoca nella quale i musulmani, dopo la caduta di Costantinopoli nel quindicesimo secolo, controllavano le rotte marittime mondiali.

Non fu la conseguenza di una conquista straniera, né frutto dell’opera di ondate di predicatori. L’Islam in Indonesia si diffuse attraverso un processo fluido, lento, diversificato e probabilmente pacifico. Oggi quasi il 90% degli oltre 275 milioni di indonesiani è musulmano, statistica che rende il paese lo Stato a maggioranza islamica più grande del mondo. Un paese non pienamente laico, ma comunque democratico e tollerante. 

Nel preambolo della costituzione è ancora presente la Pancasila, ovvero i cinque principi fondamentali sui quali si fonda lo Stato indonesiano, stipulati nel 1945. Il primo afferma la “fede in un unico Dio”, ed è un concetto volutamente vago. Nelle prime bozze del testo si parlava esplicitamente di introdurre nella costituzione la sharia, cioè la legge islamica, possibilità poi accantonata in favore di una maggiore apertura religiosa. Di fatto, in Indonesia non si può dichiarare di essere atei, ma la costituzione riconosce altre sei grandi religioni (tra cui il cattolicesimo) e le minoranze religiose sono integrate nelle discussioni di interesse nazionale.

La grande maggioranza degli indonesiani, figlia di questa impostazione culturale e costituzionale, è prima di tutto nazionalista e rifiuta le correnti estremiste che disconoscono il concetto di appartenenza allo Stato-nazione indonesiano. Il radicalismo islamico è presente, ma minoritario, e le ultime elezioni del 14 febbraio hanno certificato la marginalità del mondo musulmano in quanto tale all’interno del sistema democratico di Giacarta.

Raramente i gruppi islamici estremisti hanno contato davvero a livello politico, ma nel 2014 e nel 2019 il duplice scontro tra Joko Widodo e Prabowo Subianto si era giocato anche sul piano della polarizzazione religiosa. Se Jokowi poteva contare sul sostegno dell’Islam moderato, nella seconda corsa alla presidenza Prabowo aveva portato dalla sua parte le organizzazioni islamiste che si erano sviluppate a partire dal movimento “212”, nato tra il 2016 e il 2017 durante la campagna elettorale per il posto di governatore di Giacarta tra Anies Baswedan e Basuki Tjahaja Purnama (“Ahok”). Ahok, cristiano di etnia cinese e favorito per la rielezione, venne accusato di blasfemia da Anies, che aizzò i suoi sostenitori più radicali contro di lui e di fatto diede il via al processo che portò il suo avversario alla condanna a due anni di carcere.

Sull’onda di una maggiore rilevanza politica, i gruppi nati dal movimento “212” avevano scelto Prabowo come portavoce della proprie istanze per le presidenziali del 2019. Questo nonostante la storia dell’ex generale e del Gerindra, il suo partito di destra nazionalista, fosse totalmente estranea all’estremismo religioso. Si trattava di reciproco opportunismo politico. Prabowo cercava elettori, gli islamisti un appoggio per entrare nelle istituzioni statali. La vittoria di Jokowi spense le loro speranze.

Dopo il caso Ahok, il presidente indonesiano aveva già sciolto il gruppo radicale Hizbut Tahrir Indonesia, nel 2017, facendo poi lo stesso con il Fronte dei Difensori Islamici (FDI) nel 2020. Durante il secondo mandato di Jokowi l’ascesa delle organizzazioni estremiste ha progressivamente perso slancio, a causa della repressione governativa e del ridotto sostegno popolare, mentre le associazioni moderate hanno finito con il legarsi ancora di più alle istituzioni. 

Le due più importanti organizzazioni moderate islamiche non politiche sono il Nahdlatul Ulama (NU) e il Muhammadiyah, alle quali aderiscono decine di milioni di persone. A loro sono connessi vari esponenti della società civile e della classe politica indonesiana, distribuiti abbastanza uniformemente nelle varie forze politiche, non solo in quelle prettamente islamiche, anzi. Fin dalle prime elezioni del 1955 i partiti musulmani non sono mai stati abbastanza forti per governare da soli, e anche i risultati preliminari del voto parlamentare del 14 febbraio hanno confermato la loro secondarietà. Per poter entrare nelle istituzioni, dunque, l’Islam moderato è sempre stato costretto a distribuire il proprio sostegno tra vari leader politici, soprattutto dopo le riforme democratiche del 1998 e la fine dell’era Suharto.

