Asean

L’Intelligenza Artificiale avanza nel Sud-Est asiatico

I Paesi ASEAN, con la loro popolazione giovane e tecnologica, stanno accelerando lo sviluppo di nuove applicazioni dell’IA.

Di Anna Affranio

La spinta a investire nell’intelligenza artificiale sta crescendo nel Sud-Est asiatico e la pandemia COVID-19 ha aumentato la tendenza delle organizzazioni pubbliche e private ad adottare tali soluzioni. Ma cos’è di preciso l’intelligenza artificiale?

Per Intelligenza Artificiale (IA) si intende la capacità di istruire le macchine a svolgere funzioni simili al ragionamento umano. Queste funzioni sono ampiamente utilizzate per scopi industriali e commerciali (ad esempio, per ottimizzare la logistica, gli inventari o le vendite), ma anche per scopi politici.

L’IA è già molto diffusa in Asia, dove la Cina è il secondo Paese al mondo, immediatamente dopo gli Stati Uniti,  in quanto ad utilizzo di queste tecnologie. Qui, importanti aziende come Alibaba, Baidu e Tencent sono alla costante ricerca di nuove e creative soluzioni per integrare l’IA nei loro servizi. Ma i Paesi del Sudest Asiatico non sono da meno: secondo la società di consulenza Kearney, l’intelligenza artificiale potrebbe contribuire all’economia dell’ASEAN per 1.000 miliardi di dollari entro il 2030. 

Gli utilizzi di queste tecnologie sono molteplici, e spaziano dall’intrattenimento alla sorveglianza. Per esempio, la stazione radio Fly FM della Malesia ha presentato Aina Sabrina, la prima DJ radiofonica del Paese dotata di intelligenza artificiale. In Thailandia, invece, la città di Bangkok ha lanciato una rete di telecamere a circuito chiuso alimentate dall’intelligenza artificiale per impedire ai motociclisti di circolare sulle strisce pedonali e garantire il rispetto del codice della strada.

Ma l’adozione dell’IA nei più svariati settori e il suo straordinario sviluppo, per le implicazioni che evidentemente comporta,  non è priva di rischi. Si teme infatti il potenziale oltremodo pericoloso che questa tecnologia potrebbe avere nelle mani sbagliate, se non adeguatamente regolamentata. Per esempio, i manifestanti nelle proteste in Myanmar temono di essere tracciati con la tecnologia di riconoscimento facciale, inasprendo così la repressione per la maggiore facilità di identificare e perseguire  gli oppositori alla dittatura militare. Alcuni gruppi di attivisti per i diritti umani affermano infatti  che l’uso dell’intelligenza artificiale per controllare i movimenti dei cittadini rappresenta una “grave minaccia” per la loro libertà. Inoltre, politici e società civile hanno espresso particolare preoccupazione per il potenziale pericoloso che può avere questa tecnologia in un processo di “industrializzazione” della disinformazione. 

Appare quindi evidente la necessità di formulare piani per gestire questo fenomeno dirompente. Singapore, Indonesia e Malesia sono stati i primi Paesi a lanciare una strategia nazionale per l’intelligenza artificiale, e si prevede che altri Paesi seguano l’esempio. A livello regionale, tuttavia, gran parte del lavoro è ancora da fare. Un portavoce del Ministero delle Comunicazioni e dell’Informazione di Singapore ha dichiarato che il Paese collaborerà con gli altri Stati dell’ASEAN “per sviluppare una ‘Guida ASEAN sulla governance e l’etica dell’IA’ che servirà come passo pratico e fattibile per sostenere la diffusione affidabile di tecnologie IA responsabili e innovative nell’ASEAN”. Questo dovrà includere anche la formazione di nuovi talenti che siano preparati all’implementazione di questa tecnologia, ma data l’età media della popolazione del Sud-Est asiatico, che è giovane e già esperta di tecnologia digitale, il potenziale bacino da cui attingere è davvero molto alto.

ASEAN epicentro di stabilità e crescita

Pubblichiamo uno stralcio dei discorsi del Presidente indonesiano Joko Widodo durante il 43° summit ASEAN di Giacarta

Un proverbio indonesiano dice che un vicino è come un parente stretto, e un vicino stretto è più importante di un parente lontano. Sono dell’idea che il proverbio sia molto, molto pertinente per l’ASEAN, che 56 anni fa ha giurato la sua parentela con il nome della famiglia ASEAN. Come famiglia, a mio avviso, l’ASEAN rientra nella categoria delle famiglie armoniose, delle famiglie forti e delle famiglie di alto livello. L’ASEAN ha dimostrato di essere una regione pacifica, stabile e in crescita. Si stima che la crescita economica dell’ASEAN nel 2024 sarà la più alta al mondo, raggiungendo il 4,5% (anno su anno). L’ASEAN è anche la regione più attraente per gli investimenti diretti esteri (IDE). Entro il 2022, il 17% degli IDE sarà destinato all’ASEAN. Si tratta della percentuale più alta rispetto ad altre regioni in via di sviluppo. L’ASEAN gode anche di un bonus demografico, con la terza forza lavoro più grande al mondo e il 65% della sua popolazione ha il potenziale per diventare una classe media nel 2030. Dobbiamo plaudere a tutto ciò, perché tutto questo fa parte del capitale dell’ASEAN per raggiungere il suo obiettivo di diventare l’epicentro della crescita. Tuttavia, in una situazione globale turbolenta, l’ASEAN non dovrebbe procedere come al solito. L’ASEAN ha bisogno di una strategia straordinaria, una strategia tattica straordinaria. Abbiamo bisogno di una collaborazione più solida; non possiamo farcela da soli. Una forte cooperazione tra i Paesi, la comunità imprenditoriale e il pubblico della regione è importante per attuare la strategia tattica. Siamo tutti consapevoli della portata delle attuali sfide globali, la cui chiave principale per affrontarle è l’unità e la centralità dell’ASEAN. L’ASEAN deve essere in grado di lavorare di più, essere più unita, essere più coraggiosa e più agile. Oltre a ciò, l’ASEAN ha bisogno di un programma a lungo termine che sia pertinente e in linea con le aspettative della popolazione, non solo per i prossimi cinque anni, ma anche per i prossimi 20 anni, fino al 2045. L’ASEAN, in quanto parte della regione indo-pacifica, continua a lavorare sodo, sia utilizzando un approccio inclusivo attraverso la cooperazione del Segretariato dell’ASEAN con il Segretariato del Forum delle Isole del Pacifico (PIF) e dell’Associazione del Bacino dell’Oceano Indiano (IORA), sia un approccio economico e di sviluppo attraverso il Forum indo-pacifico dell’ASEAN (AIPF), in modo che l’ASEAN possa avere un impatto sui suoi cittadini e sul mondo. L’ASEAN, in quanto grande nave, ha anche una grande responsabilità nei confronti delle centinaia di milioni di persone che vi navigano insieme. E, anche se dobbiamo navigare nel bel mezzo di una tempesta, noi leader dell’ASEAN dobbiamo assicurarci che questa nave sia in grado di continuare a muoversi e a navigare. E dobbiamo essere i capitani delle nostre navi per concretizzare la pace, la stabilità e la prosperità condivisa.

