Asean

Il Parlamento Europeo condanna il colpo di stato in Myanmar

Il PE ha voluto dare un segnale chiaro approvando a larga maggioranza una dura risoluzione contro il golpe militare

COMUNICATO STAMPA


In una risoluzione sulla situazione in Myanmar, i deputati condannano fermamente il colpo di stato militare del 1° febbraio e chiedono ai militari (Tatmadaw) il ripristino immediato del governo civile, la fine allo stato di emergenza e il rilascio incondizionato di tutte le persone arrestate illegalmente, inclusa Aung San Suu Kyi. L’esito delle elezioni generali dell’8 novembre 2020 deve essere rispettato e il potere restituito alle autorità civili elette.


Secondo i deputati, “nonostante la sua incapacità di condannare adeguatamente le violazioni dei diritti umani nei confronti delle minoranze in Myanmar/Birmania, Aung San Suu Kyi continua a essere il simbolo del popolo del Myanmar/Birmania per quanto riguarda le aspirazioni e le ambizioni democratiche per un futuro più giusto e democratico”.


Inoltre, per garantire il riconoscimento e la rappresentanza di tutti i gruppi etnici in Myanmar, compresi i rohingya, la nuova costituzione deve essere elaborata e attuata attraverso un processo libero ed equo.


I deputati accolgono con favore l’estensione delle sanzioni del 2018 nei confronti del personale militare e dei funzionari del Tatmadaw, della guardia di frontiera e della polizia responsabili di gravi violazioni dei diritti umani ai danni dei rohingya, ed esortano il Consiglio a estendere le sanzioni mirate all’intera dirigenza dell’esercito del Myanmar/Birmania, compresi tutti coloro che hanno preso parte al colpo di Stato.


Infine, il PE invita l’UE e gli Stati membri a promuovere il coordinamento internazionale al fine di impedire l’esportazione illegale di merci non autorizzate dal Myanmar/Birmania, soprattutto a vantaggio economico delle forze armate.


Il testo è stato approvato con 667 voti favorevoli, 1 contrario e 27 astensioni.

Fonte: Parlamento Europeo

Italia – ASEAN con Padiglione Italia verso Expo Dubai

COMUNICATO STAMPA

Siglato il protocollo d’intesa tra il Commissario italiano Paolo Glisenti e il presidente Enrico Letta

La diplomazia scientifica, culturale ed economica tra Italia, Europa e Sud Est asiatico al centro dell’accordo

Roma, 4 febbraio 2021

Il rafforzamento delle relazioni tra Italia, Europa e Sud Est asiatico attraverso attività, iniziative ed eventi da realizzare in occasione della partecipazione dell’Italia a EXPO 2020 Dubai: è questo l’obiettivo al centro dell’accordo tra il Commissariato per la partecipazione italiana alla prossima Esposizione Universale e l’Associazione Italia – ASEAN.

Il protocollo, firmato dal Commissario Paolo Glisenti e dal Presidente dell’Associazione Enrico Letta, mira a favorire la partecipazione del sistema imprenditoriale e degli enti scientifico-culturali del nostro Paese con interesse strategico nella Regione e a rafforzare la cooperazione economico-finanziaria e culturale tra il Sistema Italia e i Paesi ASEAN, con particolare riguardo ai temi della connettività, del cambiamento climatico e sviluppo sostenibile, del capacity building, della cooperazione marittima e della gestione dei disastri naturali oltre che della sostenibilità agroalimentare e della salute.

L’Associazione Italia-ASEAN si impegna tra l’altro a realizzare, in occasione del Global Business Forum ASEAN di Expo 2020 Dubai, previsto l’8-9 dicembre 2021, una o più iniziative ed eventi volti a rafforzare la cooperazione economico-finanziaria, il business matching e le opportunità di crescita delle esportazioni e degli investimenti, la cooperazione scientifica e culturale tra il Sistema Italia e i paesi dell’ASEAN.

“L’EXPO 2020 Dubai rappresenta una grande occasione per l’Associazione Italia-ASEAN per continuare a lavorare per il rafforzamento delle relazioni tra Italia, Europa e Sud-Est asiatico”, ha dichiarato Enrico Letta. “Avremo l’opportunità di organizzare eventi e promuovere iniziative insieme al Commissariato per l’Esposizione Universale con al centro i principi del dialogo internazionale, del libero scambio e del multilateralismo. Negli ultimi anni abbiamo visto crescere l’interesse verso l’ASEAN, ma sarà fondamentale per il Sistema Italia agire in maniera unita per cogliere le opportunità che stanno emergendo in questa area del Pianeta estremamente dinamica”.

“Il rapporto di collaborazione con ASEAN in vista di Expo 2020 Dubai – ha dichiarato Paolo Glisenti – apre una interessante prospettiva per la partecipazione dell’Italia alla prossima Esposizione Universale nel momento in cui la configurazione di una nuova area di libero scambio tra i paesi asiatici permette alle nostre imprese di guardare al tempo della ripresa dopo la pandemia con maggiore fiducia. Il ruolo che l’Italia svolgerà con ASEAN a Dubai consoliderà le relazioni diplomatiche, culturali e scientifiche con quell’area del Mondo“.




La nuova era digitale per i giovani dell’ASEAN

La pandemia di Covid-19 ha inaugurato l’inizio di una nuova era digitale per la Generazione Z del Sud-Est asiatico

I sociologi chiamano Generazione Z quella dei nati tra il 1997 e il 2012. È la prima della storia dell’umanità a non aver mai conosciuto un mondo senza le tecnologie di comunicazione di massa quali internet e gli smartphone. La loro profonda conoscenza e dimestichezza con la digital technology li rende ad oggi la generazione più esperta nella navigazione in rete, con il potenziale di portare una vera e propria rivoluzione nel mondo del lavoro. Molti di questi giovani apprendono competenze di coding fin dall’età di dodici anni; altri guadagnano cifre considerevoli grazie alle nuove opportunità offerte dalla rete; arrivati all’età adulta, sperimentano nuovi corsi universitari e mestieri mai pensati prima. Si possono quindi considerare dei veri e propri pionieri del settore digitale.