Pur mantenendo una facciata di neutralità, il supporto ai giusti candidati garantisce a NU e Muhammadiyah l’accesso agli incarichi pubblici. Ad esempio, nell’ultimo governo Jokowi il NU ha espresso il vicepresidente Ma’Ruf Amin e quattro ministri, tra cui quello degli Affari religiosi. Di fronte alla sempre minore rilevanza dell’aspetto ideologico, il pragmatismo e l’opportunismo politico hanno portato i due maggiori gruppi islamici moderati indonesiani a sostenere con diversi esponenti di spicco tutti e tre i candidati alle ultime elezioni: il vincitore Prabowo Subianto, Anies Baswedan e Ganjar Pranowo.

Il processo di depolarizzazione ha dunque ridotto il valore di un appoggio politico da parte delle associazioni religiose, rendendo marginale il ruolo dell’Islam nel determinare l’esito delle elezioni del 2024. Per Anies, che visto il precedente con Ahok era ritenuto il candidato più radicale, il supporto pubblico da parte di Abu Bakar Bashir – leader spirituale del Jemaah Islamiyah, il gruppo terroristico affiliato ad Al-Qaeda che ha organizzato gli attentati di Bali del 2002, dove sono morte 202 persone – stava anzi rischiando di minare la sua immagine ripulita di politico moderato. 

Più che il fine ultimo, con l’istituzione della sharia, l’Islam in Indonesia conta sempre di più come mezzo per il raggiungimento di obiettivi politici e come strumento di posizionamento, interno e internazionale. Per quanto ormai esteso a quasi tutte le forze politiche, il sostegno di almeno una parte dell’Islam moderato è una condizione di legittimità essenziale per qualunque candidato che punti a governare il paese, ed è per questo che a NU e Muhammadiyah (ultimamente più in difficoltà) vengono riservati ruoli di spicco nell’esecutivo. In politica estera, inoltre, la fede islamica è utilizzata come leva diplomatica per elevare l’Indonesia a uno dei paesi leader del mondo musulmano, e generalmente il governo è più incline a tollerare la mobilitazione islamica della propria società civile quando al centro del discorso pubblico ci sono questioni internazionali.


Il sostegno universale alla Palestina in questi mesi di escalation del conflitto con Israele, sia da parte della classe politica che dell’opinione pubblica, mostra come l’Islam rimanga una componente identitaria molto importante per la gran parte degli indonesiani. Alcuni osservatori ritengono che nei prossimi anni si potrebbe assistere a un ritorno dei gruppi conservatori, che durante il secondo mandato di Jokowi avrebbero solo abbassato i toni in attesa di condizioni politiche più favorevoli. Ma resta un’ipotesi remota. L’Islam indonesiano non è mai stato monolitico e, dopo aver superato una fase di polarizzazione, sembra essere tornato a quello stato fluido e opportunista che gli ha permesso di penetrare nel paese tra il tredicesimo e il quindicesimo secolo.

Nusantara, la scommessa della nuova capitale

Il governo si è impegnato a finanziare il 20% dei costi dal bilancio statale, e per il resto punta su capitali privati, anche esteri. Ma la nuova capitale tarda ad attrarre investitori, sia nazionali che esteri

A cura di Annalisa Manzo 

Nel 2019 il presidente Joko Widodo “Jokowi” annuncia l’ubicazione della nuova capitale dell’Indonesia nella provincia di Kalimantan orientale, la parte indonesiana dell’isola del Borneo. Sarà costruita su 180.000 ettari di terreno già di proprietà del governo, riducendo così al minimo i costi di acquisizione, a cavallo di due distretti, Penajam Paser Utara e Kutai Kartanegara, vicino a Balikpapan e Samarinda, le due città più grandi della provincia. Balikpapan ospita raffinerie di petrolio e un porto, rendendolo uno dei principali centri economici. Samarinda è la capitale della provincia del Kalimantan orientale. Rispetto ad altre zone di Kalimantan precedentemente considerate, gran parte delle infrastrutture necessarie sono già presenti. Entrambe le città dispongono di un aeroporto internazionale e potrebbero essere collegate al resto dell’isola tramite autostrade e ferrovie. Kalimantan si trova geograficamente al centro del Paese ed è meno esposto a eruzioni vulcaniche, terremoti e inondazioni.
“Non possiamo lasciare che Giacarta e l’isola di Giava continuino a sopportare il peso sempre più grave della densità di popolazione, della subsidenza, del traffico e dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua”, ha detto Jokowi in un discorso trasmesso in diretta televisiva. “Il divario economico tra Giava e le altre isole dell’arcipelago ha continuato ad ampliarsi nonostante la politica di autonomia regionale lanciata nel 2001”, ha aggiunto. Il 54% degli oltre 260 milioni di abitanti dell’Indonesia risiedono a Giava e il 58% del PIL del Paese viene prodotto sull’isola, nonostante sia la più piccola delle cinque isole principali dell’Indonesia.