Il nuovo enorme canale che connette Cina e ASEAN

Lanciato lo scorso anno, il progetto evidenzia lo spostamento dell’attenzione di Pechino verso il miglioramento della connettività marittima. 

Il canale Pinglu si estenderà per oltre 134 chilometri dal bacino idrico di Xijin, vicino alla capitale del Guangxi, Nanning, fino al porto di Qinzhou nel sud, integrando le autostrade e le ferrovie esistenti per lo spostamento delle merci. L’enorme canale da 10,3 miliardi di dollari avrà chiuse in grado di ospitare navi mercantili da 5 mila tonnellate. Ciò dimostrerebbe – secondo gli osservatori – lo spostamento dell’attenzione di Pechino verso il miglioramento della connettività marittima per la sua Belt and Road Initiative, a discapito delle rotte terrestri. I funzionari affermano che il canale ridurrà di 560 km la distanza di navigazione tra le reti fluviali interne e il mare, rispetto al passaggio attraverso Guangzhou, con un conseguente risparmio che arriverebbe fino a 5,2 miliardi di yuan all’anno.  

Creando un comodo ed economico accesso vicino al Sud-Est asiatico, il canale Pinglu promette anche di rilanciare le industrie nel Guangxi e in altre parti della Cina occidentale, relativamente meno sviluppata.
Inoltre, le dinamiche geopolitiche potrebbero rendere ancora più urgente la realizzazione del progetto.

Come emerso a metà maggio vertice del Gruppo dei Sette a Hiroshima, così come gli Stati Uniti e gli alleati occidentali sono determinati a “ridurre i rischi” dalla Cina, anche Pechino mira a ridurre le proprie dipendenze commerciali. In un rapporto pubblicato a marzo dal Peterson Institute for International Economics, gli analisti hanno affermato che “entrambe le parti hanno la stessa paura, che l’altra usi improvvisamente i flussi commerciali come arma – tagliando le importazioni o le esportazioni – in nome della sicurezza”.

Il canale mira a rafforzare il commercio già in crescita con gli Stati dell’ASEAN, che sono tutti uniti alla Cina nell’ambito del quadro di libero scambio del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), hanno affermato i funzionari. L’ASEAN e la Cina sono ora diventati i maggiori partner commerciali l’uno dell’altro, con un aumento del commercio bidirezionale del 52% dal 2019 al 2022, superando l’aumento del 20% con l’Unione europea.

Oltre a ridurre la dipendenza della Cina dal commercio con l’Occidente, alcuni affermano che intensificare gli affari con il Sud-Est asiatico potrebbe anche attenuare i contrasti tra Pechino e diversi governi della regione. Secondo Phar Kim Beng, CEO della Malaysian consultancy Strategic Pan Indo-Pacific Arena (SPIPA), la Cina e alcuni paesi dell’ASEAN hanno bisogno di tale cooperazione per attenuare l’asprezza dei loro disaccordi territoriali nelle isole Spratly e Paracel, nel Mar Cinese Meridionale. 

Come osservato da Yang del Danish Institute, le lezioni della pandemia hanno ulteriormente spinto le autorità a rafforzare le infrastrutture di trasporto. Le restrizioni del COVID-19 in Cina hanno causato gravi interruzioni della catena di approvvigionamento poiché la logistica era concentrata nei porti chiave della costa orientale del Paese. A suo parere, in seguito alle difficoltà della Cina a gestire la logistica globale durante il COVID, risulta quindi necessario rafforzare alcuni porti in Cina in modo che non faccia affidamento sui porti più grandi di Shanghai.

In effetti, il canale è solo una parte di uno sforzo ben più grande per creare un efficiente corridoio terra-mare. I funzionari del governo del Guangxi affermano che il corridoio emergente ha già accelerato la logistica, abbreviando la durata delle spedizioni da Chongqing – nella Cina occidentale – a Singapore da ventidue a sette giorni. Tuttavia, anche con tali miglioramenti, alcuni esperti avvertono che i pieni vantaggi economici del canale e delle infrastrutture portuali ad alta tecnologia non saranno risolti automaticamente.

Secondo Stephen Olson – ricercatore presso la Hinrich Foundation di Singapore – potrebbero esserci dei limiti alla crescita del commercio con il blocco del Sud-Est asiatico, poiché “la costruzione di infrastrutture efficienti non può da sola creare sinergie commerciali dove non esistono, né può creare industrie competitive in ASEAN, che siano in grado di produrre ciò che gli importatori cinesi richiederanno. L’economia cinese è molto più grande di qualsiasi singola economia dell’ASEAN, e questo crea un effetto leva che a volte può portare a rapporti commerciali sbilanciati e insostenibili”. Olson ha anche espresso scetticismo sugli sforzi sia degli Stati Uniti che della Cina per avvicinare i paesi dell’ASEAN alla loro parte. “Per la maggior parte dei Paesi dell’ASEAN, i loro interessi nazionali sono tutelati rimanendo seduti sulla recinzione e mantenendo solidi legami economici e strategici con entrambi”, ha affermato. 

