Asean

Reindirizzamento della cooperazione in materia di difesa tra India e ASEAN

La cooperazione non si limita solo all’impegno militare, ma è andata avanti con prospettive future nello spazio e nell’intelligence

Articolo di Aishwarya Nautiyal

Il forum regionale dell’ASEAN, che è un’importante piattaforma del dialogo sulla sicurezza dell’ASEAN per la consultazione e la cooperazione al più alto livello di impegno nella difesa, ha visto una partecipazione attiva dell’India dando priorità alle relazioni ASEAN-India, sottolineando l’importanza del forum come chiave per l’impegno regionale con una visione di reciproca sicurezza e crescita mantenendo l’equilibrio attraverso visite portuali ed esercitazioni militari. L’India Act East Policy ha portato nuove piattaforme come SIMBEX e SITMEX con Singapore e Thailandia attraverso esercitazioni militari assicurando la prontezza a mantenere la pace e la sicurezza regionali. Impegno marittimo sfruttando la posizione geografica strategica delle isole Andamane e Nicobare (India) e dei suoi vicini come Thailandia, Malesia, Indonesia, Myanmar, Singapore, che fornisce un focus chiave alla cooperazione di Malacca e promuove una linea sicura per i canali commerciali internazionali.

      L’India non vedeva l’ora di fornire varie piattaforme di difesa come i sistemi missilistici Brahmos alle Filippine, che sono costati quasi 375 milioni di dollari per la marina. D’altra parte, l’India e Singapore hanno mostrato una crescita significativa nella cooperazione bilaterale in materia di sicurezza impegnandosi in varie esercitazioni navali, inclusa una nuova cooperazione navale in cui l’India ha ottenuto l’accesso alla base navale di Changi per le sue navi con diritti di rifornimento e supporto logistico. L’accordo prevede anche una disposizione per il reciproco rifornimento e riarmo sulle basi militari dell’altro. Uno degli sviluppi significativi può essere visto con la cooperazione di difesa tra India e Vietnam, dove l’India ha ottenuto l’accesso alla base navale e aerea di Cham Ranh Bay fornendo anche addestramento e sistemi d’arma avanzati alle forze di difesa vietnamite. Finora 550 sottomarini vietnamiti hanno acquisito una formazione e una conoscenza approfondite presso la base di addestramento dei sottomarini di INS Satavahana insieme a 100 milioni di dollari di credito per acquistare attrezzature di difesa indiane. I piloti vietnamiti vengono regolarmente formati per le piattaforme Sukhoi, mentre l’impegno di imprese private può essere visto anche con Larsen e Toubro per equipaggiare le guardie di frontiera vietnamite con 12 navi offshore. Nel 2016 è stata fornita una nuova linea di credito di 500 milioni di dollari per l’acquisto di nuove piattaforme di difesa.

     La cooperazione non si limita solo all’impegno militare, ma è andata avanti con prospettive future nello spazio e nell’intelligence. La decisione dell’India di istituire un sistema di localizzazione e imaging satellitare intorno alla città di Ho Chi Minh con il finanziamento dell’ISRO di 23 milioni di dollari per il monitoraggio e lo scambio di dati con il Vietnam e la condivisione della futura sorveglianza e intelligence è collegata alle stazioni di Biak in Indonesia e Brunei. Guardando a una nuova convergenza geostrategica, diverse navi da guerra dal comando navale orientale dell’India sono state inviate con l’obiettivo di impegnarsi in esercitazioni bilaterali con Filippine, Singapore e Indonesia. Di recente, la Malesia tende a procurarsi caccia leggeri e ha ingaggiato il jet da combattimento indiano TEJAS per partecipare alla gara di appalto insieme ad altri concorrenti globali. Questa è la prima volta che un jet di origine indiana è stato coinvolto in una gara globale. Mekong-Ganga Cooperazione in cui India e Vietnam sono entrambi membri insieme ad altri membri dell’ASEAN come Thailandia, Myanmar, Cambogia, Laos. L’obiettivo chiave di questo impegno risiede nella cooperazione nello scambio di cultura e turismo insieme allo sviluppo dell’istruzione e dei trasporti.