Il megaprogetto da 32 miliardi di dollari mira a creare una nuova capitale dal nulla. Il suo nome è Nusantara – in indonesiano significa ‘arcipelago’ – proprio per riflettere la geografia dello Stato-arcipelago più grande al mondo. La sua costruzione è stata pianificata in cinque fasi fino al 2045, anno del centesimo anniversario dell’indipendenza indonesiana. I lavori della prima fase sono iniziati nel 2022 e dovrebbero terminare entro quest’anno.

L’obiettivo primario dichiarato nel progetto Ibu Kota Negara Nusantara – in breve IKN – come è ufficialmente noto, è quello di creare un nuovo hub geograficamente più centrale per l’Indonesia e guidare la trasformazione economica della nazione, senza più centralizzare l’Indonesia attorno a Giava. Il governo stima che la popolazione della città raggiungerà i 60 mila abitanti nel 2024, per salire a 2 milioni entro il 2040.

Il trasferimento della capitale è attualmente in fase di sviluppo delle infrastrutture. Il Ministero dei Lavori Pubblici e dell’Edilizia ha garantito che il progetto dell’IKN sta procedendo secondo i piani. I lavori si stanno concentrando sullo sviluppo delle infrastrutture di base e degli edifici governativi. Lo sviluppo dell’area del governo centrale (KIPP, Kawasan Inti Pusat Pemerintahan), in particolare il Palazzo Presidenziale, che sarà il più grande complesso del KIPP, è fondamentale per costruire la fiducia del pubblico e attrarre investitori. Il palazzo coprirà il doppio della superficie occupata a Gicarta e sarà in grado di ospitare fino a ottomila persone per le attività cerimoniali del 17 agosto. Verranno poi costruite anche infrastrutture pubbliche, come luoghi di culto, strutture sanitarie, parchi, aree sportive, educative e commerciali, e gli alloggi per i funzionari. Questa zona sarà inoltre circondata da cinture verdi in linea con l’obiettivo di rendere la capitale una “smart forest city”, con il 65% del territorio ricoperto da foreste urbane, che contribuirà a raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2045 attraverso l’utilizzo di energia rinnovabile. A partire da agosto, molti ministeri e agenzie governative apriranno uffici lì, e il governo prevede di trasferire 3mila dipendenti pubblici da luglio a novembre. Invece, le ambasciate e le sedi centrali delle imprese straniere situate a Giacarta si sono mostrate riluttanti a discutere il trasferimento. 

Riguardo gli investimenti, il governo si è impegnato a finanziare il 20% dei costi dal bilancio statale, e per il resto punta su capitali privati, anche esteri. Ma Nusantara ha tardato ad attrarre investitori, sia nazionali che esteri. SoftBank ha ritirato i piani citando preoccupazioni sulla sostenibilità economica. Il governo rivendica gli interessi di quasi 300 aziende in tutto il mondo, ma le trattative devono ancora concludersi. Pochi investitori sono disposti a impegnare fondi finché il successore di Jokowi – e le sue opinioni sulla nuova capitale – non saranno chiari. Anche per gli investitori stranieri è necessario assicurarsi che i piani di Nusantara vadano avanti dopo le elezioni. 

Jokowi ha fatto ogni sforzo per garantire che il suo successore continui il progetto, arrivando al punto di approvare una legge sulla nuova capitale all’inizio del 2022, sostenuta dal 93% dei partiti della Camera dei Rappresentanti. Un’altra garanzia è diventata chiara lo scorso ottobre, quando Prabowo Subianto, il 72enne Ministro della Difesa ed ex generale dell’esercito, ora alla guida del risultato preliminare delle elezioni presidenziali del 14 febbraio, ha annunciato che il suo compagno di corsa alle prossime elezioni sarebbe stato il figlio 36enne di Jokowi, Gibran Rakabuming, che intende portare avanti l’eredità di suo padre.

Lo scetticismo degli investitori stranieri riflette inoltre la constatazione che storicamente ci sono stati pochi trasferimenti di successo. Molti temono che Nusantara possa condividere il destino dei simili progetti portati avanti dai suoi vicini nel Sud-Est asiatico che hanno trasferito le loro capitali nell’era post coloniale. Nel 1999, ad esempio, la Malesia ha iniziato a trasferire i ministeri federali e le agenzie governative nella nuova capitale amministrativa, Putrajaya, 25 chilometri a sud di Kuala Lumpur, che rimane ancora oggi la capitale finanziaria e commerciale del Paese. Allo stesso modo, il Myanmar nel 2005 ha spostare la sua capitale amministrativa da Yangon a Naypyidaw, ma la maggior parte delle principali ambasciate sono rimaste a Yangon.