Un altro aspetto preoccupante è rappresentato dai costi ambientali e finanziari. Uno studio pubblicato nel 2022 dal Transport Planning and Research Institute, sotto il Ministero dei Trasporti cinese, ha segnalato una serie di potenziali effetti collaterali del canale, tra cui l’isolamento o la distruzione degli habitat naturali, i cambiamenti nell’ecologia dell’area, la riduzione della vegetazione, e polvere o altro inquinamento causato dalle navi in transito. Tuttavia, gli autori hanno sostenuto che, a seconda del percorso, i rischi dovrebbero essere “controllabili”, pur osservando che potrebbero essere creati “abbondanti ambienti di zone umide” per mitigare l’impatto. I funzionari del progetto hanno promesso di costruire anche paradisi di conservazione per salvaguardare l’ecologia.

Il conto stimato di 10,3 miliardi di dollari per il progetto del canale arriva con un maggiore controllo della salute fiscale dei governi locali cinesi, ora che le restrizioni sociali legate alla pandemia sono state revocate, e il settore immobiliare sta subendo un grave rallentamento. 

Secondo il portale di ricerca di dati aziendali Aiqicha.com, il progetto del canale è sostenuto dalle istituzioni statali nel Guangxi, incluso il Guangxi Beibu Gulf Investment Group. Al gruppo a dicembre è stato assegnato un rating Baa3 nella sua prima valutazione da parte di Moody’s. Il rating è stato sostenuto dal governo del Guangxi, sebbene l’agenzia abbia notato “la rapida crescita del debito del gruppo legata ai suoi investimenti in progetti di politica pubblica”.

A parte questo, sia i produttori stranieri che quelli locali di Qinzhou affermano di iniziare a sentire sia gli effetti delle nuove strutture portuali, che le conseguenze del RCEP. L’accordo commerciale, firmato anche da Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, entrato in vigore lo scorso anno, elimina il 90% delle tariffe sulle merci scambiate tra i firmatari. “Lo sdoganamento fiscale è stato ridotto da tre giorni a solo uno-due minuti”, ha dichiarato Zhou Ju, un funzionario di Asia Pulp and Paper a Qinzhou, sostenuto dal conglomerato indonesiano Sinar Mas Group. Secondo Zhou, ciò è dovuto al certificato di origine, in quanto la documentazione di esportazione è disponibile online sotto RCEP.

I funzionari insistono sul fatto che il canale Pinglu permetterà alla Cina di ottenere guadagni ancora maggiori dal RCEP. 

Come è andato il summit dell’ASEAN

Si è svolto a Giacarta, in Indonesia, il 43esimo vertice dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico. Sottoscritti diversi accordi dentro e fuori dal gruppo

Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti

Ancora unito, nonostante le differenze. Joko Widodo, Presidente dell’Indonesia e padrone di casa del 43esimo summit dell’ASEAN, ha definito così il blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico. Un blocco non nel senso geopolitico del termine, visto che l’ASEAN più di tutti promuove una terza via fatta di non competizione ma semmai di cooperazione. All’interno e all’esterno dell’Associazione, come dimostrano i risultati raggiunti durante il vertice che si è svolto nei giorni scorsi a Giacarta. Almeno 93 progetti, per un valore complessivo di 38,2 miliardi di dollari, sono stati identificati al Forum indo-pacifico dell’ASEAN, una piattaforma per i membri del blocco per mobilitare finanziamenti pubblici e privati e promuovere una più profonda cooperazione economica. Inclusi piani industriali, infrastrutturali e sulla transizione energetica. Sono state inoltre discusse altre 73 opportunità potenziali, per un valore di 17,8 miliardi di dollari. Adottate dichiarazioni su uguaglianza di genere, sostenibilità, cooperazione agricola, sicurezza alimentare e cambiamento climatico. Inoltre, durante l’incontro ASEAN +3, che oltre ai Paesi del Sud-Est include anche Cina, Giappone e Corea del Sud, è stato concordato di lavorare insieme per sviluppare un ecosistema di veicoli elettrici. Un tema cruciale per lo sviluppo economico e tecnologico del futuro prossimo, con un occhio alla sostenibilità. E, soprattutto, un settore nel quale il Sud-Est asiatico sembra destinato a giocare un ruolo di assoluto protagonista. Non è tutto. Con Pechino, alla presenza del Premier Li Qiang, è stata rilasciata una dichiarazione congiunta ASEAN-Cina sulla cooperazione reciprocamente vantaggiosa nell’Indo-Pacifico. Con Pechino si discute anche del rinnovamento dell’accordo di libero scambio entro il 2024 e di nuovi importanti investimenti sul settore strategico dei microchip. Risultati interessanti anche a livello bilaterale. Le Filippine hanno firmato un accordo di libero scambio con la Corea del Sud, mentre l’Indonesia ha chiesto agli Stati Uniti di avviare colloqui su un accordo commerciale sulle risorse minerarie. Sul fronte diplomatico, l’Australia ha annunciato che ospiterà i leader ASEAN a Melbourne il prossimo marzo per un vertice speciale in occasione dei 50 anni di relazioni. Sullo sfondo, ma neanche troppo, resta irrisolta la vicenda della crisi in Myanmar, su cui è stata predisposta la revisione del consenso in 5 punti del 2021. Permangono anche le tensioni sul Mar Cinese Meridionale, anche a causa della competizione tra Cina e Stati Uniti. Competizione in cui, come ribadito da Widodo nel suo discorso conclusivo, l’ASEAN gioca un ruolo da “teatro di pace e inclusione”.