      L’India e la Thailandia condividono il loro confine marittimo attraverso una rotta commerciale cruciale dello Stretto di Malacca. Ciò porta entrambi i paesi in un punto focale per garantire la sicurezza e la protezione della regione del Golfo del Bengala. Le relazioni tra due paesi sono vecchie di secoli con diversi punti in comune storici all’interno delle loro relazioni culturali. L’India ha fornito ingegneri regolari e delegazioni mediche in varie esercitazioni condotte tra due nazioni, tra cui Ex-Cobra Gold, una delle più grandi esercitazioni militari. La 31a edizione della pattuglia coordinata India-Thailandia (CORPAT) è stata uno di questi impegni in cui HTMS Krabi insieme a INS Saryu e Dornier Patrol Aircraft sono stati impegnati per 3 giorni vicino al Mare delle Andamane in posizione strategica. Il collegamento tra l’amicizia tra due forze armate e diverse questioni come la pesca non regolamentata, il traffico di droga, la pirateria, il terrorismo, il contrabbando e l’immigrazione illegale, comprese le operazioni di soccorso in mare, sono stati fondamentali per comprendere l’interoperabilità tra due marine in CORPAT.

      Con l’India che non vede l’ora di espandere la sua impronta geostrategica nel Sud-Est asiatico, il Brunei, ricco di energia, sembra occupare una posizione di rilievo nella politica dell’India Act East. Finora le relazioni non sono state a fuoco e non sono state in grado di realizzare il suo pieno potenziale, ma con una nuova visione l’India non vede l’ora di aumentare il livello di intensità e vitalità del collegamento con il Brunei come partner marittimo cruciale. Il porto ha guidato lo sviluppo in cui il porto di Maura può essere un nuovo punto focale dei responsabili politici indiani insieme all’accordo India-Brunei nel 2018 per rafforzare le relazioni di difesa, compreso lo scambio di informazioni, esercitazioni, formazione e sviluppo industriale della difesa. Trovandosi in un momento cruciale del cambiamento delle dinamiche globali dall’Europa al Medio Oriente, l’Asia meridionale sta diventando sempre più cruciale per bilanciare e trarre vantaggio attraverso varie piattaforme in cui la cooperazione nel campo della difesa e dell’intelligence ha il suo ruolo fondamentale garantendo la fiducia tra i partner regionali.

L’ASEAN è sempre più al centro

Editoriale di Lorenzo Lamperti

Dopo la pandemia e in seguito alla guerra in Ucraina, l’Asia e in particolare il Sud-Est asiatico stanno diventando sempre più cruciali per gli equilibri politici e commerciali globali

La tendenza era già chiara prima. Ma ora lo è probabilmente ancora di più. Il Sud-Est asiatico e l’ASEAN sono destinati a essere sempre più fondamentali per gli equilibri commerciali e politici globali. La regione è già un motore fondamentale della crescita globale ed è destinata a diventare la quarta economia mondiale entro il 2030, soprattutto grazie al suo crescente status di hub commerciale e dell’innovazione. Non solo. Da Sud-Est arriva una forte spinta a digitalizzazione e sviluppo sostenibile. Le due componenti non sono scollegate, visto che proprio il focus sulla tecnologia consente l’utilizzo di sistemi smart per rafforzare la transizione energetica. La necessità di tenere sotto controllo l’inflazione e di diversificare le catene di approvvigionamento sta focalizzando ancora di più l’attenzione sull’area ASEAN, che sta proponendo misure spesso efficaci per calmierare l’aumento dei prezzi ed è diventata un’alternativa fondamentale a livello produttivo. Paesi come Vietnam e Malesia sono ormai al centro delle mappe delle forniture globali. I flussi di investimenti esteri nella regione sono in costante aumento, con le società di venture capital che scommettono con sempre maggiore convinzione sulle startup locali. Secondo i dati della società di ricerca Preqin, i fondi di capitale di rischio incentrati sul Sud-Est asiatico e sull’India hanno raccolto finora 3,1 miliardi di dollari nel 2022, avvicinandosi già ai 3,5 miliardi di dollari raccolti in tutto lo scorso anno. In confronto, la raccolta di fondi da parte dei fondi di venture capital focalizzati sulla Cina è scesa bruscamente da 27,2 miliardi di dollari nel 2021 a soli 2,1 miliardi di dollari. Come ha notato in un editoriale il Jakarta Post, la popolazione della regione è giovane, esperta di tecnologia digitale e sempre più prospera. Per le aziende, ciò significa che l’ASEAN non solo rappresenta una base da cui diversificare l’offerta, ma offre anche una diversificazione della domanda e della forza lavoro. Entro il 2030, si prevede che i consumi saranno più che raddoppiati, raggiungendo i 4 mila miliardi di dollari, mentre 40 milioni di persone si aggiungeranno alla popolazione in età lavorativa. Inevitabile che il Sud-Est asiatico sia un’area in cui ora tutti vogliono essere presenti.

