Asean

UE e ASEAN: così lontani, così vicini

La cooperazione UE-ASEAN si estende via via a nuovi settori, tra cui la collaborazione nella gestione del Covid-19

L’Unione Europea e l’ASEAN rappresentano i due più avanzati progetti di integrazione regionale al mondo. Lo spirito multilaterale che caratterizza i due blocchi li rende interlocutori privilegiati sul piano internazionale: non è un caso che nell’EU-ASEAN Blue Book 2020, pubblicato dal Servizio europeo per l’azione esterna, l’UE e l’ASEAN vengano definiti “partner naturali” nel raggiungimento di numerosi obiettivi comuni, quali la tutela dell’ordine multilaterale, la promozione di uno sviluppo sostenibile e la protezione dei diritti umani.

Tuttavia, ad oggi, sono certamente le relazioni commerciali tra i due blocchi a costituire il fulcro del rapporto UE-ASEAN. L’UE è, dopo la Cina, il secondo partner commerciale dell’ASEAN e rappresenta il 14% del commercio estero dei Paesi del Sud-Est asiatico. Inoltre, l’UE è di gran lunga la prima fonte di investimenti diretti esteri nei Paesi ASEAN, per un valore cumulato di oltre 337 miliardi di euro. Nonostante un peso specifico relativamente limitato rispetto all’UE in termini di PIL (3111 miliardi di dollari contro oltre 18290 miliardi), l’ASEAN è a sua volta il terzo partner commerciale dell’Unione Europea, dopo Stati Uniti e Cina, e la sua quota di investimenti diretti esteri nei paesi UE è in constante crescita. L’UE e l’ASEAN sono determinati ad accrescere il loro interscambio commerciale, che già oggi conta oltre 273 miliardi di euro in beni e oltre 85 miliardi in servizi, attraverso la creazione di una vasta area di libero scambio tra le due regioni. La difficoltà a stringere un accordo di tale portata ha spinto l’UE a negoziare trattati bilaterali con singoli Paesi ASEAN, tra cui Singapore (già in vigore da Novembre 2019) e Vietnam (in vigore da Giugno 2020), ma sempre nell’ottica di un futuro accordo con l’intera Associazione, il quale rimane l’obiettivo primario dell’Unione.

Lo scoppio della pandemia di coronavirus ha indotto UE e ASEAN a collaborare su un versante inedito, quello sanitario. La comune vocazione multilaterale ha spinto le due potenze a organizzare una videoconferenza ministeriale congiunta il 20 Marzo, durante la quale entrambe hanno affermato l’importanza della cooperazione internazionale per l’efficace risoluzione della crisi Covid-19. In ossequio a questo principio, in data 24 Aprile, l’UE ha donato 350 milioni di euro ai paesi ASEAN per sostenerli nella lotta al Covid-19 e alle sue conseguenze economiche e sociali.

UE e ASEAN, in virtù della comune fede negli ideali della cooperazione sovranazionale, si stanno avvicinando sempre più, sia in un’ottica economico-commerciale che in un’ottica politica. La crisi Covid-19, la vera prova del fuoco del rapporto UE-ASEAN, sta mostrando, una volta per tutte, l’indispensabilità della collaborazione internazionale nella risoluzione dei problemi che non conoscono frontiere e che coinvolgono tutti.

 

Articolo a cura di Andrea Dugo.

E-commerce: un volano per l’economia dell’ASEAN

Nonostante la crisi causata dal virus, l’economia ASEAN potrebbe risollevarsi grazie alle opportunità del commercio digitale

Le misure restrittive adottate per contrastare il Covid-19 hanno avuto un forte impatto sulle attività economiche e sulle abitudini dei cittadini, provocando una profonda crisi a livello globale. L’Asia, nonostante le previsioni incoraggianti del Fondo Monetario Internazionale, sarà una tra le regioni più colpite, con un alto rischio di aumento della povertà.

Di fronte agli sconvolgimenti del mercato regionale ed internazionale, le imprese e i governi dell’area ASEAN sono ora impegnati a trovare nuove modalità di incontro tra domanda e offerta, nel rispetto della sicurezza e del distanziamento sociale necessari per gestire il virus.  A questo proposito sembra proprio che il commercio digitale possa risultare uno strumento interessante.

Uno studio di Facebook e Bain & Company prevede che entro il 2025 i consumatori dell’area spenderanno circa il triplo sulle piattaforme digitali rispetto al 2018, grazie ad un maggiore potere d’acquisto e un più capillare accesso ad internet. Il settore è dunque in grande crescita e potrebbe raggiungere nel 2025 circa 150 miliardi di dollari di valore.

Proprio la pandemia sembra aver accelerato tale processo, come sostiene Pierre Poignant, CEO di Lazada, uno dei maggiori portali di e-commerce dell’area ASEAN, controllato da Alibaba. Con le restrizioni agli spostamenti e il distanziamento sociale, necessari per contenere la pandemia, è cambiato il rapporto tra domanda e offerta, moltiplicando le occasioni di interazione online. L’allargamento della base di consumatori associata ai cambiamenti nei consumi degli ultimi mesi ha visto un forte incremento nell’acquisto di prodotti online di qualsiasi tipologia.