Sono in molti a dubitare che Nusantara riuscirà a sostituire rapidamente Jakarta come centro finanziario. Kalimantan ha industrie che potrebbero sostenere lo sviluppo, tra cui la silvicoltura, l’agricoltura e l’estrazione mineraria, ma Giava ha un’economia industriale e basata sui servizi. Non si sa se riuscirà a sostenere il ruolo di una vera capitale: connettività con altre città globali, creazione di conoscenza, servizi amministrativi. 

Nonostante dubbi e forti critiche, Nusantara Capital Authority ha affermato che la metropoli segue i modelli di Shenzhen e Dubai, due centri economici costruiti da zero, oltre agli altri riferimenti di Canberra, Putrajaya o Washington D.C. per diventare un centro dell’economia mondiale, nonché perno del governo e della crescita economica.

Se i piani andranno avanti, Jokowi e il suo successore riusciranno laddove i precedenti leader indonesiani hanno fallito. Tuttavia, l’enorme opera di deforestazione, i rischi per la biodiversità e la fauna selvatica, e l’eccessivo sfruttamento delle risorse minerarie della zona restano le maggiori preoccupazioni, oltre al pericolo della corruzione e dell’eccessivo indebitamento. Come affermato da I. M. Sukma, “un mega progetto infrastrutturale presenta due distinte possibilità: il potenziale di uno spreco di fondi in caso di abbandono completo, con il progetto già in corso, o il rischio di una città fallita, soprattutto date le continue sfide del governo per attrarre gli investimenti necessari per rendere il centro della ‘nuova Indonesia’ una realtà”. Staremo a vedere. Il futuro di Nusantara e del nuovo governo entrante è ancora tutto da scrivere. 

Nichel, l’oro indonesiano

Giacarta ne è ricchissima e l’elemento ha assunto una rilevanza strategica per via dell’avanzamento della produzione di veicoli elettrici. Attirando l’interesse delle grandi potenze

Che vi sia unanimità verso l’esigenza di abbandonare i combustibili fossili entro il 2050 è un fatto ormai assodato, specie in seguito all’accordo storico della COP28. Tuttavia, quando si tratta di considerare il passaggio alle fonti di energia rinnovabile come un’opportunità di crescita sostenibile per le economie in via di sviluppo, l’unanimità lascia spazio ad una visione permeata sia di ottimismo sia di pessimismo. L’Indonesia, con l’utilizzo del nichel come driver della transizione green e il conseguente danno ambientale, ne è un esempio. 

Negli ultimi anni, il nichel (specie quello di classe1) ha assunto una rilevanza strategica per via dell’avanzamento della produzione di veicoli elettrici (EV), le cui vendite annuali raggiungeranno almeno 41 milioni entro il 2030, secondo l’IEA. Grazie alle sue eccezionali proprietà e all’elevata efficienza di riciclaggio, il nichel contribuisce all’economia circolare, e in senso lato al raggiungimento di vari SDGs. Non sorprende che l’Indonesia, quale più grande produttore di nichel al mondo con il 52% delle riserve totali a livello globale, ambisca a diventare un hub indispensabile per l’industria dei EV. In effetti, il paese presenta vantaggi in termini di costi e relativa facilità di sviluppo di nuovi progetti rispetto ad altri paesi produttori di tale metallo, tra cui Filippine, Russia e Australia. Inoltre, con l’adozione di normative che ne hanno vietato l’esportazione, il governo è riuscito ad attirare massicci investimenti, prevalentemente cinesi. 

Tuttavia, se è vero che il progressivo abbandono delle auto a gas è una parte rilevante della transizione energetica, è altrettanto vero che la lavorazione del nichel per l’utilizzo nelle batterie dei EV comporta un significativo impatto ambientale. Preme, infatti, sottolineare che la maggior parte della produzione indonesiana è costituita da nichel di classe2 che necessita processi di lavorazione per essere trasformato in classe1. E, purtroppo, le attività di estrazione e lavorazione hanno generato grandi volumi di rifiuti tossici, causato deforestazione e perdita di biodiversità. Fa discutere il fatto che il danno ambientale sia interamente a carico del luogo in cui si effettua l’estrazione mineraria, e in ultima analisi, delle comunità che vi vivono. Così come fa riflettere che questi impianti siano fortemente energivori, rifornendosi perlopiù da centrali elettriche a carbone. 