L’Asia cerca risposte al dilemma energetico

Gli effetti della guerra russo-ucraina sul mercato globale dei combustibili fossili investono anche i Paesi asiatici e spingono i governi a cambiare le loro strategie di lungo termine.

La guerra russo-ucraina ha provocato un grave aumento dei prezzi dell’energia, in Asia come nel resto del mondo. Nel breve periodo, tale aumento peserà maggiormente sulle fasce più deboli – colpite anche dall’aumento dei prezzi di molti prodotti alimentari, sempre causato dalla guerra. Sul lungo periodo invece, potrebbe rappresentare un’opportunità. Governi e aziende potrebbero decidere di ridurre la loro dipendenza dai combustibili fossili, i cui prezzi sono schizzati, e fare maggiore affidamento sulle fonti rinnovabili. Possiamo dunque consolarci guardando al bicchiere mezzo pieno? Non proprio. La capacità di trasformare la crisi energetica in opportunità cambia molto a seconda della zona del mondo e della lungimiranza che i decisori pubblici dimostreranno nel far fronte agli effetti immediati della crisi. Esaminare l’impatto che la guerra sta avendo sul mercato energetico dell’Asia oggi può essere utile per azzardare una previsione su quali saranno le conseguenze profonde domani. Economie avanzate e in via di sviluppo, governi molto attrezzati o meno, tensioni di sicurezza internazionale ed effetti tangibili della crisi climatica… Il continente presenta tutti gli elementi di rilievo per essere un eccellente caso di studio sugli effetti immediati e profondi del conflitto.

La guerra russo-ucraina avrà tre effetti immediati sulle economie asiatiche. Innanzitutto, i prezzi globali dell’energia rimarranno alti e volatili per tutto il 2022, portando a un aumento generalizzato dell’inflazione; secondo, gli sforzi per superare definitivamente la crisi Covid, i cui effetti economici sono ancora intensi in certi paesi del continente, dovranno essere rivisti e accresciuti; infine, i governi cambieranno le proprie strategie energetiche, probabilmente aumentando le quote di energia prodotte attraverso il carbone e il gas naturale liquefatto (LNG), così da ridurre l’utilizzo di petrolio e gas trasportato via gasdotto – i due combustibili fossili maggiormente colpiti dalla riduzione dell’export russo causato dalla guerra e dalle sanzioni.

Nell’ASEAN, ciascun Paese sta vivendo gli effetti della crisi in modo diverso. I paesi produttori di petrolio e gas naturale come Indonesia, Malesia e Vietnam potranno utilizzare i nuovi guadagni per finanziare misure a sostegno delle categorie colpite dall’inflazione. Ci sono poi differenze preesistenti per quanto riguarda il mix di fonti fossili consumate: alcuni paesi consumavano già relativamente poco petrolio ed energia (Indonesia, Malesia, Filippine), altri invece sono più esposti (Singapore, Thailandia). Un altro elemento da considerare è il peso dell’export sull’economia nazionale: alcuni Paesi devono infatti preoccuparsi dell’inflazione anche dei propri partner commerciali. I consumatori UE, particolarmente colpiti dagli effetti economici della guerra, potranno comprare meno prodotti asiatici. In particolare, appaiono in difficoltà Filippine e Vietnam. Manila deve affrontare un’impennata dell’inflazione, il peggioramento del deficit commerciale, la svalutazione del peso e un numero ancora elevato di casi di Covid. Hanoi invece risente da sempre di una certa vulnerabilità agli shock economici esterni e questi ultimi anni di crisi globale sembrano una tempesta perfetta per la sua economia export-oriented.