I giovani abitanti dei Paesi ASEAN non fanno eccezione: utilizzando strumenti digitali per rimanere sempre in contatto tra di loro, essi sono più creativi, competenti e pronti a cogliere le opportunità del mondo. Un recente studio del World Economic Forum ha scoperto infatti che nonostante le difficoltà dovute alla scarsa connettività in alcune aree, la trasformazione digitale ha già creato una generazione esperta di tecnologia nel Sud-Est asiatico che sarà un fattore chiave per la crescita inclusiva e sostenibile dell’ASEAN. Lo stesso sondaggio, condotto in collaborazione con Sea, ha rilevato che i giovani della regione nella fascia di età compresa tra i 15 e i 25 anni si sono adattati alle restrizioni del blocco aumentando la loro presenza digitale, mentre i nuovi imprenditori hanno accelerato il passaggio all’e-commerce.                                                                         

Il Sud-Est asiatico oggi ospita 220 milioni di giovani, pari a circa un terzo della popolazione giovanile totale.Per osservare da vicino il potenziale di questo capitale umano, lo scorso 24 novembre si è svolto online il “ASEAN Youth and Community Dialogue Forum 2020”, avente come tema le politiche per lo sviluppo dei giovani, le nuove tendenze e le sfide che devono affrontare gli Stati membri dell’ASEAN. Ospite dell’evento, il Viceministro vietnamita degli affari interni Trần Anh Tuấn ha affermato che il suo Paese e gli altri membri dell’ASEAN puntano molto sui giovani per la costruzione e integrazione della comunità del Sud-Est asiatico. 

Proprio per quanto riguarda gli aspetti socio-culturali infatti, il recente rapporto “Culture Next” che l’azienda di streaming musicale Spotify ha realizzato per analizzare il ruolo dell’intrattenimento audio nel plasmare la cultura e il rapporto con il mercato dei giovani abitanti del Sud-Est asiatico, ha evidenziato conclusioni interessanti. Prendendo in esame 3.000 tra Gen Z e Millennial di Singapore, Malesia, Filippine, Indonesia e Thailandia, per analizzare il loro rapporto con marchi, contenuti web, tecnologia e cultura, il rapporto rappresenta un interessante spaccato delle generazioni che daranno forma all’ASEAN del futuro. Il sondaggio infatti mostra come le nuove identità non siano più definite solo dal luogo di nascita o dall’idioma, ma siano piuttosto formate dal complesso intreccio online tra passioni e interessi comuni: il 61% degli intervistati ha dichiarato di avere almeno un amico proveniente da un altro Paese; il 56% definisce sé stesso in base a chi sono gli amici che lo circondano, a cosa sono appassionati e quale moda seguono; il 78% crede che la musica li aiuti a entrare in contatto tra loro e con altre culture, quindi a creare una comunità transnazionale che superi i confini del proprio luogo di origine.

In conclusione, le nuove generazioni del Sud-Est asiatico appaiono piuttosto diverse rispetto a quelle precedenti. Grazie al contatto diretto con la rivoluzione digitale, la Generazione Z in ASEAN è dinamica e flessibile, pronta a cogliere le opportunità delle trasformazioni in corso e aperta a nuove forme di integrazione sovranazionale. Con oltre 200 milioni di giovani under 35, il Sud-Est asiatico si candida dunque a diventare un importante hub di innovazione in Asia e nel mondo. 

Lo stato degli accordi commerciali tra UE e ASEAN

L’UE ha tentato di negoziare un trattato di libero scambio con l’ASEAN, ma il fallimento di questa strategia ha portato a preferire accordi con i singoli Stati. 

UE ed ASEAN avevano avviato i negoziati per un accordo di libero scambio già nel 2007, ma si bloccarono nel 2009. Da quel momento l’UE ha preferito portare avanti trattative coi singoli Stati membri e ad oggi è riuscita a siglare accordi con Singapore (2019) e Vietnam (2020). Sebbene siano aperte le trattative con Indonesia, Malesia, Thailandia e Filippine, l’obiettivo finale dell’UE è utilizzare questi singoli accordi come basi di lancio per arrivare un giorno ad un accordo region-to-region con l’ASEAN. 

Nel complesso, l’ASEAN è una delle più grandi economie del mondo, un mercato di oltre 660 milioni di consumatori, con una classe media in rapida espansione, che offre grandi opportunità agli esportatori e agli investitori dell’UE. L’ASEAN è il terzo partner commerciale dell’UE dopo USA e Cina, mentre l’UE è il terzo partner commerciale dell’ASEAN, dopo Cina e USA. La regione è anche un hub chiave per il transito di merci ed occupa una posizione importante nelle reti produttive. Ad oggi l’ASEAN ha firmato accordi di libero scambio con Cina, Hong Kong, Giappone, Corea, India, Australia e Nuova Zelanda. Inoltre, gli Stati ASEAN sono tra i 15 Paesi che hanno concluso i negoziati del RCEP e quattro di loro (Brunei, Malesia, Singapore e Vietnam), sono anche membri del CPTTP.

Con l’Indonesia il dialogo è iniziato nel 2016 ed è tutt’ora in corso. Le tematiche trattate sono varie e alcune sono in via di chiusura (questioni sanitarie, antitrust e fusioni), mentre altre sono in sospeso (disposizioni istituzionali relative alle dogane) o in corso di discussione (norme di origine sui prodotti, liberalizzazione degli scambi delle merci, imprese statali e sussidi, investimenti e servizi). Rimane dirimente il tema dell’olio di palma, poiché l’Indonesia ne è il primo produttore al mondo e ritiene che le misure dell’UE sulle energie rinnovabili discriminino i biocarburanti a base di questo olio. Su questo tema è aperto un contenzioso con l’UE in sede OMC. In generale, si ritiene che un accordo produrrebbe entro il 2032 un aumento del PIL dell’UE compreso tra 2-3 miliardi di euro e per l’Indonesia tra 4-5, mentre l’aumento delle esportazioni sarebbe nella scala di 5-6 miliardi per l’UE e 5 per l’Indonesia.

I negoziati con la Malesia sono stati avviati nel 2010, ma sospesi nel 2012 a causa dei preparativi per le elezioni malesi nel 2013, la partecipazione ai colloqui sul TPP e l’incapacità di entrambe le parti di concordare sui termini dell’accordo. Il rilancio dei negoziati è subordinato alla portata dell’accordo, poiché l’UE si aspetta che la Malesia punti ad un accorso ambizioso simile a quelli con Singapore e Vietnam. Ad oggi i negoziati sono fermi poiché la Malesia non hanno ancora preso posizione sulla loro continuazione e a pesare sulla riapertura vi è la politica dell’UE sull’olio di palma (di cui la Malesia è secondo produttore mondiale), tanto che il Paese sosterrà l’Indonesia nel contenzioso contro l’UE in sede OMC.

Invece, problemi di natura politica bloccano i negoziati con Thailandia e Filippine. I negoziati con la Thailandia, avviati nel 2013, si sono bloccati dopo il golpe militare nel 2014. Il ritorno alla democrazia e il rispetto dei diritti umani sono i prerequisiti per l’UE per riprendere i negoziati. Successivamente alle elezioni del 2019, si sono fatti passi verso il rilancio dei colloqui, ma, prima ancora di riprendere le negoziazioni, le parti dovranno trovare un accoro in merito al campo di applicazione del FTA e pertanto sono in corso discussioni a tal fine. I negoziati con le Filippine sono stati avviati nel 2015, e dopo una serie di round sono stati bloccati sempre a causa della situazione dei diritti umani e della democrazia. Solo recentemente le parti hanno ripreso i rapporti e discusso la prospettiva di proseguire i negoziati per un accordo.