Ciò nonostante, lo sfruttamento del nichel rappresenta una significativa opportunità per l’Indonesia ai fini di sostenere la propria crescita economica, consolidare il suo ruolo di leadership nella regione e aspirare ad essere un high-income country. Trattandosi di un settore critico per gli equilibri industriali, il nichel influisce inevitabilmente sulle dinamiche geopolitiche, rendendo Giacarta una preda sempre più ambita da Pechino e Washington. Da un lato, la Cina quale leader mondiale nella produzione di EV, ha investito 8 miliardi di dollari nel 2022 accrescendo la sua influenza nel paese, quale crocevia tra l’Oceano Indiano e Pacifico. Effettivamente, molti operatori di raffinazione del nichel sono di proprietà della società cinese Jiangsu Delong Nickel Industry, così come è di proprietà sino-indonesiana il parco industriale Morowali (IMIP). Dall’altro, i legami strategici tra Washington e Indonesia sono stati elevati a un Comprehensive Strategic Partnership (CSP) nel novembre 2023, anche se rimangono ancora superficiali e mancano di una cooperazione economica. Infatti, l’assenza di accordi bilaterali di libero scambio tra gli USA e Indonesia e le conseguenti barriere commerciali renderanno difficile la realizzazione di programmi chiave per il CSP, tra cui proprio la possibilità di un accordo sui minerali critici. In conclusione, così come la sola transizione verso i EV non basterà a garantire uno sviluppo sostenibile, anche gli atteggiamenti persuasivi delle due grandi potenze nei confronti dell’Indonesia non basteranno ad ottenere l’abbandono della politica di non-allineamento perseguita dal presidente uscente Joko Widodo e, a quanto pare, anche dal prossimo leader Prabowo Subianto.

“Capitalismo con caratteristiche indonesiane”: il ruolo delle aziende di Stato nella politica di Giacarta

L’economia indonesiana cresce a ritmi elevati, seguendo un modello economico che unisce libero mercato e pianificazione. Durante il governo di Jokowi le società statali hanno acquisito ancora più centralità. Come intenderà usare questo strumento il suo successore Prabowo?

Nei prossimi vent’anni, l’Indonesia potrebbe diventare la quarta economia mondiale. Al momento si trova al settimo posto, se misuriamo il suo PIL a parità di potere d’acquisto. L’arcipelago dispone di risorse naturali in abbondanza e di forza lavoro giovane e numerosa. Due fattori chiave per la crescita, ma che da soli non bastano. Serve anche aprire la porta agli investimenti stranieri e rimuovere gli ostacoli all’attività di impresa. L’amministrazione Jokowi ha provato a farlo in un colpo solo, e deciso. Nel 2020 è approvata la Omnibus Law, un testo legislativo monstre di circa mille pagine che ha toccato moltissimi settori. Anche la politica commerciale segue il solco del liberismo economico. Giacarta ha intensificato i suoi sforzi diplomatici per concludere un ambizioso accordo di libero scambio con l’Unione Europea e alza la voce ogni volta che delle misure straniere minacciano i suoi export, come quelle di Bruxelles sull’olio di palma.

Eppure, nonostante la decisa spinta liberalizzatrice, le imprese statali continuano ad avere un ruolo centrale nell’economia indonesiana, un ruolo che si è ulteriormente rafforzato negli ultimi dieci anni. Il Jokowismo, come viene chiamata la dottrina economica del governo uscente, è una fusione di libero mercato e robusto intervento statale. In Europa o negli Stati Uniti, dove il mercato è per principio più efficiente dello Stato, tale mix apparirebbe contraddittorio e persino economicamente irrazionale. Non agli indonesiani e nemmeno agli altri Paesi del Sud Est asiatico. Tale modello economico, premiato negli ultimi decenni da una stabile e vigorosa crescita del PIL, precede Widodo e, come accennato, si manifesta anche nel resto della regione. In forme diverse, come ha descritto Gianmatteo Sabatino, ricercatore della Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan, nell’eccellente articolo The emerging trends of the modernization of state-controlled economy in the ASEAN space. The case of Indonesian State-Owned Enterprises (Rivista di Diritti comparati, numero 1/2023). 

Sabatino ricostruisce come il modello indonesiano di impresa statale si sia evoluto partendo dal diritto commerciale dei Paesi Bassi, trapiantato in Indonesia nel periodo coloniale, passando poi dai regimi di opposto segno di Sukarno e Suharto. Il processo di indipendenza, ufficialmente sancito dalla Costituzione del 1945, prevedeva anche la nazionalizzazione delle proprietà del Regno e dei cittadini neerlandesi. L’articolo 33 della Costituzione indonesiana, tuttora in vigore, sancisce che “i settori di produzione (…) importanti per il Paese e (che) influenzano la vita del Popolo devono essere sotto il potere dello Stato”, come anche l’acqua e le risorse naturali, che devono essere “sfruttate per il massimo beneficio del Popolo”. Sempre l’articolo 33 fissa la “democrazia economica” come stella polare dell’economia indonesiana. Per declinare tali principi, Sukarno guardava al modello di pianificazione economica socialista, in linea anche con la sua politica estera di graduale avvicinamento all’Unione Sovietica. Tale corso è bruscamente interrotto dal golpe di Suharto, supportato dagli Stati Uniti per evitare che l’Indonesia entrasse definitivamente nell’orbita sovietica. 