L’energia non è soltanto un fattore di produzione, ma anche un asset strategico. Il concetto di sicurezza energetica appare di frequente nei discorsi dei leader mondiali e la guerra russo-ucraina ha reso ancora più urgente la questione, oltre a complicare i rapporti tra gli Stati Uniti e le potenze asiatiche, Cina e India in primis. Le risorse naturali russe rappresentano una sorta di pomo della discordia tra i tre giganti. Mosca cerca di spezzare il suo isolamento dirottando i suoi combustibili fossili dall’Europa verso Nuova Delhi e Pechino. L’India importa l’80% del petrolio che consuma, di cui il 3% proviene dalla Russia, e sembra intenzionata ad aumentare tale percentuale nel breve periodo. Il governo di Modi sembra indifferente alle scelte di Mosca e alle pressioni USA e vuole continuare a collaborare con la Russia. Anche la Cina ha una linea ambigua con la Russia e non sembra voler mettere in discussione l’accordo stipulato prima dello scoppio della guerra per aumentare le forniture di gas. La Cina non pare avere comunque molta scelta: già da prima della guerra, Pechino voleva ridurre la sua dipendenza dal carbone e dal LNG, il cui mercato è dominato da Stati Uniti e Australia. La crisi energetica alza la posta anche della disputa sul Mar cinese meridionale: i suoi fondali sono ricchi giacimenti di risorse fossili e le sue acque sono attraversate da un gran numero di cargo carichi di LNG e petrolio.

La crisi energetica è però rilevante soprattutto sul piano climatico. Se le economie si affidassero maggiormente alle fonti rinnovabili, anziché a quelle fossili, sarebbero meno esposte all’aumento dei prezzi di queste ultime – prezzi che si sono dimostrati, ancora una volta, estremamente volatili. La guerra è stata un campanello d’allarme per i politici del pianeta e dovrebbe spingerli a un reset della loro politica ambientale a favore della sostenibilità: forse le energie rinnovabili non sono poi meno affidabili di quelle fossili. Ma potrebbero scegliere di andare anche nella direzione opposta. Sempre dall’India arrivano segnali preoccupanti. Il Paese era sulla via giusta per raggiungere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti ai sensi dell’Accordo di Parigi – l’unica tra le grandi economie del mondo a poter vantare questo merito –, ma ora sta dedicando molte risorse per acquistare petrolio direttamente dalla Russia e distribuirlo a prezzo calmierato in modo da attenuare gli effetti della crisi energetica. Anche aumentare il ricorso al LNG potrebbe rivelarsi non sostenibile sul lungo periodo, sia in termini economici che ambientali. Il suo prezzo è aumentato molto e la sua inclusione nelle fonti energetiche verdi genera controversie.

Sicurezza energetica o lotta al cambiamento climatico? Rimedi di breve o di lungo periodo? La guerra russo-ucraina ha sottoposto all’Asia un “dilemma energetico” di non facile soluzione. In ogni caso, la crisi colpirà duramente tutte le economie del pianeta e i leader politici dovranno trovare il modo di proteggere le fasce deboli, senza perdere la sempre più complessa sfida ambientale e navigando uno scenario internazionale turbolento.

Le mosse del Sud-Est sull’inflazione

I governi dell’area ASEAN stanno adottando una serie di strategie mirate per proteggere i consumatori dall’aumento dei prezzi. Spesso con efficacia

La guerra in Ucraina sta avendo un inevitabile e forte impatto sulle economie di tutto il mondo. Gli effetti collaterali sulla catena alimentare, sui rifornimenti energetici e sull’inflazione sono evidenti a diverse latitudini. Compresi l’Europa e il Sud-Est asiatico. In questo caso, forse i governi europei potrebbero trarre qualche ispirazione dalle mosse dei governi asiatici, che stanno adottando un approccio più mirato rispetto alle loro controparti occidentali per contenere la pressione inflazionistica globale, una strategia che sembra funzionare, almeno per ora. Sebbene l’inflazione rimanga una seria sfida economica in Asia, infatti, in molti Paesi le misure adottate hanno contribuito a proteggere il pubblico da alcuni aumenti dei prezzi e hanno fatto sì che la maggior parte delle banche centrali della regione non abbia dovuto aumentare i tassi di interesse così rapidamente come è accaduto altrove. I vari sforzi hanno anche spostato parte degli oneri dei costi dai consumatori e dalle piccole imprese ai bilanci statali. L’Indonesia, un Paese con una storia di volatilità finanziaria e di oscillazioni dei prezzi, la scorsa settimana ha aumentato i sussidi energetici di 24 miliardi di dollari per contenere i costi dell’energia, dopo la revoca di un controverso divieto di esportazione dell’olio di palma. Sebbene l’impatto dell’aumento dei prezzi continui a farsi sentire in particolare sulle piccole e medie imprese, la domanda delle famiglie rimane forte e l’inflazione è all’interno della fascia del 2-4% fissata dalla banca centrale di Giacarta. I pesanti sussidi al carburante e ai trasporti operati dalla Malesia hanno probabilmente ridotto di circa 1,5 punti percentuali l’inflazione del Paese, che ad aprile era solo del 2,3%. In Thailandia, l’inflazione complessiva ha appena superato il target della banca centrale dell’1-3% e il capo della banca si è impegnato a continuare a sostenere la ripresa economica. L’onere di contenere i prezzi in Europa e negli Stati Uniti è stato sostenuto soprattutto dalla politica monetaria, con le banche centrali di Stati Uniti, Regno Unito e Canada ora impegnate in cicli aggressivi di rialzo dei tassi di interesse. Nel Sud-Est asiatico, invece, la maggior parte delle banche centrali ha iniziato solo di recente un passaggio molto cauto da tassi di interesse estremamente bassi, con un innalzamento che dovrebbe essere più graduale rispetto all’Occidente.