Anche le imprese hanno compreso la potenzialità dell’e-commerce dopo le restrizioni imposte dalla pandemia: avendo dovuto chiudere il canale del commercio al dettaglio hanno investito ingenti risorse su nuove infrastrutture digitali, come mostrano i dati dello studio “Riding the Digital Wave: Southeast Asia’s Discovery Generation”, cui hanno partecipato circa 13mila intervistati e oltre 30 CEO e venture capitalists.

Il digitale può dunque dimostrarsi un’opportunità per lo sviluppo dei Paesi ASEAN ed in particolare per le PMI che ne caratterizzano il tessuto economico e che operano nelle aree extra-urbane. In queste zone infatti l’incontro tra domanda e offerta avveniva generalmente in loco, con una relativamente stretta cerchia di consumatori dello stesso territorio. Ora, grazie ai canali digitali le imprese potranno invece accedere a mercati anche geograficamente distanti e lo stesso accadrà per i consumatori che vedranno la moltiplicazione di beni e servizi altrimenti non accessibili con il tradizionale scambio brevi manu.

Molti Paesi del Sud-Est asiatico hanno capito l’importanza del commercio online e appaiono determinati a sfruttarne le opportunità. Il Vietnam, dopo un aumento degli scambi online del 20% causato dal lockdown e dalle restrizioni alla circolazione imposte, punta ad arrivare sul podio delle economie digitalizzate dell’ASEAN entro il 2030 con una copertura completa 5G del territorio nazionale. La Malesia intende rafforzare la strategia di sviluppo lanciata nel 2019 al motto di “One click, a million opportunities”,  incrementando l’adozione delle nuove tecnologie per supportare e stimolare l’economia nazionale, supportando le PMI nel processo di digitalizzazione. Singapore ha invece messo in campo alcune misure per rafforzare l’e-commerce e stimolare i commercianti e le aziende ad espandere la propria attività sul mercato online, fornendo loro anche formazione, assistenza e consulenza, nonché i mezzi per le spese di inizio attività sui portali online.

Nell’economie dei Paesi ASEAN sta dunque crescendo e si sta sviluppando il commercio 4.0, ma sarà fondamentale che i governi locali assecondino questo processo. Il primo passo sarà capillarizzare l’accesso a internet anche nelle zone rurali e poi incentivare la diffusione dei pagamenti mobile e cashless. Infine, sarà necessario predisporre norme snelle ed efficienti per regolamentare il settore e metterlo nelle condizioni di produrre benefici per tutti. Risulta infatti che l’e-commerce potrà rappresentare uno strumento utile per rilanciare le economie ASEAN nel contesto della crisi causata dall’emergenza sanitaria.

 

Articolo a cura di Gabriel Zurlo.

La risposta dell’ASEAN all’emergenza COVID-19

Dopo una reazione iniziale tardiva, l'ASEAN ha adottato un approccio multilaterale efficace alla lotta contro il virus

Data la vicinanza geografica e le intense relazioni economiche con la Cina, i Paesi ASEAN hanno presto confermato i primi casi di coronavirus. All’inizio della pandemia, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico ha ricevuto critiche a livello internazionali per la lenta risposta e poca cooperazione nella gestione della crisi. Tuttavia, negli ultimi mesi, l’ASEAN ha efficacemente contribuito a contenere l’epidemia dimostrando solidarietà regionale e rafforzando la cooperazione internazionale.

 

L’organizzazione, di natura intergovernativa, ha adottato misure comuni significative, dando prova di unità in un momento di grande crisi. Attraverso diverse videoconferenze tenute con il Consiglio dell’ASEAN, i Paesi membri hanno scambiato informazioni sulle misure di contenimento e mitigazione del virus. Nel quadro degli obiettivi dichiarati nell’ASEAN Post-2015 Health Development Agenda, il Centro operativo ha fornito una piattaforma per aggiornamenti quotidiani e informazioni su misure di prevenzione; inoltre, l’ASEAN BioDiaspora Regional Virtual Centre ha fornito rapporti sui rischi a tutti i Paesi, attraverso l’analisi di dati statistici. Gli Stati membri dell’ASEAN hanno poi mostrato solidarietà per quanto riguarda le attività di laboratorio e le esigenze di assistenza medica: Vietnam e Brunei hanno offerto sostegno sotto forma di attrezzature mediche a Laos e Cambogia. Il 9 aprile l’ASEAN ha istituito una riserva regionale di forniture mediche e un fondo COVID-19, per sostenere le esigenze degli Stati membri e consentire una risposta rapida all’emergenza sanitaria. Tutti questi accordi regionali hanno garantito una risposta positiva all’epidemia di COVID-19, come dimostra il basso numero di casi nella maggior parte dei 10 Stati membri dell’ASEAN.