Dopo aver brutalmente eliminato ogni esponente socialista (o presunto tale), Suharto inverte la rotta promuovendo un modello economico liberista, senza però molto successo. Le sue riforme introducono schemi giuridici di governo d’impresa più vicini a quelli europei e americani, ma si scontrano con il corporativismo radicato nella società indonesiana. La caduta di Suharto apre per l’Indonesia la fase di Reformasi politico-economica, con il principio costituzionale della democrazia economica che torna in auge e l’emergere di un nuovo modello di sviluppo “nazionale”. Nonostante le richieste da più parti, in particolare dal Fondo Monetario Internazionale, di proseguire con liberalizzazioni e privatizzazioni, a Giacarta preferiscono mantenere forte il ruolo dello Stato nell’economia. Una azienda pubblica ben amministrata può stimolare lo sviluppo e anche facilitare la nascita di nuove aziende private. Jokowi lo sa bene. La sua carriera di imprenditore di successo è iniziata come manager di una fabbrica statale di cellulosa e, dopo essersi messo in proprio, il futuro presidente è stato più volte aiutato da aziende pubbliche nel momento del bisogno.

Il capitalismo di Stato indonesiano è però esposto a due gravi rischi. Le imprese private hanno bisogno di contatti personali e politici nel governo per poter fare affari e cooperare con le loro controparti statali. Una buona rete di contatti può tenere a galla un’azienda altrimenti destinata a fallire. Questa dinamica produce poi il secondo problema: il rischio che sorgano coalizioni di interessi tra ministeri e aziende che degenerano in corruzione o paralizzano i processi decisionali. Un problema non da poco, visto che un sistema politico corrotto e instabile può dissuadere gli investitori stranieri, così preziosi per il Paese. Un ministero potrebbe dimenticare i suoi obiettivi politici e privilegiare la protezione delle aziende che possiede, anche a costo di scontrarsi con gli altri ministeri. Per esempio, i negoziati con l’UE per l’accordo commerciale sono stati molto rallentati dalle divisioni interne al gabinetto di Widodo, con ciascun ministero schierato pro o contro certe questioni, a sostegno dell’elettorato di riferimento del ministro e delle sue aziende. Magari il ministero dell’agricoltura vorrebbe respingere ogni richiesta europea sull’olio di palma, anche a costo di bloccare interamente i negoziati. Il ministro dell’industria invece avrebbe fretta di chiuderli favorevolmente per conquistare maggiore accesso al mercato europeo per le sue aziende manifatturiere. 

Il successore di Widodo, l’ex generale Prabowo Subianto, potrà contare sulle aziende statali per promuovere le sue politiche, a meno che non intenda cambiare dottrina economica. È improbabile che lo faccia, visto che il Jokowismo è estremamente popolare e permettere di mobilitare le crescenti risorse economiche del Paese per altri scopi. Più difficile anticipare quali saranno tali scopi. Realizzare il principio costituzionale della democrazia economica? Far crescere l’economia, in modo equo e sostenibile oppure badando solo alla crescita percentuale del PIL? O magari, rafforzare il proprio sistema di potere? Il moltiplicarsi delle imprese di Stato sotto Jokowi ricorda la tendenza simile osservata nella Cina di Xi Jinping. Con la differenza chiave che, in Indonesia, l’operato dei ministeri, quindi delle loro aziende, può essere oggetto di dibattito politico e cambiare da una legislatura all’altra. Come rileva sempre Sabatino, i tempi della pianificazione dello sviluppo sono opportunamente sincronizzati dalla legge indonesiana con le elezioni. I risultati elettorali hanno un impatto nelle scelte imprenditoriali delle aziende statali. Prendendo in prestito una celebre espressione legata proprio alla Cina, il “capitalismo con caratteristiche indonesiane” presenta elementi unici e di sicuro interesse, dato che è alternativo e quasi opposto alle pratiche del capitalismo “occidentale”, nonché destinato a guidare l’arcipelago verso il podio delle economie mondiali.

Chi sono i candidati alla presidenza dell’Indonesia

Prabowo, Ministro della Difesa e generale in pensione, è il favorito. Il suo vice è Gibran, figlio del suo storico rivale e Presidente uscente Joko Widodo

Di Tommaso Magrini

Ci siamo. Pochi giorni e si terranno le elezioni presidenziali in Indonesia. Il 14 febbraio una delle più grandi democrazie del mondo va alle urne per scegliere il suo prossimo leader. Secondo la commissione elettorale, circa 205 milioni degli oltre 270 milioni di indonesiani hanno diritto di voto e circa un terzo di questi ha meno di 30 anni. Lo scrutinio presidenziale si terrà lo stesso giorno delle elezioni parlamentari nazionali e gli elettori sceglieranno anche i rappresentanti esecutivi e legislativi a tutti i livelli amministrativi in ​​tutta l’Indonesia.