Per ripartire l’Asia punta sulle infrastrutture

L’ampiezza dei progetti richiederà non solo il sostegno del governo, ma anche del settore privato, nonché finanziamenti bilaterali e multilaterali

Il potenziamento infrastrutturale è in cima all’agenda 2022 del Sud-Est asiatico e dell’Asia meridionale. L’urgenza parte da un dato fondamentale: dal 2020 al 2040, un terzo dell’aumento della popolazione mondiale proverrà dalle giovani economie dell’Asia meridionale e del Sud-Est asiatico, ovvero India, Pakistan, Bangladesh, Indonesia, Malesia, Filippine e Vietnam. Le proiezioni delle Nazioni Unite stimano anche un netto sviluppo dell’urbanizzazione, con circa 462 milioni di persone che si trasferiranno nelle città entro il 2040, o un aumento del 52% della popolazione urbana, che si aggiunge agli 895 milioni di abitanti attuali. Questi fenomeni eserciteranno senza dubbio una forte pressione sulle infrastrutture esistenti, richiedendo maggiori investimenti per mantenere non solo la domanda esistente, ma soprattutto quella futura.

Il divario infrastrutturale più importante riguarda l’India, seguita da Pakistan e Bangladesh. Nel Sud-Est asiatico, sono le Filippine e l’Indonesia ad avere le maggiori falle infrastrutturali da colmare, soprattutto le infrastrutture stradali. Tuttavia, l’India mantiene il primato per la quantità di strade costruite, ma è la qualità delle superstrade a destare preoccupazione. Anche il Vietnam ha investito molto nella costruzione di superstrade, migliorando nettamente il sistema delle infrastrutture.  Le Filippine stanno concentrando gli investimenti sul trasporto aereo, fondamentale per la mobilità domestica, il commercio e il turismo. Il Pakistan è il Paese più in ritardo negli investimenti in infrastrutture aeree. Invece, le infrastrutture ferroviarie ricevono pochi investimenti sia in Asia meridionale che nel Sud-Est asiatico, ad eccezione di Malesia e Indonesia. 

Il divario infrastrutturale è quindi al centro delle agende politiche di questi Paesi, molti dei quali hanno già escogitato supporti politici e investimenti governativi per affrontare il problema. Il governo indiano ha annunciato il PM Gati Shakti del valore di 1,3 trilioni di dollari per potenziare le infrastrutture nazionali nei prossimi 25 anni e attirare Investimenti Diretti Esteri. A supporto di questo piano nazionale a lungo termine – nel bilancio dell’anno fiscale 2023 – l’India ha chiesto un aumento del 35,4% degli investimenti, ponendo la costruzione di infrastrutture, in particolare autostrade, ferrovie e logistica, al centro della sua agenda di sviluppo economico, con cifre nettamente superiori ai budget precedenti. I piani di spesa includono la costruzione di 25.000 km di nuove autostrade e 100 nuovi terminal merci in tre anni. Anche settori come l’acqua e l’energia elettrica stanno ricevendo le giuste attenzioni.

Nel Sud-Est asiatico, l’Indonesia punta a investire 400 miliardi di dollari entro il 2020 e il 2024 per migliorare gli aeroporti, l’energia elettrica e il trasporto di massa. Il Vietnam sta continuando il suo febbrile sviluppo delle infrastrutture per aumentare la propria competitività. I progetti principali riguardano la costruzione di oltre 5.000 km di superstrade entro il 2030; 172 percorsi di autostrade nazionali con una lunghezza totale di 29.795 km; tre circonvallazioni urbane ad Hanoi con una lunghezza totale di 425 km, e altre due a Ho Chi Minh City con una lunghezza totale di 295 km.