 

Oltre a tali sforzi, i membri dell’ASEAN sono riusciti a contenere la pandemia attraverso la cooperazione con Paesi esteri e istituzioni internazionali. Il 10 marzo i ministri dell’ASEAN hanno tenuto una videoconferenza con l’Unione Europea per discutere le misure da adottare immediatamente per i rischi sulla salute pubblica, e a più lungo termine per quanto riguarda le preoccupazioni socio-economiche causate dal virus. Il 14 aprile si è tenuto un video summit tra i 10 membri dell’ASEAN e  Cina, Giappone e Corea del Sud, per rafforzare la cooperazione, lo scambio di informazioni, gli aggiornamenti sui trattamenti clinici, le misure di prevenzione e l’approvvigionamento di forniture mediche tra i Paesi. Il 30 aprile, infine, è seguita un’altra videoconferenza tra i Ministri della Salute dell’ASEAN e degli Stati Uniti, che ha ribadito l’importanza della cooperazione internazionale per combattere efficacemente la pandemia.

 

Articolo a cura di Elena Colonna

Il rischio autoritario del Covid-19 in ASEAN

Lo stato d’emergenza ha spinto le autorità di alcuni Paesi a imporre misure preoccupanti

Le misure d’emergenza prese da alcuni governi dei Paesi ASEAN per affrontare la crisi sanitaria stanno destando preoccupazione nella comunità internazionale. Si teme infatti che alcuni potrebbero approfittare della situazione per consolidare il proprio potere a scapito delle libertà e dei diritti dei cittadini.

Già all’inizio di marzo, l’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani aveva esortato tutti i Paesi coinvolti nell’emergenza sanitaria a garantire la centralità dei diritti umani e delle norme internazionali. A tal proposito è intervenuto anche il Presidente del Comitato dei Parlamentari ASEAN per i diritti umani che ha voluto ricordare ai governi dell’area che le restrizioni per motivi di salute pubblica devono essere strettamente necessarie, di durata limitata, basate su prove scientifiche e non discriminatorie.

Tuttavia, l’approccio di alcuni governi dei Paesi ASEAN rischia di deludere tali auspici. L’Asian Forum for Human Rights and Development denuncia che Filippine, Thailandia, Cambogia e Myanmar stanno attuando politiche che rischiano di violare le norme internazionali. In Thailandia e Myanmar preoccupa la situazione relativa alla libertà di espressione, soprattutto online. Nelle Filippine sono stati conferiti ampi poteri alle forze dell’ordine, la cui azione è spesso lasciata alla discrezionalità degli agenti.

Ma a destare particolare attenzione è la situazione in Cambogia. Il 31 marzo il governo cambogiano ha approvato una legge che conferisce pieni poteri all’esecutivo per la gestione dell’emergenza, tra cui il potere di sorveglianza illimitata delle telecomunicazioni, il controllo dei media e dei social network, e la possibilità di proibire o limitare la diffusione di informazioni diverse da quelle di fonte governativa. Un giornalista è già stato arrestato per aver citato sul giornale un discorso del Primo Ministro Hun Sen e decine di persone sono state accusate ed arrestate per aver diffuso “fake news” online. Diversi gruppi di attivisti e istituzioni della comunità internazionale hanno fortemente condannato le misure imposte dal Primo Ministro Hun Sen, ritenendole eccessive e preoccupanti. Si teme infatti che le disposizioni d’emergenza attuate dalle autorità cambogiane possano restare in vigore ed essere applicate anche dopo la fine dell’emergenza.

La situazione in Cambogia, ed altri Paesi del Sud-Est asiatico come Filippine, Thailandia e Myanmar, sono ora sotto osservazione da parte degli organismi internazionali. Sarà importante capire come si comporteranno i governi con la graduale ripresa dalla crisi sanitaria ed economica, nel momento in cui verrà meno lo stato d’emergenza. La speranza della comunità internazionale, rappresentata in questo caso dalle parole dell’Alta Commissaria dell’ONU per i diritti umani e dal Presidente del Comitato dei Parlamentari ASEAN per i diritti umani, è che la fase di ripresa coincida con il ripristino della normalità, nel rispetto dei diritti e le libertà di tutti i cittadini.

 

Articolo a cura di Gabriel Zurlo Sconosciuto.

La rilevanza del Mar Cinese Meridionale

Con l’abbondanza di risorse naturali e la sua posizione strategica questo mare è diventato il teatro di un teso scontro regionale

Il Mar Cinese Meridionale è al centro di un lungo e complesso scontro geopolitico che coinvolge diversi Paesi del Sud-Est asiatico, la Cina e altre potenze globali tra cui gli Stati Uniti. L’area è infatti incredibilmente ricca di risorse naturali con riserve di circa 11 miliardi di barili di petrolio, oltre 50 trilioni m³ di gas naturale e il 10% delle riserve ittiche mondiali. L’elemento più importante, tuttavia, è che il 30% del commercio marittimo mondiale transita nel Mar Cinese Meridionale, conferendo una cruciale rilevanza geopolitica alla regione. Si tratta dunque di uno specchio d’acqua di fondamentale importanza strategica, e diversi Paesi nella regione avanzano rivendicazioni territoriali, spesso contrastanti.