Per il futuro l’UE si augura di poter riaprire negoziati bi-regionali e nel 2019 a conclusione della 22a riunione ministeriale UE-ASEAN, i due attori sovranazionali hanno ribadito il reciproco impegno per un accordo commerciale regionale. Sebbene vi sia stata poca convergenza tra le due parti, come anche all’interno dei singoli Paesi ASEAN stessi, per quanto riguarda il campo di applicazione dell’accordo, non di meno vista l’importanza della regione, l’impegno per addivenire ad un accordo continuerà.

A cura di Niccolò Camponi

Il complesso rapporto tra ASEAN e Cina

Mentre crescono le interazioni sul fronte economico, si intravede il rischio dell’egemonia commerciale cinese nella regione

Le politiche di buon vicinato sono diventate la priorità del governo cinese per gli anni a venire. Per aggirare l’isolamento diplomatico tentato da Washington, Xi Jinping si è concentrato sul rafforzamento dei legami economici con i Paesi del Sud-Est asiatico, oggi la più importante rampa di lancio per la proiezione globale della Cina. Ne è la conferma la recente visita del Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in Myanmar, Indonesia, Brunei e Filippine. Durante questo mini tour dell’ASEAN, Wang Yi, ha ribadito più volte l’importanza di una cooperazione rafforzata nell’Indo-pacifico, rivolta al superamento dell’emergenza sanitaria ma soprattutto al coordinamento con la Belt and Road Initiative (BRI), l’imponente iniziativa cinese destinata a migliorare i collegamenti infrastrutturali con l’Eurasia.

Storicamente i rapporti tra Pechino e l’ASEAN non sono sempre stati idilliaci. Si può dire, però che dagli anni ’90 vi sia stato un progressivo avvicinamento economico e diplomatico tra le parti, culminato nell’accordo di libero scambio del 2002. Da allora la Cina non ha smesso di corteggiare l’ASEAN e gli altri Paesi dell’indopacifico per consolidare ulteriormente la cooperazione economica. Da ultimo, nel 2020, dopo otto anni di negoziati, è stata siglata la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), un accordo storico che ha dato vita al blocco commerciale più grande al mondo, capace di sovvertire gli equilibri economici del pianeta. I firmatari sono i 10 membri dell’ASEAN più Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, ma non gli Stati Uniti, la cui esclusione è un segnale evidente della loro perdita di peso strategico nella regione.

La tempistica dell’accordo non è casuale; ricalca le conseguenze della crisi sanitaria ed economica che ha colpito il mondo intero, eccezion fatta per la Cina, unico Paese del G20 in crescita nel 2020. Da tempo, infatti, Pechino spingeva per una più profonda interconnessione economica con i Paesi del Sud-Est asiatico. Questa tendenza alla cooperazione regionale privilegiata è stata confermata dalla crescita continua, nonostante l’emergenza sanitaria, dello scambio tra Pechino e i Paesi ASEAN, che sono diventati i maggiori partner commerciali della Cina, sorpassando di gran lunga l’Unione Europea. Se, infatti, il commercio è aumentato del 7% rispetto agli anni precedenti anche gli investimenti bilaterali hanno segnato un notevole incremento, attestandosi al +58% rispetto al 2019

Tuttavia c’è, per così dire, un rovescio della medaglia: la capacità di ripresa di Pechino dalla pandemia in anticipo rispetto al resto del mondo, con una prospettiva di crescita dell’8% nel 2021, in aggiunta alla maggiore influenza commerciale nel Sud-Est asiatico acquisita grazie alla RCEP, potrebbe rendere i Paesi dell’ASEAN sempre più dipendenti dalle esportazioni e dagli investimenti esteri dell’ingombrante vicino di casa. Specialmente dopo la decisione dell’India di abbandonare i negoziati, la Cina si configura come l’attore principale dell’accordo. Ciononostante, i vantaggi sono numerosi; sfruttando la complementarità dei diversi sistemi economici, i Paesi dell’ASEAN, con il supporto degli altri membri, riusciranno a sviluppare più agilmente le catene del valore regionali,  diventando una destinazione privilegiata per gli investimenti diretti esteri, soprattutto nipponici e sudcoreani, riequilibrando dunque l’influenza cinese. Ciò garantirà l’incremento della capacità industriale dei Paesi ASEAN e, nel lungo periodo, anche una probabile diminuzione del divario del reddito medio nella regione. 

In realtà, la propensione a riallocare gli investimenti verso i Paesi ASEAN non è  una novità; già da alcuni anni, infatti, si è registrata una crescita degli IDE provenienti da Giappone, Corea del Sud e Taiwan superiori alla quota indirizzata dagli stessi Paesi verso Pechino. Ciò è principalmente dovuto all’aumento del costo del lavoro in Cina, ma anche alla necessità di differenziare le catene di produzione in seguito allo scontro commerciale tra Washington e Pechino. È infatti in aumento la tendenza a riconsiderare la centralità economica dell’ASEAN; grazie anche all’efficace contenimento dell’emergenza sanitaria, quest’area non ha registrato importanti deficit economici e commerciali. Peculiare è il caso del Vietnam, che con un Pil del 2,6% maggiore rispetto al 2019 si conferma l’unica nazione asiatica, insieme alla Cina, ad aver presentato una crescita economica costante durante l’emergenza sanitaria. Ma non è tutto; nel 2021 è previsto l’incremento delle economie di tutta la regione, in particolare per l’Indonesia (+6,1%), la Cambogia (+6,8%), le Filippine (+7,4%) e la Malesia (+7,8%).

In conclusione, l’asse mondiale si sta spostando verso est. Pechino ne è consapevole e non esita a sfruttare la sua posizione privilegiata per ritagliarsi un ruolo di primo piano nel nuovo scenario, conducendo con sé i Paesi dell’ASEAN. Per il Sud-Est asiatico, l’obiettivo sarà cercare un delicato equilibro per garantirsi il suo spazio e attirare investimenti, senza accrescere troppo l’influenza cinese nella regione. 

A cura di Emilia Leban

La potenziale fusione Grab-Gojek: i nuovi giochi di potere tra i due colossi tech dell’ASEAN

Dalle trattative private alla smentita della possibile fusione, Grab e Gojek si contendono il settore ride-hailing e delivery in Indonesia. 

Secondo quanto appreso, negli ultimi mesi Grab e Gojek hanno compiuto sostanziali progressi nell’elaborazione di un accordo per unire le loro attività e realizzare la più grande fusione di aziende tech del Sud-Est asiatico. I due giganti tecnologici sembrerebbero ancora divisi sulla decisione relativa a chi spetterebbe controllare l’Indonesia, il più grande mercato della regione, nonché patria di Gojek. Varie parti dell’accordo sono ancora in fase di elaborazione tra i leader di ciascuna società e SoftBank Group Corporation, uno dei principali finanziatori di Grab. 