Il Sud-Est asiatico faro di crescita

La regione sta beneficiando di una ristrutturazione delle catene di approvvigionamento globali, poiché si trova all’incrocio di due dei più grandi accordi di libero scambio del mondo

Di Tommaso Magrini

A un anno e mezzo dall’inizio di uno storico ciclo di rialzo dei tassi d’interesse, le prospettive economiche del Sud-Est asiatico continuano a distinguersi in un mondo caratterizzato da un’inflazione elevata e da una domanda debole. Lo mette in luce un editoriale pubblicato su Nikkei Asia, che sottolinea come HSBC prevede che le sei maggiori economie del Sud-Est asiatico – Indonesia, Thailandia, Malesia, Filippine, Singapore e Vietnam – cresceranno del 4,2% quest’anno e del 4,8% il prossimo. Questo ritmo supererebbe di gran lunga l’espansione dell’1,1% prevista per il mondo sviluppato nel 2022 o lo 0,7% stimato per l’anno prossimo. Questa accelerazione è tanto più notevole se si considera che gli afflussi di dollari del turismo cinese non sono tornati nel Sud-Est asiatico come previsto. Una ripresa del turismo sarebbe certamente una manna per il Sud-Est asiatico. Ma nel frattempo, il commercio, la transizione energetica e la trasformazione digitale sono destinati ad alimentare la crescita economica della regione per i decenni a venire e a garantire che questa dinamica regione rimanga un motore di crescita globale. Il Sud-Est asiatico ha fatto molta strada come hub manifatturiero. Oggi rappresenta l’8% delle esportazioni globali e dal 2020 ha superato l’Unione Europea come principale partner commerciale della Cina. La regione sta beneficiando di una ristrutturazione delle catene di approvvigionamento globali, poiché si trova all’incrocio di due dei più grandi accordi di libero scambio del mondo, il Partenariato economico globale regionale (RCEP) e l’Accordo globale e progressivo per il Partenariato trans-pacifico. Il RCEP in particolare, con le sue riduzioni tariffarie e le sue regole di origine favorevoli alle imprese, sta aumentando l’attrattiva del Sud-Est asiatico come base produttiva, un fatto che sempre più aziende stanno riconoscendo. Secondo una recente indagine di HSBC, le aziende dell’Asia-Pacifico prevedono di basare il 24,4% delle loro catene di fornitura nel Sud-Est asiatico nei prossimi uno o due anni, rispetto al 21,4% del 2020.

Che cosa aspettarsi dal summit dell’ASEAN

Dal 5 al 7 settembre in programma il 43esimo vertice dei Paesi del Sud–Est asiatico a Giacarta, in Indonesia. Obiettivo: preparare il blocco alle sfide dei prossimi 20 anni

La Presidenza di turno dell’ASEAN, l’Indonesia, ha dichiarato di aver invitato 27 leader mondiali e direttori esecutivi di organismi internazionali al 43° vertice dell’ASEAN a Giacarta, in programma dal 5 al 7 settembre. I tre giorni di colloqui non riuniranno solo i leader degli Stati membri dell’ASEAN, ma anche i partner esterni del blocco. Anche le istituzioni finanziarie globali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), sono invitate al dialogo. “Ci aspettiamo la partecipazione dei leader di 27 Paesi e organizzazioni internazionali al prossimo vertice”, ha dichiarato Sidharto Suryodipuro, direttore generale per la Cooperazione ASEAN presso il Ministero degli Affari Esteri. Al vertice proseguiranno le discussioni sul rafforzamento della capacità e dell’efficacia istituzionale del blocco per aiutare l’organizzazione a rispondere alle sfide dei prossimi 20 anni. Suryodipuro ha dichiarato che l’Indonesia intende gettare le basi della cooperazione ASEAN per affrontare le sfide attuali e future. Il 43° vertice ASEAN vedrà anche il passaggio della presidenza del gruppo regionale al Laos, che avrà la guida del blocco per il 2024. Parallelamente, il Presidente Joko “Jokowi” Widodo guiderà 12 incontri durante i tre giorni del forum, tra cui il 18° vertice dell’Asia orientale. Oltre ai colloqui del gruppo con i partner di dialogo, tra cui Stati Uniti e India. Tra gli altri, dovrebbero esserci il Primo Ministro canadese Justin Trudeau e quello indiano Narendra Modi, nonostante pochi giorni dopo sarà chiamato a ospitare il summit del G20 a Nuova Delhi. India e ASEAN hanno peraltro da poco comunicato di voler aggiornare il loro accordo di libero scambio entro il 2025. Sembra invece che sarà assente Joe Biden, che ha scelto di viaggiare solo tra India e Vietnam nella sua trasferta asiatica di settembre. Una decisione che non farà piacere al padrone di casa indonesiano, anche se al suo posto arriverà comunque la Vicepresidente Kamala Harris, che ha viaggiato più volte nel Sud-Est asiatico dall’inizio del suo incarico. Giacarta sta intanto cercando di aderire all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Se il piano avrà successo, l’Indonesia diventerà il terzo Paese asiatico a entrare nell’organizzazione, dopo la Corea del Sud e il Giappone.

Cinque Paesi inaugurano la rete ASEAN per il pagamento tramite codice QR

Malesia, Indonesia, Thailandia, Singapore e Filippine hanno collegato le loro piattaforme nazionali per i pagamenti via QR code. I consumatori potranno pagare istantaneamente anche con una valuta straniera, con costi ridotti per loro e i venditori. La regione si conferma un polo fintech d’eccellenza mondiale.

Lo scorso giugno, Malesia e Indonesia hanno connesso le proprie piattaforme di pagamento digitale basate sulla tecnologia QR-code. Kuala Lumpur aveva  già completato la connessione con Singapore ad aprile e, ancor prima, con la Thailandia. Queste iniziative non sono isolate o bilaterali, ma fanno parte di un progetto coordinato a livello ASEAN e che coinvolge anche le Filippine. Cinque economie di primo piano della regione hanno deciso di coordinare gli standard tecnici delle rispettive piattaforme nazionali così da creare una rete che permetta di pagare con il proprio provider nazionale i codici QR emessi in un altro Paese, rendendo anche istantanea la conversione delle valute. Il progetto era stato annunciato lo scorso anno in occasione del summit G20 dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali presieduto dall’Indonesia. I cinque partner intendono proseguire nel progetto e, in futuro, i consumatori potrebbero anche fare bonifici istantanei o comprare le valute digitali nazionali grazie alla connessione tra piattaforme. E altri Paesi potrebbero connettersi.