Il Pakistan, con il secondo divario di domanda più ampio, ha trovato nell’alleanza con la Cina – attraverso il corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) – il supporto necessario per migliorare le sue infrastrutture. Anche il Bangladesh ha introdotto il Delta Plan 2100 per realizzare 65 progetti infrastrutturali.

I finanziamenti sono il punto nevralgico del piano infrastrutturale di questi Paesi. L’ampiezza dei progetti richiederà non solo il sostegno del governo, ma anche del settore privato, nonché finanziamenti bilaterali e multilaterali. Questo problema è particolarmente sentito da India, Filippine e Indonesia.

L’India mira a emettere obbligazioni verdi per supportare la costruzione di infrastrutture rispettose del clima, anche come veicolo di finanziamento per lo sviluppo sostenibile. Nel 2021, l’India ha emesso green bond da 6,8 miliardi di dollari, contro i 66,1 miliardi della Cina. Anche le nazioni del Sud-Est asiatico stanno puntando all’emissione di green bond per sostenere le ambizioni infrastrutturali. Le Filippine, ad esempio, stanno valutando l’emissione di green bond sovrani per aiutare i fondi privati ​​a valutare le esigenze di investimento in infrastrutture sostenibili negli arcipelaghi. 

La riduzione del gap infrastrutturale è un obiettivo urgente per questi Paesi. Con l’aumentata consapevolezza e la priorità garantita, il 2022 segnerà il punto di svolta per migliorare la connettività, e quindi la produttività e la competitività commerciale di queste economie strategiche per gli equilibri internazionali. 

Cooperazione sì, contrapposizione no

La maggior parte dei Paesi dell’ASEAN hanno aderito al lancio dell’Indo-Pacific Economic Framework di Biden. Ma dicono no alla logica di scontro tra blocchi

Ci sono tutti tranne tre. Solo Myanmar, Cambogia e Laos non fanno parte dell’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (IPEF), il programma di cooperazione lanciato dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden da Tokyo, durante il suo viaggio in Asia. Malesia, Singapore, Indonesia, Filippine, Brunei, Vietnam e Thailandia hanno invece aderito insieme anche a India, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda in un gruppo che comprende il 40% del PIL mondiale. Il programma intende rafforzare le catene di approvvigionamento e la collaborazione tra i partner, in particolare nei settori del commercio digitale e della transizione energetica con un focus sullo sviluppo delle energie rinnovabili. I Paesi del Sud-Est asiatico hanno chiarito più volte che vorrebbero vedere un maggiore impegno degli Stati Uniti sotto il profilo commerciale e in passato hanno espresso la loro frustrazione per il ritiro di Washington dal Partenariato Trans-Pacifico (TPP) da parte dell’ex presidente americano Donald Trump nel 2017. L’amministrazione Biden non ha mostrato interesse a tornare al patto, il cui “problema principale” era la mancanza di sostegno da parte del Congresso. Allo stesso tempo la Casa Bianca prova a convincere l’ASEAN, attraverso l’IPEF, che gli USA sono pronti a fare la loro parte per sostenere lo sviluppo commerciale, infrastrutturale, ambientale e digitale della regione e contenere l’impatto economico della guerra in Ucraina. Eppure, l’amministrazione Biden ha chiarito preventivamente che non si trattava di un accordo di libero scambio e che dunque la cornice non porterà a un abbassamento delle tariffe sulle importazioni. La neutralità dell’Associazione è stata comunque ribadita ed esemplificata dalle parole con cui il Premier di Singapore, Lee Hsien Loong, ha annunciato l’adesione al programma lanciato da Biden. “L’Asia non ha bisogno di un equivalente della Nato”, ha dichiarato Lee riferendosi anche al summit del Quad. E ha chiarito la volontà inclusiva del Sud-Est asiatico chiedendo contestualmente al lancio dell’IPEF il via libera all’ingresso della Cina nel TPP. Cooperazione sì, contrapposizione no.

Perché l’Asia pensa sempre più al nucleare

A Singapore, il ministro di stato per il Commercio e l’Industria Alvin Tan ha parlato al parlamento di opzioni energetiche alternative come quelle ad idrogeno, geotermiche e nucleari

Diversi paesi dell’Asia orientale stanno prendendo in considerazione l’opzione nucleare per reagire alla carenza dell’offerta globale di energia determinata dal conflitto russo-ucraino. Si tratta di una soluzione allettante per molti governi regionali, che per promuovere la crescita interna si trovano a fare i conti con le conseguenze economiche della crisi sanitaria.