Negli ultimi anni Grab e Gojek sono stati al centro di un’accesa rivalità per il dominio del settore tech nella regione. Infatti, si parla da tempo di una loro potenziale fusione, soprattutto dopo la visita del CEO di SoftBank in Indonesia nel gennaio 2020. Un’unione di forze ampiamente sostenuta dai finanziatori di entrambe le parti affinché la dispendiosa contesa per le rispettive quote di mercato si concluda con la creazione di uno dei più potenti colossi economici della regione. 

Grab e Gojek, fondate rispettivamente a Singapore e Jakarta, rappresentano le due startup di ride-hailing, delivery, pagamenti finanziari e servizi assicurativi più importanti dell’Asia sud-orientale. Grab, già presente in ben otto Paesi della regione (Singapore, Malesia, Indonesia, Thailandia, Vietnam, Filippine, Myanmar, Cambogia) è stata ultimamente valutata a più di $15 miliardi. Gojek, del valore di $10 miliardi, è attiva invece cinque Stati ASEAN: Indonesia, Singapore, Filippine, Thailandia, Vietnam. Grab e Gojek si impongono come attori principali nella maggior parte dei mercati ASEAN. Inoltre, le stime confermano che l’internet economy della regione ha superato i 100 miliardi di dollari nel 2020. 

Anthony Tan, CEO e co-fondatore di Grab, in seguito alle voci relative ad una imminente fusione con Gojek, ha recentemente inviato una nota interna ai dipendenti per smentire le nuove speculazioni. “Il nostro business momentum è buono e siamo in posizione di fare acquisizioni”, ha dichiarato Tan, senza fare alcun riferimento all’eventuale fusione tra i due unicorni. Nonostante le enormi problematiche causate dalla pandemia di Covid-19, la prima crisi affrontata dalle giovani startup del Sud-Est asiatico, gli affari di Grab sono pienamente tornati ai livelli pre-pandemici. Tan ha inoltre aggiunto che Grab si è affermata, in termini di fatturato, come azienda dominante nel settore del food delivery in Indonesia, l’area di maggiore concorrenza con Gojek.

In risposta, gli amministratori delegati di Gojek hanno dichiarato che non ci sono motivi urgenti per realizzare la fusione con Grab; l’azienda è ben capitalizzata e ci sono numerose risorse per continuare a far crescere le attività nei prossimi anni, tra cui un’invidiabile lista di finanziatori, come Google, Tencent, Facebook, PayPal.

Le leadership di Grab, Gojek e SoftBank hanno preferito non commentare le voci diffuse dai media sulla possibilità di una fusione, che vedrebbe Grab in un ruolo dominante. Oltre ad avere un valore di mercato superiore rispetto a quello Gojek, l’unicorno Grab opera anche in più Paesi.

Inoltre, secondo la proposta di Grab, Tan diventerebbe “CEO a vita” della nuova società, con i dirigenti di Gojek chiamati a gestire l’Indonesia sotto il brand Gojek. Un’altra versione dell’accordo vedrebbe Gojek mantenere la sua partecipazione attiva nell’entità risultante dalla fusione, aggiungendo la creazione di un joint branding in Indonesia. 

Proprio la struttura azionaria della nuova società sarebbe il punto di rottura tra le due parti. Gojek avrebbe chiesto il 40% delle azioni, una quota che Grab ritiene troppo elevata, considerate le migliori condizioni finanziarie rispetto al rivale indonesiano, anche in termini di entrate.

Nonostante il supporto dei finanziatori, per ora le strade di Grab e Gojek restano separate e l’approvazione di un accordo definitivo sembra ancora molto lontano. A pesare sulla fusione sono anche le questioni antitrust. Il mercato cruciale è l’Indonesia, dove sia Grab che Gojek dominano entrambi i servizi di ride-hailing e delivery. Intanto, Gojek non perde tempo e ha già firmato un term-sheet con Tokopedia, il colosso indonesiano dell’e-commerce, in vista di una probabile fusione da 18 miliardi di dollari. I nuovi giochi di potere in atto nella regione potrebbero mischiare le carte e svelare nuove prospettive per il settore digitale. 

CAI: una svolta nelle relazioni economiche UE-CINA

UE e Cina hanno raggiunto un accordo di principio sugli investimenti che permetterà alle aziende europee di accedere al mercato cinese con maggiore libertà. 

Il raggiungimento dell’Accordo, sotto forma di intenti di principio, tra UE e Cina lo scorso 30 dicembre, sul Comprehensive Agreement on Investment (CAI), segna una tappa fondamentale nelle relazioni economiche tra i due grandi mercati mondiali. In base all’accordo, la Cina accetterà di aprire maggiormente la sua economia agli investimenti europei, anche e soprattutto in alcuni settori storicamente chiusi al mercato. Inoltre, si impegnerà affinché alle imprese europee sia garantito un trattamento equo così da poter competere in condizione di parità con le imprese cinesi. In ultimo, ha accettato di discutere di sviluppo sostenibile, di lavoro forzato e di ratificare le convenzioni fondamentali dell’ILO.

Sono diversi i settori economici nei quali la Cina garantirà maggiore apertura e competitività per le imprese europee. Si va dal settore manifatturiero (che riguarda la metà degli IDE europei in Cina) e dell’automotive, a quello dei servizi finanziari, dei trasporti aerei e marittimi, delle tecnologie di comunicazione e informatiche, della sanità, dell’ambiente e sostenibilità. In ciascuno dei suddetti settori non solo sarà appunto garantita maggiore apertura, ma la Cina assicurerà che il mercato sia governato da regole certe e viga la piena concorrenza tra impese europee e di Stato cinesi, soprattutto per ciò che concerne la trasparenza e i sussidi, oltre a vietare i trasferimenti forzati di tecnologia. In aggiunta, le imprese europee potranno beneficiare di iter semplificati nell’avere autorizzazioni e nel completare procedure amministrative e potranno avere accesso agli organismi di normalizzazione cinesi.

Sia l’UE che la Cina sono entrambi molto impegnati nel rispetto degli Accordi di Parigi sul clima e quindi hanno voluto ribadire la centralità del tema della sostenibilità nel recente Accordo. Infatti, le due parti contraenti hanno deciso di vincolarsi al rispetto dei valori espressi nei principi dello sviluppo sostenibile in merito agli investimenti e le questioni relative allo sviluppo sostenibile saranno soggette a un meccanismo di applicazione composto da un panel di esperti indipendenti, come avviene per tutti gli accordi commerciali dell’UE. Ciò significa una risoluzione trasparente dei disaccordi con il coinvolgimento della società civile. È da notare che questo è il primo caso in cui la Cina accetta vincoli tanto stringenti con un altro partner commerciale. Come conseguenza la Cina dovrà modificare la propria politica in materia ambientale e lavorativa in modo da innalzare gli standard di controllo rispetto al livello attuale, tenuti volontariamente bassi proprio per attrarre maggiori investimenti. In aggiunta, dovrà rispettare i propri obblighi internazionali e far si che le sue aziende attuino una condotta responsabile.  