Nel cuore geografico e simbolico del Mar Cinese Meridionale ci sono diversi arcipelaghi di isole remote e disabitate, rivendicate da Cina, Vietnam, Filippine, Malesia, Taiwan e Brunei. Per molti di questi Paesi, l’accesso alle risorse di quest’area potrebbe rivelarsi fondamentale nel lungo periodo. Chi riuscisse a fare valere le proprie rivendicazioni territoriali su queste isole potrebbe includerle nella propria zona economica esclusiva, ottenendo diritti esclusivi su tutto il territorio e dunque il sottosuolo circostante.

La maggior parte di questi Paesi basa le proprie rivendicazioni sulla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, ma la Cina sembra avere una posizione diversa, in contrasto con la comunità internazionale. Pechino avanza una rivendicazione storica sul Mar Cinese Meridionale che risale ad alcune esplorazioni navali del XV secolo. Il governo cinese individua i propri confini nell’area compresa all’interno della linea tratteggiata, la famosa “nine-dash line”, tracciata alla fine della Seconda Guerra Mondiale e comprendente circa il 90% del conteso specchio d’acqua.

Negli ultimi anni, la Cina ha portato avanti una politica di potenza volta a imporre le proprie rivendicazioni territoriali con la costruzione di isole artificiali, basi militari e distretti amministrativi, scatenando le proteste delle nazioni coinvolte. Le mosse di Pechino non hanno solo indispettito i Paesi della regione, ma anche la comunità internazionale, con gli Stati Uniti in testa. Gli USA hanno grossi interessi geopolitici nella regione, e sono dunque interessati a contenere le ambizioni di Pechino e a rafforzare il proprio ruolo di potenza militare e geopolitica nell’area del Pacifico.

Meccanismi di risoluzione delle dispute internazionali hanno più volte contestato l’approccio cinese nella regione, cercando di proteggere i diritti territoriali legittimi di Paesi più piccoli, come le Filippine o il Vietnam. Ma la Cina sembra trascurare le risoluzioni delle Corti internazionali e pare determinata a non retrocedere, paventando anche l’uso della forza per affermare le proprie rivendicazioni.

Finora le dispute nel Mar Cinese Meridionale non hanno preso una piega violenta, ma si sono limitate alla sfera politica e diplomatica. Dal 2017, la Cina e i Paesi ASEAN hanno deciso di provare a risolvere la contesa sul piano diplomatico, attraverso la redazione di un Codice di Condotta per il Mar Cinese Meridionale, ovvero un sistema regolatore per risolvere le dispute nella regione. Tuttavia, l’accordo è ancora lontano dalla sua conclusione, e le difficoltà che stanno emergendo non sono poche.

I Paesi coinvolti tendono sempre più a difendere le proprie rivendicazioni militarizzando la regione e provocandosi a vicenda, con gravi rischi per tutta l’area. È una situazione complessa che continuerà ad attirare l’attenzione della comunità internazionale, evidenziando segnali importanti sull’atteggiamento geopolitico della Cina nei prossimi anni e il suo rapporto con i Paesi del Sud-Est asiatico.

 

Articolo a cura di Tullio Ambrosone.

L’outsourcing nelle Filippine

Come le Filippine sono diventate un hub del BPO

Il Business Process Outsourcing (BPO) è uno dei settori in più rapida crescita nelle Filippine, al punto da rappresentare uno dei tre pilastri dell’economia del paese, insieme alle rimesse inviate dai lavoratori filippini all’estero ed al turismo.

La crescita del BPO nelle Filippine ha mostrato infatti un tasso di espansione medio annuo del 20% nel corso dello scorso decennio. Secondo i dati dell’Oxford Business Group, il settore rappresentava solo lo 0,075% del PIL nel 2000, dato cresciuto progressivamente fino a raggiungere il 12% nel 2019.

Secondo gli ultimi dati del governo filippino l’industria del BPO impiega 1,35 milioni di lavoratori, la maggior parte dei quali (87,6%) nei call center, mentre quasi il 12% lavora in aziende di computer e servizi informatici. Nell’ultimo anno, è emerso un forte trend di crescita anche del segmento del Data Analytics.

La Roadmap 2016-2022 della IT and Business Process Association of the Philippines (IBPAP) si pone tuttavia obiettivi di crescita ancora maggiori per il settore, puntando a toccare – entro un paio di anni – 1,8 milioni di persone occupate, 40 miliardi di dollari di fatturato complessivo e una quota del 15% nel mercato globale del BPO.

Il settore BPO è fortemente internazionalizzato nelle Filippine: il 55% delle aziende opera a livello globale (il 65% delle quali esporta verso gli Stati Uniti), il 27% a livello regionale e solo il 18% all’interno del Paese. Sono tre le ragioni principali per cui le Filippine sono riuscite a diventare un hub internazionale del BPO.

In primo luogo, il governo filippino si è attivato fin dai primi anni 2000 per incentivare gli investitori ad esternalizzare nel Paese. Ha infatti messo in atto diverse politiche liberali, inclusi benefici fiscali e misure di semplificazione nelle procedure in materia di occupazione.