L’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul Cambiamento climatico (IPCC) è molto chiaro sull’emergenza ambientale e sociale che attende la comunità internazionale nel prossimo futuro. È urgente ricorrere a misure decisive per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra entro il 2025 se si vuole tentare di raggiungere l’obiettivo degli Accordi di Parigi e contenere il riscaldamento globale a 1,5 °C sopra i livelli pre-industriali. In occasione della COP26 di Glasgow, che si è tenuta lo scorso novembre 2021, i paesi partecipanti sono stati incoraggiati ad abbandonare rapidamente i combustibili fossili per evitare il disastro climatico, e a prendere in considerazione il ricorso all’energia nucleare.

L’Asia orientale – per caratteristiche geografiche e strutture socio-economiche – è tra le regioni più sensibili al deterioramento ambientale e climatico. Le conseguenze del riscaldamento globale si abbattono già con inclemenza sulle condizioni di vita delle comunità regionali, costringendo molte persone a migrare e altre a fare i conti con l’innalzamento del livello del mare e con fenomeni climatici estremi.

Per queste ragioni i governi nazionali hanno fatto della sostenibilità e della de-carbonizzazione imperativi imprescindibili dei loro programmi politici. Le difficoltà economiche che hanno fatto seguito alla pandemia e le contingenze geopolitiche in Europa orientale hanno messo in crisi questi buoni propositi, poiché al di là delle istanze ambientaliste la crescita economica resta l’obiettivo principale di questi mercati emergenti.

Chi sono i sostenitori della svolta nucleare

La Cina ha approvato da poco la costruzione di sei nuovi reattori nucleari per portare avanti la sua politica di de-carbonizzazione. La grave carenza di energia elettrica sperimentata lo scorso autunno 2021 aveva costretto le amministrazioni locali cinesi a razionare l’accesso alla corrente. Questo avrebbe messo le autorità nazionali di fronte alla necessità incalzante di trovare soluzioni energetiche che soddisfino l’imponente domanda nazionale senza sacrificare gli impegni per il clima.

Il Giappone, pur essendo rimasto scottato dal disastro di Fukushima del 2011, sta pensando di ricorrere al nucleare per sopportare le conseguenze sui prezzi dell’energia determinate dalla guerra in Ucraina. Il nuovo primo ministro Fumio Kishida è abbastanza favorevole a questa transizione, secondo Nikkei Asia. L’8 aprile avrebbe dichiarato ad alcuni giornalisti di avere l’obbiettivo di “massimizzare l’uso delle energie rinnovabili e dell’energia nucleare in seguito al divieto di importazione del carbone russo”.

Il neoeletto presidente della Corea del Sud, il conservatore Yoon Suk-yeol ha promesso una svolta nucleare per emancipare l’economia nazionale dal carbonio. Il progetto di revisione del mix energetico è stato definito “inevitabile” affinché la Seul raggiunga i suoi obiettivi climatici.

A Singapore, il ministro di stato per il Commercio e l’Industria Alvin Tan ha parlato al parlamento di opzioni energetiche alternative come quelle ad idrogeno, geotermiche e nucleari. Anche se uno studio del 2012 aveva stabilito che le convenzionali tecnologie dei grandi reattori nucleari non erano appropriate per la piccola città-stato asiatica, oggi le infrastrutture possono essere molto più piccole e sofisticate, e anche Singapore potrebbe trarre vantaggio da questa industria.

Anche le Filippine accarezzano l’idea di virare verso il nucleare. Il segretario dell’Energia Alfonso Cusi è un forte sostenitore di questa opzione energetica, e ha dichiarato l’anno scorso al canale televisivo ANC che si tratta di un’alternativa strategica per ridurre le importazioni di petrolio. A febbraio, il presidente Rodrigo Duterte ha firmato un ordine esecutivo che prevede l’inclusione dell’energia nucleare nel mix energetico nazionale.

Altri paesi della regione, tra cui Indonesia, Malesia, Thailandia e Vietnam, stanno vagliando o implementando piani per produrre energia nucleare, anche se molti progetti restano in stand-by per questioni di costi e sicurezza.

Neutralità e pacifismo capisaldi della ASEAN WAY

Editoriale a cura di Michelangelo Pipan

Vicepresidente dell’Associazione Italia-ASEAN

I Paesi ASEAN intendono restare neutrali, continuando a perseguire equilibri fondati su equidistanza e diplomazia economica proattiva. 