L’iniziativa ASEAN si inserisce in un contesto globale di rapido sviluppo dei codici QR, sempre più utilizzati per i pagamenti digitali. Questo metodo di pagamento potrebbe spostare, entro il 2025, 3 trilioni di dollari a livello mondiale. Il suo principale punto di forza è l’accessibilità, dato che, in certe regioni del mondo, è molto più facile avere uno smartphone che una carta di credito. Tale condizione potrebbe spingere il Sud Est asiatico a “guidare una rivoluzione dei pagamenti digitali”. Più del 50% dei consumatori ASEAN che vivono nelle aree urbane utilizza già e-wallet per i propri pagamenti e il numero dovrebbe raggiungere l’84% per il 2025. I numeri non sono altrettanto impressionanti nelle zone rurali, dove nel 2020 meno del 20% dei consumatori usa e-wallet, ma il numero dovrebbe arrivare a sfiorare il 60% nel 2025. Questa tendenza è in linea con quanto sta succedendo anche in Cina con Alipay e WeChat. Il principale freno a questa conversione è lo scetticismo degli esercenti che ritengono le transazioni ancora poco affidabili e troppo costose e che quindi non accettano i metodi elettronici. L’adozione dei QR-code e la loro connessione a livello ASEAN però fornisce una risposta a tali preoccupazioni e contribuirà senz’altro a diffondere i portafogli digitali. I sostenitori dei codici QR affermano poi che il metodo è anche più sicuro, dato che si forniscono meno dati personali ai venditori.

Tale “rivoluzione” avrà un impatto sul futuro sviluppo di molti settori dell’economia, creando vincitori e vinti. Le banche tradizionali, già poco presenti in certe aree dei Paesi ASEAN, rischiano di essere sostituite dai concorrenti fintech. Per pagare con la carta di credito o ritirare contanti da uno sportello, servono un conto corrente e una rete fisica di distribuzione. Due ostacoli non facili da superare per le banche tradizionali, per i costi e la difficoltà nel reperire informazioni sull’affidabilità creditizia dei potenziali clienti. Le società fintech invece non sono “appesantite” da queste esigenze e possono più agilmente attrarre i nuovi clienti del Sud Est asiatico – ed estrarre valore dai dati delle loro transazioni. Si tratta di un mercato dalle immense potenzialità e “sbloccarlo” permetterà alle aziende dell’ASEAN di crescere ancora di più e alla regione di consolidare la sua posizione come laboratorio mondiale per il digitale e il fintech.

Queste iniziative però hanno anche una dimensione politica. I codici QR riducono i costi delle singole transazioni e, come detto, sono facilmente accessibili anche per le persone normalmente escluse dai circuiti bancari tradizionali. La cosiddetta “inclusività finanziaria”, ossia rendere il sistema finanziario accessibile anche al ceto medio e a chi vive nelle aree rurali, è un obiettivo strategico per i governi ASEAN e potrà rendere le loro economie più prospere e competitive. Inoltre, il fatto poi che il coordinamento degli standard tecnici sia avvenuto a livello ASEAN e non meramente bilaterale è prova delle potenzialità dell’organizzazione come foro per discutere e rafforzare l’integrazione regionale, sia economica sia digitale. Si tratta comunque di un progetto ristretto ad alcune tra le economie più competitive e affini tra loro dell’organizzazione. Quali altre piattaforme nazionali potrebbero aggiungersi nel futuro? Il Vietnam ha già lavorato con la Thailandia per connettere i loro sistemi di pagamento QR e, se parteciperà alla rete con gli altri quattro Paesi, tutte le economie più ricche della regione ne farebbero parte. Più difficile è il coinvolgimento dei Paesi più piccoli e con meno risorse.

L’impatto politico di questa iniziativa però va ben oltre l’ASEAN. Il coordinamento delle piattaforme QR permette ai consumatori di pagare il conto in una valuta straniera istantaneamente e con tassi di cambio minimi. Il sistema, in concreto, procede a convertire le valute ASEAN direttamente, senza passare per l’intermediazione del dollaro. La digitalizzazione dei flussi di denaro, quindi, è un ulteriore sfida alla centralità della moneta americana negli scambi internazionali. Infine, il rafforzamento dell’ASEAN come polo digitale innovativo e dinamico accresce il ruolo della regione nella definizione degli standard tecnologici del futuro. Forse, persino capace di ritagliarsi uno spazio in mezzo al duopolio USA-Cina. Coordinare e rendere più facili i pagamenti elettronici crea nuove opportunità. È curioso osservare che, invece, in Italia e in altri Paesi europei talvolta è ancora difficile pagare con la carta di credito e proteggere il ruolo del contante è un tema politico. Un approccio completamente opposto al dinamismo dimostrato dalle aziende e i governi asiatici e che rallenta la corsa delle nostre economie verso la nuova “rivoluzione” digitale.

UE-ASEAN, verso nuove forme di cooperazione?

Pubblichiamo qui un estratto dall’introduzione del report di Carnegie Endowment for International Peace: “Ripensare le relazioni UE-ASEAN: Sfide e opportunità”