Dal punto di vista europeo il CAI assicura che la Cina continui e non torni indietro sulla sua politica di liberalizzazione degli investimenti portata avanti negli ultimi 20 anni, dando maggiore sicurezza alle aziende europee. Permette all’UE di ricorrere al meccanismo di risoluzione in caso di violazione degli impegni e di giovarsi dell’eliminazione di varie restrizioni all’accesso al mercato come restrizioni quantitative, limiti di capitale o requisiti di joint venture. D’altra parte il CAI preserva settori sensibili come energia, agricoltura, pesca, audiovisivo, servizi pubblici.

Se si analizza il CAI anche alla luce del recente accordo RCEP, si può constatare come il gigante asiatico si sia chiaramente indirizzato verso una strada che porta a una maggiore apertura verso il mercato. È significativo notare come in un lasso di tempo davvero breve la Cina abbia sottoscritto due grandi accordi commerciali da una parte con 14 paesi dell’Asia-Pacifico e dall’altra con la più grande organizzazione sovranazionale, l’UE. Bisognerà vedere come gli USA sotto la nuova presidenza Biden risponderanno a questa offensiva market friendly cinese e soprattutto quali saranno le implicazioni per le relazioni transatlantiche. Infatti, la Cina potrebbe aver voluto concedere maggior spazio di manovra agli europei nel suo mercato con l’intento di ingraziarseli e con la conseguenza recondita di rompere l’asse USA-UE in funzione anticinese in tema di rispetto dei diritti umani.  Questa mossa europea scompagina certo l’asse occidentale nei confronti della Cina, ma è difesa a Bruxelles con la motivazione che l’UE deve avere una sua relazione con la Cina indipendente dalle posizioni di Washington. il tema vero su cui l’UE dovrebbe riflettere è che ad oggi manca una vera politica europea onnicomprensiva nei confronti della Cina. 

A cura di Niccolò Camponi

Come le Nazioni Unite stanno trasformando l’agricoltura nei Paesi ASEAN

L’ONU ha da tempo avviato una fruttuosa collaborazione nel settore agricolo con l’ASEAN per lo sviluppo sostenibile delle popolazioni più vulnerabili 

L’agricoltura rappresenta una fetta sostanziale del PIL di quasi tutti i Paesi ASEAN, ed è una delle maggiori fonti di impiego, dirette o indirette, per le circa 300 milioni di persone che vivono nelle zone rurali. Benché gli stati della regione si differenzino per struttura economica e produttiva, il settore primario è una delle maggiori fonti di introiti in Indonesia, in Vietnam, in Myanmar e in Cambogia; tuttavia, nonostante alcuni di questi siano tra i principali produttori mondiali di determinate commodities (quali riso e caffè), la loro massima capacità produttiva è ancora lontana dall’essere raggiunta. Per contrastare i problemi legati ai bassi livelli di produttività, all’accesso limitato ai mercati internazionali, alla scarsa diffusione delle tecnologie, alla diminuzione della forza lavoro impegnata nel settore agricolo (conseguente allo sviluppo industriale) ed al cambiamento climatico, negli ultimi anni abbiamo assistito a sempre maggiori investimenti nel settore. A dare un contributo a questo processo, sono da annoverare le organizzazioni internazionali che operano nella regione e alle quali si può attribuire parte del merito della nuova primavera agricola nel Sud-Est asiatico.

Partner dell’ASEAN in questa sfida per rendere il settore agricolo sempre più sostenibile, sono le cosiddette Rome Based Agencies (RBAs) delle Nazioni Unite: la Food and Agriculture Organization (FAO), l’International Fund for Agricultural Development (IFAD) e il World Food Program (WFP). Esse offrono una vasta gamma di conoscenze ed esperienze nei settori finanziario e tecnologico, e sono riconosciuti a livello internazionale come le massime autorità nei campi della sicurezza alimentare, dell’agricoltura e della nutrizione.

Il WFP ha come missione primaria l’intervento in situazioni di emergenza per sostentare le popolazioni con aiuti alimentari che in prospettiva possano garantire uno sviluppo economico e sociale, ed è attualmente impegnato in progetti di assistenza in cinque Paesi dell’Associazione (Filippine, Myanmar, Laos, Indonesia e Cambogia). La FAO e l’IFAD, invece, lavorano per l’implementazione di progetti a lungo termine che possano creare sviluppo agricolo rispettivamente con l’obiettivo di sconfiggere la fame e la malnutrizione nel mondo, e di rendere le economie rurali più inclusive, produttive e sostenibili.

La FAO, della quale fanno parte tutti i membri dell’ASEAN, ha una fruttuosa storia di cooperazione bilaterale con l’Associazione stessa, alla quale fornisce consulenza su politiche, analisi e assistenza nel settore agricolo, in particolare collaborando con la ASEAN Economic Community (AEC). L’ASEAN e la FAO, attraverso un Memorandum of Understanding firmato nel 2013, si sono impegnate ad aumentare la cooperazione in campo agricolo con l’obiettivo di ridurre la fame nella regione, progredire nel campo della sicurezza alimentare, e prevenire e controllare le malattie animali transnazionali. 

L’IFAD, invece, è attualmente impegnata nella collaborazione col Segretariato per supportare due obiettivi: l’ASEAN Programme on Sustainable Management of Peatland Ecosystems per limitare l’impatto ambientale dello sfruttamento agricolo, e l’ASEAN Economic Blueprint 2025 che si concentra sullo sviluppo delle tecnologie digitali. In collaborazione con gli stati membri, l’IFAD sta facilitando la raccolta e l’analisi di dati relativi alla gestione delle terre, per monitorare e prevenire gli incendi e lo smog, oltre a rafforzare il coordinamento regionale per la prevenzione degli stessi. L’IFAD, inoltre, assiste anche i piccoli produttori nell’utilizzo di tecnologie digitali per la produzione agricola, facilitando nuove partnership tra il settore pubblico e privato, e fornendo gli strumenti necessari per l’implementazione di queste tecniche attraverso corsi di formazione mirati. 