Il secondo aspetto riguarda il bilinguismo. Oltre al filippino, gli studenti imparano fin da subito l’American English. La padronanza della lingua inglese e l’affinità con la cultura occidentale conferiscono alle Filippine un vantaggio concorrenziale rispetto ai suoi diretti competitors nel BPO, come l’India.

Infine, il salario medio dei lavoratori filippini nel settore è meno della metà di quello delle loro controparti nei paesi occidentali. Gli Stati Uniti ed altre imprese anglofone sfruttano questo fattore per abbassare i loro costi fissi.

Nonostante la crisi legata al COVID-19 abbia avuto un impatto negativo e rallentato la crescita del BPO nelle Filippine, le multinazionali straniere non hanno abbandonato il paese. Se la crisi continuerà a favorire la domanda di servizi telematici è infatti probabile che il settore riprenda presto la propria traiettoria positiva di crescita.

Articolo a cura di Amiel Masarap e Maria Viola.

Gli equilibri commerciali in Asia ai tempi del Covid-19

Nel primo trimestre del 2020 l’ASEAN è risultato il primo partner commerciale della Cina

Negli ultimi anni il panorama commerciale globale ha subito profonde trasformazioni che hanno contribuito a produrre nuove e significative dinamiche economiche nel continente asiatico.

Fino a qualche anno fa, prima della guerra commerciale tra USA e Cina e prima dello scoppio della pandemia, Unione Europea e Stati Uniti erano rispettivamente il primo e il secondo partner commerciale della Repubblica Popolare Cinese. Oggi invece, nel bel mezzo di una crisi sanitaria ed economica globale, l’ASEAN ha scavalcato UE e USA ed è risultato il maggior partner commerciale della Cina nel primo trimestre del 2020. Secondo l’Amministrazione generale cinese delle dogane, nei primi tre mesi di quest’anno, il commercio bilaterale totale tra ASEAN e Cina è aumentato del 6,1% su base annua a 140,62 miliardi di dollari, nonostante l’emergenza sanitaria.

Diversi elementi sono intervenuti a produrre questo scenario, con cambiamenti profondi per tutto il sistema commerciale e per gli equilibri di potere globali.

Sul versante europeo, ha sicuramente influito la Brexit. La Gran Bretagna rappresentava infatti circa il 10% degli scambi commerciali tra UE e Cina. Con la sua uscita dall’Unione dunque, i Paesi europei hanno perso una quota significativa del rapporto commerciale con la Cina, che ha influito pesantemente sui dati aggregati relativi al commercio UE-Cina.

Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, invece, la guerra commerciale avviata dall’amministrazione di Donald Trump ha contribuito in maniera decisiva al deterioramento dei rapporti commerciali tra USA e Cina, scatenando diversi effetti collaterali. Non sono cambiati solo i rapporti tra Washington e Pechino, le tensioni commerciali hanno finito per spingere molte aziende a trasferire capacità produttive dalla Cina ai Paesi del Sud-Est asiatico, rinforzando catene di valore e sistemi produttivi regionali. Lo scontro con gli USA ha anche indotto le autorità cinesi a rafforzare i legami economici e diplomatici con i partner del continente asiatico, mettendo i Paesi ASEAN in una posizione di primo piano, date le dimensioni del blocco commerciale.

Inoltre, la gravità dello shock economico causato dalla pandemia di COVID-19 ha contribuito ad acuire tali trasformazioni, mettendo in crisi il sistema economico e commerciale globale. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, i Paesi più colpiti a livello economico sono quelli occidentali, in Europa e Nord America, mettendo Paesi come quelli del Sud-Est asiatico nelle condizioni di guadagnare terreno a livello commerciale. Inoltre, rafforzando le dinamiche scaturite dalla guerra commerciale, le misure restrittive attuate dai governi per limitare i contagi stanno inducendo molte aziende a rivedere le catene di produzione e fornitura, favorendo soluzioni regionali a scapito di meccanismi globali.

Sembra dunque che le trasformazioni degli ultimi anni stiano spingendo il continente asiatico verso maggiori forme di cooperazione economica e commerciale. Cina e ASEAN sono oggi più vicine dal punto di vista economico e diplomatico di quanto non lo fossero qualche anno fa. Lo scenario resta complesso e indefinito, sarà fondamentale seguire l’evolversi della situazione nei prossimi mesi per capire la portata dei cambiamenti in corso e analizzarne l’impatto a livello globale.

Articolo a cura di Tullio Ambrosone

Emergenza COVID-19: le opportunità per l’ASEAN

Smart working ASEAN

Nonostante la gravità della crisi, si aprono scenari interessanti

Anche nei Paesi del Sud-Est asiatico l’epidemia di coronavirus sta avendo un impatto significativo: diverse aree sono in isolamento, i grandi eventi sono stati annullati o rinviati, le strutture mediche sono in difficoltà e il sistema economico ne sta risentendo. Tuttavia, la grave emergenza sanitaria ed economica che i Paesi ASEAN stanno affrontando sta aprendo nuovi scenari, che potrebbero recare alcuni benefici nel lungo termine.