L’Unione europea (UE) e l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) hanno formalmente segnato quasi mezzo secolo di legami diplomatici alla fine del 2022. Il vertice commemorativo dei quarantacinque anni dei due blocchi si è tenuto a Bruxelles. Paradossalmente, nonostante l’intensificarsi delle tensioni sulla sfera della sicurezza in entrambe le regioni, il dossier della sicurezza non ha avuto un ruolo centrale nell’agenda UE-ASEAN. Ciò è sintomatico non solo del modo in cui le due organizzazioni considerano le rispettive capacità e interessi in ciascuna regione, ma anche del modo in cui le relazioni sono andate finora. Si è assistito a una serie di alti e bassi, con molte delle questioni più controverse – in particolare quelle spinose relative alla democrazia e ai diritti umani – lasciate al vaglio dei diplomatici o affrontate dalla società civile, data la sensibilità a livello politico. L’asse principale delle relazioni UE-ASEAN si è concentrato soprattutto sul commercio e sugli investimenti, riflettendo la competenza dell’UE nei confronti dei suoi Stati membri e le aree in cui l’ASEAN nel suo complesso ha un margine di manovra leggermente più ampio. Nonostante l’incapacità di portare avanti un accordo di libero scambio (FTA) tra l’UE e l’ASEAN, in fase di stallo dal 2007, l’UE ha fatto passi avanti con FTA bilaterali con singoli Stati membri dell’ASEAN, tra cui Singapore e Vietnam. Sul fronte della politica estera, sia l’UE che l’ASEAN devono affrontare delle difficoltà. I membri dell’UE non hanno mai fatto passi avanti nel cedere il pieno controllo dell’impegno esterno al braccio esecutivo dell’Unione. Nonostante la ratifica del Trattato di Lisbona nel 2009, gli Stati membri dell’UE hanno continuato a mantenere la competenza nazionale sulle molte sfide che riguardano la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione. L’ASEAN agisce in modo molto simile, ma favorisce in modo molto più deciso le prerogative dei singoli Stati membri. E non c’è mai stata alcuna ambizione o tentativo coordinato di esternalizzare l’impegno di politica estera dell’ASEAN al segretariato regionale. Tuttavia, nell’ultimo decennio circa, i paesaggi geopolitici in Europa e in Asia sono cambiati in modo significativo, lasciando l’UE e l’ASEAN esposte a vulnerabilità economiche e di sicurezza critiche sulle quali hanno un controllo limitato. Per questo l’UE e l’ASEAN possono lavorare insieme e creare uno spazio che sia fondato sulla loro cooperazione. L’UE e l’ASEAN hanno un bisogno reciproco della presenza dell’altro negli affari internazionali e di una relazione basata su una vera cooperazione e sulla realizzazione di risultati concreti.

Il futuro dei giovani dell’ASEAN

La crescita economica dei Paesi del Sud-Est asiatico dipenderà in gran parte dalla capacità dei governi di valorizzare i propri giovani 

Il Sud-Est asiatico è una delle regioni più dinamiche e in più rapida crescita del mondo dal punto di vista del mercato del lavoro. Con un totale di circa 700 milioni di persone, la regione ha una popolazione giovane, dinamica e sempre più istruita. Dal 1950 al 2020 la popolazione del Sud-Est in età lavorativa è cresciuta da 95 milioni a 453 milioni. Poiché la popolazione in età lavorativa è cresciuta più velocemente di quella non in età lavorativa, l’indice di dipendenza dell’economia, ossia il rapporto tra persone considerate “non autonome” a causa dell’età e persone invece abili al lavoro è calato portando a una fase di crescita economica.

Purtroppo, però, tale condizione favorevole dal punto di vista demografico non è destinata a durare ancora a lungo. In Thailandia, per esempio, si stima che già nel 2050 il numero di persone nella fascia di età 20-64 anni sarà del 21% inferiore rispetto al 2020. Inoltre, se al momento l’età media nei Paesi ASEAN risulta essere di 30 anni nel 2050 arriverà a 37,3 anni mostrando che anche i paesi del Sud-Est asiatico andranno verso una fase caratterizzata da un progressivo invecchiamento della popolazione in cui la crescita economica dipenderà in misura maggiore dal livello di produttività e di competenze dei giovani. Come dichiarato da Martijn Schouten, “workforce transformation leader” a Singapore per PWC, la necessità di un processo di processo di adeguamento e arricchimento delle competenze per creare una forza lavoro con competenze digitali e green non è mai stata così urgente, considerando l’impegno preso da molti Paesi ASEAN di passare a un’economia a zero emissioni. Tale transizione aggiungerà all’incirca 30 milioni di nuovi posti di lavoro nel Sud-Est asiatico entro il 2030. 

Per questo risulta fondamentale che i governi della regione del Sud Est asiatico investano nell’istruzione e nella formazione dei giovani al fine di aumentare la produttività e l’innovazione, favorendo una crescita economica dinamica e competitiva. Un’analisi condotta da PWC dimostra che un ampio investimento “nell’upskilling” avrebbe inoltre il potenziale di aumentare il PIL della regione del 4%, sbloccando così fino a 676.000 nuovi posti di lavoro entro il 2030. In termini di occupazione, i maggiori benefici si avrebbero in Indonesia, Vietnam e Filippine. 

Preso atto della situazione, molti Paesi del Sud-Est asiatico stanno agendo di conseguenza. Per esempio, in Malesia, dove gli under 35 costituiscono circa il 60% della popolazione, il governo ha stanziato 2.1 miliardi di ringgit di fondi al fine di mettere in condizione i giovani di diventare cittadini produttivi, innovativi e socialmente responsabili; tra questi, è previsto uno stanziamento di 500 milioni di euro per il Programma nazionale per le competenze digitali, finalizzato ad aiutare i giovani ad aggiornare le proprie competenze digitali. È previsto inoltre uno stanziamento di 150 milioni di euro per il Programma per l’imprenditoria giovanile, volto a sostenere i giovani imprenditori e le loro iniziative di start-up.  Il governo di Singapore ha invece stanziato 400 milioni di dollari in sovvenzioni dal Fondo per lo sviluppo del settore finanziario (FSDF) fino al 2025 per sostenere la formazione delle competenze dei professionisti nel settore finanziario. Il Ministero del Lavoro della Thailandia ha stretto una partnership con Microsoft Thailandia per fornire competenze digitali a 4 milioni di persone, al fine di sostenere settori chiave, tra cui la manifattura, creando nuovi posti di lavoro e opportunità commerciali. La prima fase della partnership ha potenziato le capacità digitali di 280.000 dipendenti thailandesi dal 2020 al 2022, ma un piano per creare ulteriori 180.000 opportunità lavorative è già in atto.