Il favorito appare Prabowo Subianto. Genero di Suharto e già capo delle forze speciali, il generale in pensione è stato in passato accusato di essere tra i responsabili della repressione delle proteste degli studenti, delle sparizioni e degli omicidi extragiudiziali degli oppositori, delle violazioni dei diritti umani contro le minoranze di Papua e Timor Est. Dopo l’allontanamento dall’esercito e alcuni anni di autoesilio in Giordania per un tentato colpo di Stato, Prabowo è ora convinto che alle elezioni del 14 febbraio riuscirà a diventare presidente della prima economia dell’Asia sud-orientale. Negli ultimi dieci anni, per due volte Prabowo aveva tentato la corsa per il palazzo presidenziale di Giacarta, venendo però sconfitto dal riformatore Joko Widodo.

Stavolta Prabowo ci crede davvero, dopo essere entrato a far parte del governo nel 2019 come ministro della Difesa. Secondo il presidente Widodo, Prabowo è stato scelto come ministro della Difesa perché “ha una vasta esperienza in quel campo”. Come spiega Francesco Radicioni, corrispondente di Radio Radicale da Bangkok, “archiviata la posa machista da militare legge-e-ordine, ora Prabowo condivide con i suoi milioni follower su Instagram e TikTok post dai toni rilassati e accattivanti che gli hanno fatto conquistare una valanga di like e commenti entusiasti: la parola più usata online è «gemoy», un’espressione che suona come «adorabile»”. 

Il vero colpo di scena, però, c’è stato quando Prabowo ha annunciato che il suo candidato alla vice-presidenza sarebbe stato Gibran Rakabuming Raka: classe 1987, giovane sindaco di una piccola città sull’isola di Giava, ma soprattutto figlio dello stesso presidente Widodo. Una mossa davvero a sorpresa, visto che in Indonesia la legge fissa a 40 anni l’età minima per correre alla vice-presidenza. Alla vigilia della presentazione dei candidati, la Corte Costituzionale ha però deciso che quel limite non si doveva applicare a quelli che hanno già vinto un’elezione locale. 

E gli sfidanti? Ganjar Pranowo è il candidato del Partito Democratico di Lotta indonesiano al potere. La sua lunga carriera nel servizio pubblico, più recentemente come governatore di Giava Centrale, gli ha fatto guadagnare un seguito fuori dalla capitale Giacarta. Nei sondaggi di opinione è lui il secondo in classifica dietro Prabowo. E poi c’è la candidatura indipendente di Anies Baswedan, già alla guida del governo della capitale e per qualche mese anche ministro dell’amministrazione di Jokowi, prima di passare all’opposizione. 

Anche se oggi Prabowo è considerato il favorito, gli analisti si interrogano se davvero l’ex-generale riuscirà a conquistare gli elettori che negli ultimi dieci anni hanno voluto premiare l’agenda liberale e riformista di Widodo. Se mercoledì 14 febbraio nessuno riuscirà a ottenere la maggioranza assoluta dei voti, l’Indonesia tornerà alle urne a giugno per il ballottaggio. Ad agosto, invece, la capitale si sposterà da Giacarta a Nusantara, nel Borneo: l’ultima eredità di Widodo, che spera però di vedere continuare la sua dinastia politica col figlio alla vicepresidenza.

Elezioni in Indonesia: i temi del voto

Mercoledì 14 febbraio si svolgono le presidenziali indonesiane. Il voto è molto atteso per capire chi sarà il successore di Joko Widodo

Di Aniello Iannone

Il 12 dicembre, il dibattito presidenziale in Indonesia ha visto riuniti i candidati presidenziali Ganjar Pranowo (PDI-P), Prabowo Subianto (Gerindra) e Anies (coalizione AMIN composta da (PAN): il Partito dell’Impegno Nazionale, un partito nazionalista moderato e islamico, e (PKS): il Partito della Giustizia e della Prosperità, un partito politico islamico che si basa sui principi dell’Islam e cerca di attuare politiche in linea con i valori islamici nella società e nel governo. Il candidato alla vicepresidenza accanto ad Anies Baswedan, Muhaimin Iskandar, è il segretario del partito. Infine, il (PPP): il Partito dell’Unità e dello Sviluppo, è un partito politico formato da organizzazioni islamiche, le cui politiche sono incentrate sui principi dell’Islam e sulla partecipazione attiva alla costruzione e allo sviluppo della nazione. ), i quali hanno dibattuto su questioni politiche indonesiane. Tra i temi discussi la lotta alla corruzione, la protezione delle minoranze, la questione di Papua, l’indice di democrazia e lo sviluppo economico. Sebbene il dibattito abbia evidenziato le differenze nei programmi dei candidati, la questione etica, in particolare legata a Gibran, figlio di Joko Widodo e candidato vicepresidente, ha aggiunto una complessità unica in vista delle imminenti elezioni, tra le più significative post-Soeharto.