Le aziende stanno iniziando a diversificare le loro catene produttive, spostando investimenti e capitali dalla Cina verso i Paesi del Sud-Est asiatico. Anche prima della pandemia, tensioni politiche come la guerra commerciale tra Washington e Pechino, stavano spingendo le grandi compagnie a dirottare le catene di produzione dalla Cina a Paesi terzi, ma l’emergenza sanitaria ha finito per accelerare questo trend. Nel tentativo di diversificare la produzione infatti, grandi aziende come Google e Microsoft trasferiranno le attività di fabbricazione di nuovi telefoni, computer e altri dispositivi dalla Cina a Vietnam e Thailandia. Altri giganti come Sony e Nokia investiranno in Indonesia, mentre Samsung sta puntando sul Vietnam. Questi esempi non solo dimostrano l’intenzione delle grandi aziende di evitare la dipendenza dalla Cina e scommettere sulle economie del Sud-Est asiatico, ma rivelano anche una grande opportunità per la regione di sviluppare maggiori competenze nel settore della produzione tecnologica.

La crisi sanitaria, che obbliga i Paesi a imporre misure di distanziamento sociale, sta anche trasformando il mondo del lavoro. Sta cambiando infatti anche la mentalità imprenditoriale, che si sta adattando al contesto di crisi e sta sfruttando la tecnologia per affrontare le limitazioni ai movimenti e il distanziamento sociale. Aziende come CoXplore o AngkorHub, specializzate in co-working e piattaforme di smart-working, stanno crescendo in maniera significativa negli ultimi mesi, evidenziando un trend che potrebbe sopravvivere alla crisi. Specialmente nel Sud-Est asiatico, regione densamente popolata, queste start-up hanno il potenziale per trasformare l’approccio al lavoro e numerose aziende sono pronte a investire in questa direzione, anche dopo l’emergenza.

L’isolamento di migliaia di persone, inoltre, sta offrendo grandi occasioni al crescente settore del ride-hailing nel Sud-Est asiatico. Aziende come Grab e Gojek stanno intensificando le proprie attività nei Paesi ASEAN, con l’obiettivo di fornire servizi di consegna a domicilio a più persone possibile durante l’emergenza. Altri settori, come quello della vendita di prodotti alimentari online, stanno crescendo nella regione, aprendo nuovi scenari non solo per le aziende, ma anche per i lavoratori.

Ancora una volta dunque un momento di crisi sta offrendo opportunità e dando vita a nuove tendenze economiche e sociali. Nonostante il contesto di grande tensione, la crisi del sistema sta avviando trasformazioni che porteranno benefici nel lungo termine. Sarà interessante continuare a seguire l’evoluzione della situazione per identificare nuovi trend e capire che volto avrà la regione del Sud-Est asiatico dopo questa epocale crisi sanitaria ed economica.

Articolo a cura di Tullio Ambrosone

La BRI è stata contagiata?

L’impatto del Covid-19 sui Paesi ASEAN, tra approvvigionamenti interrotti e lavoratori quarantenati

Dopo la Cina, anche i Paesi ASEAN sono impegnati nel contrasto al Covid-19. Ne è risultato il blocco di diversi stabilimenti produttivi (come in Cambogia, dove più di 200 fabbriche hanno interrotto la produzione per la mancanza di materie prime provenienti dalla Cina) e lo stop di importanti cantieri infrastrutturali, fra cui quelli legati alla Belt and Road Initiative (BRI; il progetto strategico sotto il quale la Cina sta pianificando la costruzione di grosse arterie strategiche stradali, ferroviarie e marittime, che la colleghino ai principali Paesi partner).

Le autorità dei Paesi ASEAN hanno iniziato a calcolare i danni di questi ritardi: in particolare, il rallentamento dei cantieri della BRI rischia di rappresentare un freno alla ripresa economica, una volta superata la fase di emergenza sanitaria.

In Indonesia, il Ministro per gli affari marittimi e gli investimenti ha annunciato ritardi nella costruzione della ferrovia ad alta velocità da 6 mld di dollari che collegherà Jakarta a Bandung. Non solo il 50% dei materiali provengono dalla Cina, ma anche i lavoratori nel cantiere sono per quasi il 20% cinesi. Inoltre, risulta interrotta anche la costruzione della diga da 510 megawatt nella foresta di Batang Toru.

Rallentamenti si registrano anche in Cambogia, dove la BRI prevede grossi cantieri nella zona economica speciale di Sihanoukville (la quale si propone di diventare un hub per l’intero ASEAN). Il progetto ha subito una graduale interruzione degli approvvigionamenti dalla Cina ed ha visto gli uffici dei dirigenti cinesi restare vuoti. Ciò allungherà le tempistiche e farà lievitare i costi. Il Primo Ministro cambogiano Hun Sen si è detto comunque fiducioso, prevedendo che i lavori possano riprendere già nel mese di aprile.