Attraverso questi esempi di multilateralismo, l’ASEAN riceve dal sistema ONU un importante supporto nella sua corsa per rendere l’agricoltura un mezzo efficiente per il sostentamento della sua popolazione, e per uno sviluppo sostenibile come indicato dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. La stretta cooperazione tra organizzazioni regionali e globali, in particolare su problematiche che riguardano il miglioramento delle condizioni di vita delle persone, si conferma il più efficace strumento di politica di sviluppo, rendendo possibile il trasferimento rapido di nuove tecnologie anche nelle aree rurali più povere e periferiche. 

A cura di Luca Menghini

Sicurezza comune tra UE e ASEAN

Europa e Sud-Est asiatico rafforzano il dialogo strategico nel campo della sicurezza, ampliando la loro cooperazione anche a tematiche non tradizionali

L’Unione Europea e l’ASEAN sono consapevoli che la stabilità di un Paese membro è strettamente interconnessa a quella degli altri; per questo hanno deciso che la creazione di un ecosistema di sicurezza comune dovesse essere uno dei principi fondamentali del loro partenariato. La cooperazione tra le due organizzazioni in questo campo ha solide tradizioni, ed è dimostrata, tra le altre cose, dal regolare coinvolgimento dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza nelle riunioni ministeriali del Forum Regionale dell’ASEAN (ARF). Inoltre nel corso degli anni, i funzionari europei hanno sia dato un contributo alla realizzazione dei piani dell’ARF, sia hanno co-presieduto alcune iniziative di questo Forum regionale. Specularmente, l’ASEAN dal 2014 ha iniziato a prendere parte ad alcuni corsi di orientamento sulla difesa comune dell’Unione Europea, attraverso la presenza di suoi alti funzionari.

Negli ultimi anni, gli obiettivi di sicurezza condivisi si sono ampliati a questioni non tradizionali tra cui: la lotta al terrorismo, la lotta alla criminalità transnazionale, la gestione delle crisi sociali, la prevenzione dei conflitti, la sicurezza marittima e la gestione dei pericoli dati dai materiali chimici, biologici, radiologici e nucleari.  L’abitudine alla cooperazione congiunta è culminata con la stesura di un ASEAN-EU Plan of Action (2018-2022) in occasione della 22° Riunione Ministeriale UE-ASEAN, nella quale si è deciso di far evolvere la relazione tra le due organizzazioni in un Partenariato Strategico. La decisione è stata poi confermata il 1 dicembre 2020, quando le due organizzazioni sono ufficialmente diventate partner strategici.

Il tema forse più importante della cooperazione tra UE e ASEAN, tra quelli sopra elencati, è quello relativo alla sicurezza marittima. Nel 2020 quest’ultima è stata individuata tra le aree di intervento prioritarie, in quanto tutte le principali economie dell’ASEAN si affacciano sul Mar Cinese Meridionale, acque in cui passa buona parte del traffico globale di merci. Di conseguenza, ogni focolaio di instabilità che minaccia la navigabilità degli stretti si riflette immediatamente sull’economia dei Paesi coinvolti, e rappresenta una seria minaccia per lo sviluppo pacifico della regione. L’UE, uno dei più importanti partner commerciali dell’ASEAN, è ugualmente interessata alla risoluzione pacifica dei conflitti territoriali presenti nella zona. Sul lato pratico, la collaborazione sulla sicurezza marittima  ha dato vita ad un comitato permanente UE-ASEAN su temi come la pirateria, la sicurezza dei porti e la gestione comune delle risorse. L’obiettivo che si vuole raggiungere è quello di evitare conflitti per il dominio dei mari e soprattutto promuovere il rispetto del “diritto del mare”.

Il terrorismo rappresenta una delle principali sfide alla sicurezza nei Paesi europei e in quelli dell’ASEAN. Questi ultimi hanno conosciuto la sua brutalità per la prima volta nel 2002, all’indomani degli attenti di Bali e Denpasar compiuti dall’organizzazione terroristica Jemaah Islamiyah. La strage ha dato impulso al Segretariato dell’ASEAN per la stesura di una Joint Declaration on Cooperation to Combat Terrorism, una dichiarazione di intenti nella quale si sottolinea la convinzione che il terrorismo debba essere combattuto congiuntamente e a livello internazionale; a seguito di questa dichiarazione, la lotta al terrorismo è stata ribadita ad ogni meeting congiunto UE-ASEAN. Nell’ultimo ASEAN-EU Plan of Action sono stati previsti incontri fra esperti in controterrorismo di entrambe le delegazioni: inoltre, Indonesia, Filippine, Malesia e Thailandia stanno beneficiando dell’applicazione di misure ad hoc grazie al progetto UE per la Prevenzione e il Contrasto dell’estremismo violento.

Oggi l’Unione Europea e l’ASEAN non solo collaborano come organizzazioni, ma lo fanno anche a livello bilaterale tra singoli stati membri. Un altro traguardo importante in tema di sicurezza comune lo si trova in un accordo tra UE e Vietnam. Il Vietnam ha, infatti, firmato un memorandum d’intesa per prendere parte alle operazioni civili e militari, dispiegate dall’Oceano Indiano all’Africa Orientale, portate avanti dall’Unione Europea. L’accordo è di particolare importanza perché è il primo stipulato tra Bruxelles e un singolo Paese dell’ASEAN, inoltre dimostra la volontà del Vietnam e dell’Unione Europea di voler mantenere la pace e la sicurezza all’interno dei propri confini e in altre parti del mondo. 

A cura di Carola Frattini 

RCEP: sfide e opportunità per l’Indonesia

L’Indonesia cerca di trarre vantaggio dall’adesione alla RCEP mentre è alle prese con problemi di infrastrutture e investimenti

La firma della Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) avvenuta il 15 novembre segna un’importante tappa nella storia recente dell’Indonesia. Dopo otto anni di negoziati, i dieci Stati membri dell’ASEAN insieme a Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, hanno finalmente firmato un accordo commerciale destinato a diventare il più grande della storia. Il trattato infatti creerà un mercato di circa 2,1 miliardi di consumatori, equivalente al 30% del PIL globale.

L’obiettivo della RCEP è quello di creare un partenariato economico reciprocamente vantaggioso per ciascuno dei Paesi partecipanti grazie all’abbassamento delle tariffe, alla semplificazione delle procedure doganali e alla stesura di regolamenti economici comuni. Per l’Indonesia, l’adesione alla RCEP non solo aprirà le porte a una vasta gamma di opportunità commerciali future, ma nell’immediato servirà al Paese per rimettere in sesto un’economia pesantemente colpita dalla pandemia di Covid-19. Molti economisti stanno tuttavia ancora cercando di prevedere tutte le possibili implicazioni che un accordo così ambizioso comporterà per il mercato indonesiano.