L’Ambasciatore Alessandro saluta il Vietnam

Il diplomatico italiano si prepara a lasciare Hanoi. Il commiato raccontato dai media vietnamiti

In Vietnam dal novembre del 2018, l’Ambasciatore italiano Antonio Alessandro, ha effettuato la scorsa settimana due importanti visite di commiato. Nello specifico al Presidente del Comitato del Popolo di Hanoi, Tran Sy Thanh, e al Ministro degli Affari Esteri, Bui Thanh Son. “Nel corso degli anni, gli scambi interpersonali hanno favorito la fiducia e la comprensione reciproca tra il Vietnam e l’Italia in generale, e tra Hanoi e Roma in particolare, aprendo la strada a un’ampia cooperazione in campo economico, commerciale e degli investimenti”,  ha dichiarato Tran Sy Thanh. Come racconta l’Hanoi Times, ha poi espresso gratitudine all’ambasciatore per le sue preziose intuizioni e ha riconosciuto il suo contributo allo sviluppo complessivo delle relazioni bilaterali tra le due nazioni. Con l’impegno di promuovere la cooperazione, Tran Sy Thanh ha assicurato che il governo locale continuerà a facilitare le attività dell’Ambasciata italiana ad Hanoi creando condizioni favorevoli. Il media vietnamita racconta che “durante l’incontro, l’Ambasciatore Antonio Alessandro ha espresso la sua profonda gratitudine e il suo senso di appartenenza dopo aver prestato servizio in Vietnam per oltre quattro anni, affermando di sentirsi un cittadino di Hanoi”. Alessandro ha poi affermato che l’Ambasciata d’Italia ha ricevuto un eccellente sostegno e collaborazione da parte del Comitato del Popolo di Hanoi, che ha portato a notevoli risultati nei vari campi della cooperazione tra Vietnam e Italia, che spaziano dalla cultura alla società, dall’economia al commercio e al turismo. Il commercio bilaterale tra Vietnam e Italia ha registrato una crescita positiva, con le imprese italiane che partecipano sempre più attivamente al mercato del Paese del Sud-Est asiatico. L’Ambasciatore ha poi anticipato nuovi progressi nelle relazioni tra Vietnam, Hanoi e diverse località italiane. Iniziative come il Memorandum d’intesa sulla cooperazione tra Roma e Hanoi e la candidatura di Roma a ospitare l’EXPO 2030 offrono prospettive promettenti per una maggiore cooperazione. Il tutto mentre proprio quest’anno si celebra il 50esimo anniversario dell’avvio delle relazioni diplomatiche ufficiali. Concludendo il suo intervento, racconta l’Hanoi Times, “Alessandro ha affermato che sebbene il suo mandato sia ormai concluso, il suo affetto e il suo legame con Hanoi e il Vietnam dureranno a tempo indeterminato”. 

I problemi di Barbie & co. con le mappe in Vietnam

Raffigurare il Mar Cinese Meridionale è una cosa delicata, viste le dispute territoriali tra alcuni Paesi dell’ASEAN e la Cina. E talvolta capita che film o band abbiano dei problemi 

Sarà anche uno “scarabocchio infantile”, come lo ha definito Warner Bros, ma tanto basta. La mappa che compare alle spalle di Barbie in una scena del trailer è stata sufficiente a far rimuovere il film dalle sale cinematografiche vietnamite. E non sono nemmeno nove tratti, ma otto. La loro posizione, accanto ad un parallelepipedo abbozzato con la scritta “Asia” trasmette un’immagine inequivocabile: quella è la “nine-dash line”, la linea di demarcazione di quei territori nel Mar Cinese meridionale che la Cina rivendica come suoi. 

Prima sono scomparsi i poster dai cinema, poi lunedì 26 giugno è arrivata la notizia definitiva: il film di Greta Gerwig non verrà distribuito “a causa di alcune scene raffiguranti la mappa con la nine-dash line , considerata una violazione della sovranità territoriale del Vietnam”. Parola del Consiglio nazionale per la valutazione e la classificazione dei film. Anche i social hanno favorito la prospettiva governativa: rammaricati ma infuriati con i produttori, i netizen vietnamiti si sono altrettanto dimostrati offesi dalla cartina pro Cina.

Anche Manila ha considerato l’opzione della censura totale. “La mappa legittima le rivendicazioni cinesi, che nessun governo al mondo sostiene” ed è “offensiva per tutti” i paesi della regione, sostiene l’analista militare José Antonio Custodio. Si tratta di mercati minori, ma non così indifferenti, spiega Hollywood Reporter: un cult hollywoodiano nelle Filippine e in Vietnam può aggiungere al bilancio di Warner Bros tra i cinque e i dieci milioni di dollari. Un bel rischio se l’orgoglio nazionale iniziasse a contagiare i paesi limitrofi. L’arcipelago asiatico, d’altronde, ha fatto da capofila all’istanza del 2016 presso il tribunale internazionale dell’Aia che denunciava le incursioni cinesi e chiedeva il rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS).

Nazionalismo pop

Non è certo la prima volta che la “lingua di mucca” (đường lưỡi bò), come viene comunemente chiamata la nine-dash line dai vietnamiti, fa strage di icone pop e film d’importazione. Uno dei casi più chiacchierati era stato quello di Uncharted, pellicola d’azione in uscita ad aprile 2022 e poi mai approvata per la proiezione a causa – ancora un volta – della mappa della discordia. 

La stessa “svista” nel 2019 è costata ben 170 dollari di multa al distributore di film vietnamita CJ CGV: aveva commercializzato Il piccolo Yeti, un cartone animato firmato DreamWorks finito nel mirino di Filippine, Vietnam e Malesia per la stessa ragione. Il 2019, d’altronde, è stato uno degli anni di maggiore tensione nel Mar cinese meridionale, causata dalle operazioni del vascello cinese Haiyang Dizhi 8 nei dintorni delle isole Spratly. 

La nine-dash line, che si prende circa il 90% dei tre milioni di chilometri quadrati di acque che bagnano l’Asia continentale sud-orientale, ha fatto infuriare il governo filippino con Netflix per la sua comparsa in alcune scene della serie australiana Pine Gap. Tanto che il gigante dello streaming ha proceduto con la loro rimozione dalla piattaforma. 

Dall’altra parte, affermano i critici, ci sarebbe un continuo processo di autocensura e condiscendenza nei confronti della Cina da parte dei giganti dell’industria culturale. Tra investimenti milionari nelle case di produzione Usa in arrivo dalla Rpc e l’evidente preponderanza del mercato cinese – il secondo al mondo per ampiezza – ecco che anche Hollywood sarebbe incline alle sottigliezze del soft power cinese. 