Questioni familiari

La scelta del vicepresidente assume un ruolo cruciale nelle elezioni indonesiane, coinvolgendo in particolare coloro che potrebbero non identificarsi completamente con il candidato presidenziale. Tale dinamica è emersa chiaramente durante le elezioni del 2019, soprattutto dopo lo scandalo del caso Ahok, ex governatore di Jakarta che nel 2018 fu accusato di blasfemia, dal quale Joko Widodo ha dovuto affrontare instabilità e critiche politiche, specialmente da parte di gruppi musulmani radicali in Indonesia, come il Fronte di Difesa Musulmano,  che lo accusavano di essere comunista e di discendenza cinese. L’utilizzo dell’identità politica in Indonesia riflette parzialmente il processo storico e politico del paese, non basato su un’ideologia narrativa, bensì sull’identità politica. 

In questo contesto, durante la campagna elettorale del 2019, Jokowi ha scelto Ma’ruf Amin, un alto rappresentante dell’organizzazione musulmana indonesiana, come strategia per guadagnare il sostegno di una popolazione musulmana scettica verso il suo partito. Tale scelta si è rivelata efficace, sebbene abbia suscitato domande da parte di nazionalisti che faticano a identificare una connessione identitaria tra PDI-P e Ma’ruf Amin.

La situazione politica in Indonesia ha raggiunto situazioni in parte paradossali. Dopo la sconfitta alle elezioni del 2019, Prabowo, il candidato sconfitto, ha sorprendentemente assunto l’incarico di Ministro della Difesa nel governo Jokowi 2.0, un ruolo chiave che ha contribuito a ridurre e indebolire l’opposizione. Questo evento, insieme alle manovre strategiche successive durante la campagna elettorale del 2024, ha sollevato sospetti sulla direzione della politica indonesiana. L’ombra di Jokowi si proietta sulle elezioni del vicepresidente, con Gibran, figlio,  attuale sindaco di Surakarta, proposto come candidato vicepresidente.

Gibran, attualmente 36enne, non avrebbe dovuto potersi candidare poiché al di sotto del limite di età consentito dalla costituzione indonesiana per diventare vicepresidente, cioè 40 anni. Tuttavia, attraverso una riforma legislativa, il giudice della Corte Costituzionale Anwar Usman, (marito di Idayati, sorella del Presidente Joko Widodo) ha avviato l’iniziativa di modificare le regole a vantaggio di Joko Widodo e Gibran. Questa manovra ha comportato la riduzione dell’età minima per candidarsi da 40 a 35 anni, con disposizioni speciali che richiedono almeno un mandato come sindaco. Nella pratica, si tratta di una legge ad-hoc progettata appositamente per Gibran. 

A pochi mesi dal 14 febbraio, giorno delle elezioni,  il panorama politico in Indonesia si prepara ad affrontare inevitabili conflitti tra coalizioni e alleanze. Joko Widodo sembra sempre vicino  al partito Gerindra piuttosto che al PDIP. Se Prabowo-Gibran dovessero vincere, è probabile che Joko Widodo assuma un ruolo chiave, forse in un ministero, agendo come mediatore tra Gibran e Prabowo, formando un terzo mandato sfumato. Tuttavia, la prospettiva della vittoria di Prabowo-Gibran solleva domande non solo politiche, ma anche sociali. Sorgono interrogativi su quali fattori spingano la popolazione a votare per un partito composto da una persona accusata di violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità, come Prabowo, e un giovane cresciuto all’ombra del padre.

Questa situazione pone domande interessanti sulla consapevolezza politica e sociale degli elettori indonesiani. Affidare responsabilità politiche a leader con una storia controversa e la promozione di un erede politico diventano elementi di riflessione profonda nel contesto del quadro democratico del paese. Si auspica che la comunità sia in grado di valutare il peso delle considerazioni morali e dei diritti umani nel contesto delle loro scelte politiche, aprendo forse un nuovo capitolo nella storia politica dell’Indonesia. L’esito delle imminenti elezioni non determinerà solo la composizione del governo, ma potrà anche influenzare la percezione internazionale dell’Indonesia e la sua posizione nel panorama politico globale. Resta ancora un grande punto interrogativo su come la società indonesiana risponderà a questa cruciale sfida e su come i risultati delle elezioni modelleranno il futuro del Paese.