Uno degli obiettivi immediati della RCEP è consentire alle merci di circolare in modo più efficiente attraverso i 15 Paesi membri. Ciò comporterebbe un indubbio vantaggio per Jakarta, poiché le attività commerciali di queste nazioni hanno rappresentato il 57% delle esportazioni totali dell’Indonesia e il 67% delle sue importazioni totali nel 2019. Inoltre, il 66% degli investimenti diretti esteri proviene da diversi Paesi firmatari quali Singapore, Cina, Giappone, Malesia e Corea del Sud. Tuttavia, per sfruttare al meglio i vantaggi dell’accordo, l’Indonesia ha bisogno di adeguare il suo sistema infrastrutturale.

Anche prima della pandemia di Covid-19, la crescita economica del Paese è stata spesso rallentata da questo fattore. Nel 2017, la Banca Mondiale ha stimato che l’Indonesia dovrà investire circa 500 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni per colmare il suo divario infrastrutturale. Secondo gli esperti, una delle possibili soluzioni è quella di sfruttare maggiormente le iniziative infrastrutturali lanciate dai governi dell’Asia-Pacifico. Questi includono la cinese Belt & Road Initiative, la Partnership for Quality Infrastructure del Giappone, e l’istituzione della Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture sponsorizzata da Pechino. 

La partecipazione a queste iniziative multilaterali non è tuttavia esente da rischi, e il governo indonesiano deve tenere conto dei risvolti geopolitici. In quanto uno dei principali Paesi del Sud-Est asiatico, l’Indonesia ha un mercato interno che fa gola alle altre potenze del continente asiatico e del mondo. Un esempio è il progetto della ferrovia ad alta velocità Jakarta-Bandung, la cui gara per la costruzione ha causato frizioni tra il Giappone e la Cina, entrambe interessate all’appalto. A vincere alla fine è stata Pechino, che ha offerto tassi di prestito più bassi e una tempistica più breve il completamento dell’opera.

La partecipazione alla RCEP contribuirà senza dubbio ad aumentare degli investimenti esteri diretti verso l’Indonesia. In passato, le rigide leggi sul lavoro hanno indotto molte aziende straniere a ridurre i propri investimenti; per risolvere questo problema, il governo ha introdotto quest’anno una nuova riforma, la Legge Omnibus, che mira a facilitare le attività economiche nel Paese modificando ben 76 leggi esistenti. Sono incluse tra le varie norme la riduzione della burocrazia, l’allentamento delle restrizioni sugli investimenti stranieri e l’abrogazione di alcune leggi sul lavoro.

Nonostante gli sforzi del governo, il progetto ha ricevuto severe critiche da vari gruppi sociali, poiché il disegno di legge taglia alcune protezioni sociali e allenta le norme ambientali, aumentando il rischio deforestazione e inquinamento. Tuttavia, è ancora troppo presto per vedere l’impatto a lungo termine del disegno di legge, in quanto tutto dipende dalle modalità di attuazione. La Legge Omnibus potrebbe effettivamente portare a un clima migliore per gli investimenti in Indonesia e quindi creare più posti di lavoro, ma deve essere sostenuta da una solida esecuzione e da un ampio monitoraggio da parte del governo.

Sulla base di quanto descritto è chiaro che fare affidamento solo sulla RCEP non è sufficiente, né per la ripresa post-pandemia, né per lo sviluppo economico a lungo termine dell’Indonesia. Per trarre il massimo vantaggio da questo accordo, il Paese deve sostenerlo con una solida pianificazione infrastrutturale e un quadro normativo moderno, entrambe grandi priorità per l’attuale governo. Una volta raggiunti questi obiettivi, l’Indonesia otterrà significativi benefici economici, aumentando la propria competitività e integrandosi maggiormente nella regione Asia-Pacifico. 

A cura di Rizka Diandra 

Traduzione di Andrea Passannanti 

Dietro la macchina da presa

Sfide e opportunità per la cinematografia del Sud-Est asiatico

Manila in the Claws of Light è come un film neorealista italiano. Ma ambientato all’inferno.”

È questo il commento riguardo al più famoso film del regista e sceneggiatore filippino Lino Brocka. Già nel 1975, anno della sua uscita sul grande schermo, il lungometraggio aveva ricevuto il consenso della critica: quella dei FAMAS (Filipino Academy of Movie Arts and Sciences Awards), che gli aveva attributo il premio come miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura, miglior direttore della fotografia, miglior attore, e miglior attore non protagonista; ma anche di quella occidentale, che lo aveva inserito nella lista dei migliori film al mondo, vi aveva dedicato un articolo sul New York Times, e ne aveva proiettato una parte al Festival di Cannes nel 2013. Nella sua versione in Blu-Ray, il film è preceduto da un’introduzione di Martin Scorsese.

Se negli anni d’oro del grande cinema italiano era più raro sentir nominare attori e registi provenienti da Sud-Est, la ricezione di Brocka ed altri in Europa a partire dagli anni 2000 è il segno di un nuovo interesse verso la settima arte del continente asiatico. Il caso più eclatante è sicuramente Parasite, film del regista sudcoreano Bong Joon-ho che nel 2020 è stato il primo film al mondo a ricevere contemporaneamente l’Oscar come Miglior Film e come Miglior Film Internazionale. 

Rispetto a Corea o Giappone, ci sono ancora difficoltà per i Paesi ASEAN nel fare breccia nel mercato cinematografico occidentale. Tuttavia, nonostante gli ostacoli, negli ultimi anni alcuni di loro sono riusciti ad inserirsi nel circuito dei Festival internazionali del Cinema.

È il caso dell’Indonesia con il suo Gundala, un film di supereroi scaturito dalla vena creativa del regista Joko Anwar. Il protagonista principale è tratto da uno dei personaggi del fumettista indonesiano Harya “Hasmi” Suraminata, che per oltre 50 anni si è dedicato a creare vignette, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Stan Lee indonesiano”. Gundala è forse il supereroe più amato in Indonesia, e Anwar ha ben deciso di prenderlo come soggetto per il suo film. Distribuito nei cinema nel 2019, in solo una settimana ha portato nelle sale più di un milione di spettatori, e ha avuto la sua premiere al Toronto International Film Festival. Non è raro trovarlo nei numerosi Far East Asia festival italiani durante l’anno assieme a Impetigore, capolavoro horror sempre del medesimo regista. Nel 2020 è stato anche doppiato in francese e distribuito in Blu-Ray da Condor Films, una compagnia nota per distribuire film premiati a Cannes o al Sundance Film Festival.

Il genere documentaristico invece è ben rappresentato da Midi-Z, il direttore cinematografico naturalizzato taiwanese, ma originariamente nato in Myanmar. Il suo Ice Poison del 2014 è stato scelto da Taiwan per concorrere ai Foreign Language Academy Awards. Una scelta sensata, visti il suo esordio al Festival di Berlino, e la sua vittoria come “Best International Feature Movie” al festival di Edimburgo. Midi Z stesso è stato nominato “Regista Taiwanese dell’anno” ai 53esimi Golden Horse Awards di Taipei. Nonostante sia naturalizzato taiwanese, il tema di Myanmar è una costante delle sue opere più celebri, da Return to Burma (2014) a Road to Mandalay (2016).