In Malaysia, fino ad un mese fa, la Malaysia Rail Link assicurava che non ci sarebbero stati invece ritardi nella costruzione della East Coast Rail Link, il progetto da oltre 10 miliardi di dollari che collegherà la capitale malese Kuala Lumpur e la capitale amministrativa Putrajaya agli Stati della costa orientale di Pahang, Terengganu e Kelantan. Tuttavia, a causa dei provvedimenti del governo malese (che dal 18 marzo ha posto lo Stato in una quarantena totale, dalla durata di almeno 14 giorni), non è possibile escludere rallentamenti o temporanee interruzioni del progetto, che ad oggi risulta completato solo al 15%.

Al contrario, il Covid-19 non sembra rallentare la Cina-Laos Railway, il progetto che entro il 2021 vuole trasformare il Paese in un hub per il commercio via terra nella regione. La direzione centrale aveva deciso di non interrompere i lavori nonostante le festività per il Capodanno cinese: funzionari e operai sono così rimasti in cantiere, al riparo dall’epidemia. Inoltre, in questi giorni, gli ingegneri cinesi e laotiani sono al lavoro sulla linea di energia elettrica che alimenterà la ferrovia; si tratta del primo progetto energetico per il quale il Laos ricorre alla formula di project-financing conosciuta come BOT (build-operate-transfer).

Il completamento totale della Belt and Road Initiative è previsto per il 2049, ma gli analisti mettono ora in dubbio che questa data possa essere realmente rispettata, nel caso in cui gli effetti del Covid-19 pesino per un lungo periodo.

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Articolo a cura di Gabriel Zurlo Sconosciuto

L’ASEAN scommette sul libero scambio

I negoziati per il RCEP stanno volgendo al termine e l’accordo dovrebbe vedere la luce a fine 2020

Dopo lunghi negoziati, quest’anno i Paesi ASEAN si apprestano a concludere il RCEP, uno degli accordi commerciali più ampi del mondo. L’accordo il cui nome per esteso è  Regional Comprehensive Economic Partnership, coinvolge i dieci Paesi del blocco ASEAN e cinque dei suoi principali partner commerciali, ossia Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Insieme questi Paesi costituiscono quasi un terzo della popolazione mondiale e del PIL globale, superando blocchi commerciali come Unione Europea, USMCA o Mercosur.

Il progetto iniziale prevedeva anche il coinvolgimento dell’India, che tuttavia ha preferito non aderire per il timore di danneggiare la produzione nazionale e avvantaggiare la Cina. Diversi analisti e osservatori sostengono infatti che Pechino possa utilizzare il RCEP per contrastare l’influenza americana nella regione e rilanciarsi come garante del libero scambio a livello globale. L’aggressiva politica tariffaria di Donald Trump ha poi contributo a rafforzare questa dinamica, inducendo diversi Paesi a dare maggiore rilievo ai negoziati per il RCEP.

Anche se meno ambizioso di accordi come l’USMCA, il RCEP darà impulso agli scambi commerciali nella regione asiatica abbassando le tariffe, armonizzando regole e procedure doganali, ed estendendo l’accesso al mercato soprattutto ai Paesi membri che non hanno grandi accordi commerciali in vigore. La novità più significativa è la creazione di norme d’origine comuni per l’intero blocco commerciale.

Una volta firmato il patto, i Paesi membri potranno ottenere un unico certificato di origine che consentirà alle aziende di trasferire facilmente prodotti all’interno del blocco, senza doversi preoccupare dei criteri specifici delle norme d’origine di ogni Paese. Tutto ciò ridurrà i costi per le aziende, incoraggiandole a esportare di più verso i Paesi membri del RCEP e a sviluppare catene di valore regionali.

La riduzione delle tariffe e altri benefici non saranno applicati in base alla sede centrale di un’azienda, ma in base alla sede di produzione, consentendo così anche ad aziende americane o europee, che già producono in un Paese RCEP, di esportare in altri stati del blocco alle stesse condizioni.

Tuttavia, va anche sottolineato che l’accordo incoraggerà lo sviluppo di catene produttive regionali, e genererà per le aziende occidentali uno svantaggio in termini competitivi, favorendo la produzione locale. Da segnalare anche che, rispetto ad altri accordi commerciali, il RCEP prevede solo alcune misure limitate su servizi, investimenti e standard comuni e non include riferimenti specifici alla tutela dei lavoratori e dell’ambiente.

Con qualche mese di ritardo rispetto alla data inizialmente prevista, il RCEP dovrebbe entrare in vigore a fine 2020. Nonostante le preoccupazioni per il ruolo della Cina e gli svantaggi per le aziende occidentali, è indubbio che il RCEP rappresenterà un grande risultato sul terreno del multilateralismo e del libero scambio.

Articolo a cura di Tullio Ambrosone

Working Breakfast col Sottosegretario Scalfarotto

Ivan Scalfarotto Associazione Italia-ASEAN

Il Sottosegretario Scalfarotto ha descritto la strategia del Governo per l'internazionalizzazione

Il 17 febbraio, l’Associazione Italia-ASEAN ha avuto il piacere di ospitare nel proprio ufficio di Milano un incontro con Ivan Scalfarotto, Sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. L’evento è stato introdotto di Alessia Mosca, Segretario Generale dell’Associazione, e si è concentrato sulla posizione dell’Italia nell’attuale quadro commerciale globale.