Nel 2016 ci avevano pensato un gruppo bipartisan di sedici membri del Congresso a denunciare il giro di affari cinesi intorno all’industria dell’intrattenimento statunitense, ottenendo il consenso del Comitato sugli investimenti esteri negli Stati Uniti (CFIUS). Nei paesi ASEAN, almeno in quelli più agguerriti nei confronti delle incursioni cinesi nelle aree rivendicate, il processo è meno complicato: ci pensa direttamente il governo.

Non solo cinema

La battaglia retorica non si limita alla sfera cinematografica. Inizialmente denunciata sui social, la controversa grafica sul sito degli organizzatori della tappa vietnamita del gruppo k-pop Blackpink ha generato le stesse minacce di boicottaggio. l’impresa, iMe Entertainment Group Asia, ha presto risposto alle richieste del ministero della Cultura promettendo di rimuovere la mappa del tour. E spiega in un comunicato: “La mappa non rappresenta nello specifico il territorio di alcun paese, siamo consapevoli e rispettiamo la sovranità e la cultura di ogni paese”.

Hanoi non ha ceduto neanche quando è stato il turno di validare i visti di ingresso nel paese sui nuovi passaporti cinesi. Nel 2012 tali passaporti riportavano chiaramente la mappa che dal 1949 giustificherebbe la storica appartenenza dei territori del Mar Cinese Meridionale alla Cina. E il Vietnam ha quindi chiesto di rilasciare dei documenti a parte, anziché timbrare le pagine dedicate.

In paesi come il Vietnam, la cultura è una delle valvole di sfogo concesse dal Partito. È stato il caso dell’ondata di manifestazioni che nel 2011 e nel 2014 ha portato masse di cittadini arrabbiati per le strade delle principali città vietnamite, il tutto per protestare contro le manovre cinesi nelle aree rivendicate di Hoàng Sa (Isole Paracelso) e Trường Sa (Isole Spratly). 

Abbassare il linguaggio del nazionalismo all’industria della cultura potrebbe permettere anche questo. Cosa meglio di un successo cinematografico globale per accendere la fiamma della partecipazione pubblica dove poche – se non nulle – sono le sedi del dissenso? Un processo che avviene, al contrario, in Cina, dove delle definizioni geografiche su una t-shirt possono far scattare la messa al bando di un brand. 

Il filosofo Alfred Korzybski sosteneva che “la mappa non è il territorio”, ma un costrutto ideologico. Per i paesi asiatici che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale la mappa è qualcosa di più: una storia sempre necessaria, e mai uno “scarabocchio”.

I fondali della diplomazia

Tra i progetti più ambiti sul fronte dei cavi sottomarini c’è il Sud-Est asiatico-Medio Oriente-Europa occidentale 6, o SeaMeWe-6, che collega la Francia a Singapore, toccando una dozzina di altri Paesi

Articolo di Chiara Suprani

Tra le forme che i Paesi adottano per indirizzare la loro “economic diplomacy”, ce n’è una meno popolare dei semiconduttori, ma altrettanto centrale: si trova sott’acqua, e collega continenti con la “sola” forza di un cavo. Sono le reti di cavi di telecomunicazione sottomarini, diventate negli anni infrastrutture critiche per l’economia digitale, per il traffico di dati internazionali ma anche per la logistica. Anche l’Italia ha in progetto un proprio cavo sottomarino: si chiama Unitirreno, e collega Genova a Mazara Del Vallo, garantendo l’accesso ad un centro dati “carrier-neutral”, ossia non appartenente a nessuna compagnia di telecomunicazioni. I cavi sottomarini rendono le connessioni più veloci, diluiscono il traffico dati e permettono un miglior funzionamento delle telecomunicazioni e delle fasi digitali di innumerevoli settori economici. E fa tanto parte della rete un cavo, quanto ne fa parte un nodo. 

Tra questi nodi c’è Singapore, che ha all’attivo 25 cavi sottomarini operativi, i quali la rendono il più grande hub di connessione ethernet subacquea della regione. E oltre ai già pianificati 14 futuri progetti, la città stato nei prossimi anni raddoppierà il numero dei punti di aggancio dei cavi, tramite investimenti di miliardi di dollari. 

Aziende come Meta, Google assieme a Paesi come i Quad, quali Australia, Giappone, India e Stati Uniti hanno puntato il mirino su Singapore, i primi investendo in progetti chiamati Echo e Bifrost, entrambi saranno terminati il prossimo anno ed Echo collegherà per la prima volta Singapore direttamente agli Stati Uniti; i secondi siglando un nuovo accordo per l’aumento dei cavi ethernet sottomarini nell’Indo Pacifico. 

Ed in quanto infrastrutture critiche, non è passata inosservata nemmeno la loro fragilità. Spesso i cavi ethernet sottomarini sono stati soggetti e vittime di dispute diplomatiche tra paesi: per Wired, la rete globale di cavi sottomarini costituisce la maggior parte dello scheletro di internet al giorno d’oggi, insostituibile anche dal famigerato progetto Starlink di Elon Musk. Con l’aumento del numero di cavi sottomarini, si sono venuti a creare degli hub, che sono allo stesso tempo “choke points” o punti di rottura, come nel caso dell’Egitto da cui passa il 17% di tutto il traffico internet del mondo. Simile potrebbe essere il destino di Singapore, che dovrà garantire un traffico dati ininterrotto ed dimostrarsi una risorsa affidabile. La città stato dovrà elaborare un piano di intervento per la mitigazione dei disastri come quelli che hanno coinvolto le Isole Salomone nel 2018, gli Stati Federati della Micronesia nel 2021 e le Isole Matsu nel febbraio di quest’anno.Tra i progetti più ambiti c’è il Sud-Est asiatico – Medio Oriente – Europa occidentale 6, o SeaMeWe-6, che collega la Francia a Singapore, toccando una dozzina di altri Paesi. Un progetto al centro della competizione tra Stati Uniti e Cina, che collocherà Singapore ancora di più nel cuore della diplomazia mondiale.