Nonostante la poliedricità e la varietà di temi del cinema del Sud-Est asiatico, non molto riesce ancora ad arrivare nelle sale europee al di là dei Festival d’autore. Oltre all’ancora scarsa domanda del mercato, soprattutto la mancanza di fondi e di maggiore supporto governativo per il cinema creativo giocano un ruolo importante. L’Italia, in questo senso, è privilegiata: esistono spazi importanti per il cinema asiatico in molte città italiane, primo tra tutti il Festival del Cinema di Venezia. Anche la Rai offre da alcuni decenni una delle vetrine di cinefilia televisiva più importante a livello globale, dove trovare prodotti allettanti e curiosità di nicchia. Un ruolo di rilievo del nostro Paese, che se sfruttato nel modo giusto potrebbe portare ancora più persone ad avere un assaggio del ricco repertorio cinematografico dei Paesi ASEAN.

Articolo di Valentina Beomonte Zobel

UE – ASEAN, sempre più forte la cooperazione internazionale

Unione Europea e ASEAN consolidano i loro rapporti in materia di economia, sicurezza, sostenibilità ambientale, e connettività

Dopo sei anni di colloqui, nella riunione di martedì primo dicembre, l’Unione Europea e i dieci Paesi del gruppo ASEAN hanno aggiornato lo status delle rispettive relazioni, passando dal “Partenariato di Dialogo” al ben più consistente “Partenariato Strategico”.

Le interazioni tra Unione Europea e ASEAN hanno una lunga storia alle spalle, costellata da scambi commerciali, investimenti diretti esteri e accordi bilaterali tra l’UE e i singoli membri dell’Associazione. Tuttavia, il desiderio da parte della Commissione Europea di rafforzare i rapporti tramite una partnership più avanzata è emerso in via ufficiale solo nel 2015 e due anni dopo, nel 2019, i Ministri degli Esteri dell’ASEAN e dell’UE hanno concordato i principi per l’elaborazione del Partenariato Strategico. 

Il meeting del primo dicembre scorso ha sancito l’impegno delle parti nell’organizzazione di vertici a cadenza regolare e nel rafforzamento della cooperazione in quattro aree strategiche: economia, sicurezza, sostenibilità ambientale e connettività. I copresidenti della riunione ministeriale, l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri Josep Borrell e il Ministro degli Esteri singaporiano Vivian Balakrishman, hanno entrambi accolto con favore l’iniziativa, sottolineando l’importanza di questo “evento storico”.

L’esito della trattativa è stato a lungo incerto a causa delle controversie sull’olio di palma, un prodotto ancora essenziale per le economie di Malesia e Indonesia ma avverso all’UE per le ripercussioni ambientali della sua produzione. Nell’ottica dello sforzo comune, però, entrambe le parti hanno convenuto sull’istituzione di un comitato congiunto, interamente dedicato alla riformulazione in chiave sostenibile dell’industria degli oli vegetali. Nell’approccio allo sviluppo sostenibile, inoltre, i leader UE e ASEAN hanno fatto riferimento agli obiettivi individuati da alcuni precedenti accordi internazionali, come l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e la Convenzione Quadro di Sendai per la riduzione del rischio di catastrofi ambientali. L’idea è quella di instaurare un dialogo completo che includa argomenti quali il cambiamento climatico, la preservazione degli oceani e della biodiversità, l’incremento dell’energia rinnovabile e il rispetto dei diritti umani. L’ASEAN ha poi accolto favorevolmente l’impegno comunitario per la promozione di città più “verdi”, attraverso l’implementazione del programma “ASEAN Smart Green Cities”.

La pandemia di Covid-19 è stata il secondo punto all’ordine del giorno. Riconoscendone l’impatto senza precedenti, i leader hanno incoraggiato una maggiore cooperazione per incrementare le rispettive capacità di risposta alla crisi, coniugando salute pubblica e sviluppo sostenibile. L’UE ha già offerto all’ASEAN 800 milioni di euro per affrontare l’emergenza sanitaria e si è impegnata nell’elargizione di altri 20 milioni e nel sostegno del progetto “South East Asia Health”. Entrambe le parti hanno, inoltre, concordato un approccio congiunto per garantire l’accessibilità equa e collettiva ai vaccini, definiti come “beni pubblici globali”. In tale contesto, l’Unione Europea fornirà un contributo di 500 milioni di euro in sovvenzioni e prestiti garantiti per sostenere il COVAX, la struttura multilaterale destinata ad accelerare lo sviluppo, la produzione e la diffusione globale di vaccini.

I leader hanno poi riconosciuto l’importanza di una sempre più solida cooperazione economica, soprattutto indirizzata alla ripresa dell’economia mondiale post-Covid-19. Nel concreto, l’impegno assunto dalle parti sarà quello di compiere ulteriori sforzi verso la negoziazione di un ambizioso accordo di libero scambio tra UE e ASEAN, incentrato su maggiore integrazione economica e liberalizzazione del commercio.

Nel richiamare la dichiarazione UE-ASEAN sulla cooperazione in materia di cybersecurity, adottata nel 2019, le parti hanno inoltre sottolineato l’importanza di rafforzare la cooperazione in tale ambito, per promuovere l’informazione aperta, sicura, accessibile e pacifica. Il tema della sicurezza viene ulteriormente ripreso dall’intento di consolidare gli sforzi congiunti per contrastare il terrorismo e i crimini transnazionali oltre che per assicurare la pace e la stabilità duratura nella regione.

Infine, in una dichiarazione separata i Ministri si sono impegnati a promuovere la connettività tra l’UE e l’ASEAN, necessaria per supportare la ripresa socioeconomica post-pandemia, in modo più sostenibile e inclusivo. Si pensa dunque a semplificare e diversificare le reti di trasporto, incoraggiare l’utilizzo di energie pulite e rinnovabili, garantire maggiore sicurezza alimentare, energetica e sanitaria e favorire lo scambio politico nei campi dell’istruzione, della ricerca, del turismo e della tecnologia.

Alla fine delle trattative è emerso ancora una volta l’approccio pragmatico di Unione Europea e ASEAN. La pandemia non ha risparmiato nessuno e il Partenariato Strategico sottolinea l’urgenza di avvicinare due fra i maggiori blocchi economici esistenti, che valgono quasi il 30% del PIL mondiale e che insieme possono essere determinanti per la ripresa economica del mondo intero. Come ha ricordato Gunnar Wiegand, Direttore degli Affari Esteri per l’Asia e il Pacifico dell’UE, si è tratta di un accordo storico “tra due ancore di stabilità in un mondo di crescenti incertezze”.

A cura di Emilia Leban