Il Sottosegretario Scalfarotto ha innanzitutto riaffermato l’impegno del Governo italiano a rafforzare i legami economici e diplomatici con l’ASEAN e ha descritto la strategia per sostenere le imprese italiane nel processo di internazionalizzazione.

Scalfarotto ha poi proseguito con un ragionamento sull’importanza strategica del commercio internazionale per la nostra economia, fortemente trainata dalle esportazioni negli anni della crisi: tra il 2010 e il 2017, le esportazioni italiane sono infatti cresciute del +6,4%, pur a fronte di calo del PIL dello -0,6%. Gli effetti della crisi sarebbero stati quindi molto più duri se le aziende italiane non avessero potuto fare affidamento sulla domanda proveniente dai mercati esteri.

Inoltre, anche eccellenze tipiche italiane si basano sulla lavorazione di prodotti importati. L’Italia, ad esempio, è famosa per il cioccolato e per il caffè pur non producendo né cacao né chicchi di caffè; inoltre l’Italia neanche produce il grano sufficiente a soddisfare la domanda che arriva dai propri produttori di pasta.

La capacità delle imprese italiane di competere sui mercati globali non deve però spingere a pensare che esse possano prescindere dal supporto di politiche industriali e commerciali adeguate. Il Sottosegretario Scalfarotto ha infatti sottolineato come, a livello globale, il valore degli accordi G2G (Government to Government) superi di molto quello degli accordi B2B (Business to Business). Il Governo deve quindi giocare un ruolo attivo di facilitatore degli scambi commerciali. Per una singola azienda, per quanto grande, è difficile instaurare rapporti solidi con partner stranieri, senza avere alle spalle l’intero Sistema Paese (e questo è particolarmente vero nei Paesi asiatici).

A questo proposito, Scalfarotto ha ricordato che il Governo – tramite le proprie agenzie e società controllate – ha implementato diverse misure per sostenere attivamente le imprese italiane nei processi di internazionalizzazione. Ad esempio, negli ultimi anni, il Gruppo Cassa Depositi e Prestiti ha svolto un ruolo sempre più importante nel garantire il credito necessario alle imprese. Inoltre, Scalfarotto ha ricordato come il Governo sia stato in grado di muoversi in maniera unitaria su questioni chiave, quali l’imposizione di nuovi dazi da parte degli USA.

Scalfarotto ha quindi ricordato che la politica commerciale può rappresentare uno strumento di politica estera, come dimostrato recentemente dall’l’Amministrazione Trump. Per questo motivo il Governo deve intervenire nei settori cruciali, dove possono emergere irregolarità (come nel caso delle tecnologie 5G), per garantire un level playing field.

Infine, Scalfarotto ha sottolineato il ruolo strategico dell’ASEAN. Da un punto di vista strettamente economico, infatti, il blocco dei Paesi del sud-est asiatico rappresenta già oggi la quinta potenza economica globale. Da un punto di vista geopolitico, inoltre, l’ASEAN ha giocato un ruolo cruciale nel mitigare le tensioni in Asia. L’Italia e l’Unione europea dovrebbero quindi giocare un ruolo più proattivo nel sud-est asiatico, andando a colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Un approfondimento delle relazioni economiche coi Paesi asiatici può infatti essere uno strumento per promuovere stabilità e crescita nella regione, in analogia con la strategia già adottato dall’Unione europea in America Latina.

 

 

Lecture di Vivian Balakrishnan, Ministro degli Esteri di Singapore

Alla sua prima visita ufficiale in Italia, il Ministro degli Esteri di Singapore ha incontrato l’Associazione Italia-ASEAN

Il 19 dicembre 2019, il Ministro degli Esteri di Singapore Vivian Balakrishnan ha tenuto una conferenza su sviluppi e direzione della globalizzazione, nella sede di Roma dell’Associazione Italia-ASEAN.

Nel corso del suo intervento, il Ministro Balakrishnan ha sottolineato il duraturo e stabile rapporto di collaborazione tra Italia e Singapore. In particolare, l’Italia è stato uno dei primi Paesi al mondo a riconoscere l’indipendenza di Singapore nel 1965.

Oggi, sono più di 600 le aziende italiane attive a Singapore e, allo stesso tempo, sono ingenti gli investimenti singaporiano in Italia. Il recente accordo commerciale tra Unione europea e Singapore, entrato in vigore nel novembre 2019, ha il potenziale per intensificare ulteriormente gli scambi economici.

La lecture si è tenuta nel quadro della prima visita ufficiale del Ministro Balakrishnan in Italia. All’evento hanno partecipato il Presidente Enrico Letta e tutti gli Ambasciatori dei Paesi ASEAN in Italia, sottolineando la volontà di rafforzare i legami tra l’Italia e la regione del sud est asiatico.

L’edizione inglese Straits Times, influente giornale di Singapore, ha riportato un resoconto più dettagliato della visita del Ministro Balakrishnan in Italia. L’articolo è disponibile al seguente link.