All’indomani del vertice con gli USA, l’ASEAN si conferma restia a schierarsi, a lasciarsi trascinare in contese geopolitiche, fedele ai suoi principi fondanti quasi a voler estendere fuori dai confini quella Asean Way che ne ha accompagnato l’espansione. I Paesi ASEAN intendono restare neutrali, continuando a perseguire  equilibri fondati su equidistanza e diplomazia economica proattiva (vedasi RCEP) – che da due anni li hanno portati a essere il principale partner commerciale della Cina, superando USA, terzi, e UE, salita al secondo posto.

Biden chiedeva al vertice di rimediare alla scarsa attenzione della presidenza Trump. Obbiettivo raggiunto dal punto di vista formale, senza però far uscire l’ASEAN dalla comfort zone intesa a non guastare l’amicizia con le grandi potenze. Il Joint Vision Statement finale sembra interamente scritto dal lato asiatico del Pacifico: ripetuti richiami ai capisaldi di neutralità, pacifismo e Nuclear Free Zone dell’ASEAN, alla composizione pacifica delle controversie, all’impegno per pace e stabilità regionali. Nel capitolo sul Mar Cinese Meridionale – titolato significativamente  “Promozione della Cooperazione Marittima” – la Cina non viene menzionata e toni pacati sostengono la risoluzione pacifica delle dispute sulla base della legge internazionale. La breve parte sull’Ucraina si limita a riaffermare  – precisando: as for all nations – il rispetto per sovranità, indipendenza politica e integrità territoriale, chiedendo l’immediata cessazione delle ostilità. 

Nelle capitali i leader ASEAN incassano plauso: l’Associazione deve rimanere neutrale; la RCEP rimane il contesto di riferimento; l’Indo Pacific Economic Partnership, non ancora meglio definita iniziativa Usa, “non (le) è assolutamente paragonabile”.

Europa e Italia hanno interesse nel consolidamento di potenze intermedie che contribuiscano al regolare funzionamento della globalizzazione, che dovrà riprendere lungo direttrici meglio meditate e governate. In tal quadro i Paesi ASEAN si confermano – anche come trampolino per gli altri mercati asiatici – interlocutori naturali per l’Italia. Una grande opportunità per il nostro Paese, i suoi distretti industriali e la sua naturale vocazione all’export.

Dighe del Mekong: l’impatto su comunità ed ecosistemi

Il Centro studi vietnamiti apre al dibattito sullo sviluppo della regione, che negli ultimi anni è trainato da progetti infrastrutturali tanto ambiziosi, quanto controversi

Giovedì 12 maggio il Centro studi vietnamiti (Csv) ha ospitato un webinar per approfondire gli aspetti ambientali, sociali e legali che ruotano intorno alla costruzione di dighe lungo il Mekong. Si tratta di un’area che occupa 790 mila km2 e abbraccia paesi molto diversi tra loro per governo, economia e demografia: tutti fattori che influenzano priorità (e quindi approcci) al tema dello sviluppo. I nove interventi, preceduti dai saluti dell’ambasciatore Duong Hai Hung, hanno cercato di coprire tutti questi aspetti: tra i relatori, esperti di scienze della Terra, ittiologia, impianti idroelettrici e diritto. 

Un ecosistema in pericolo

Come ha spiegato il professore Simone Bizzi, il Mekong funziona come un organismo a sé. Ogni elemento dell’ecosistema fluviale è in costante mutamento e si autoregolamenta per mantenere la propria “salute”. L’inserimento di organismi alieni, come dighe e centrali idroelettriche, può avere un impatto devastante – soprattutto se l’intervento non avviene nel rispetto delle specificità del territorio.

Un caso studio è quello delle dighe costruite nel bacino alto del Mekong, dove la Cina sta investendo ingenti risorse per potenziare lo sviluppo dell’area attraverso l’idroelettrico. Solo lungo il Lancang, affluente situato nella provincia dello Yunnan, sono operativi 65 impianti e Pechino ha in programma la costruzione di altre 23 dighe. Tra i diversi problemi, la loro presenza sta “inceppando” il trasporto dei sedimenti, che ogni anno ammontano a circa 160 mega tonnellate (trenta volte il peso della piramide di Giza): l’accumulo dei sedimenti provoca la stagnazione a monte del corso d’acqua, mentre non arrivano più i nutrienti che sostengono la biodiversità a valle. Un fenomeno che non ha conseguenze solo sul pescato, ma anche sulle risaie e le attività agricole in generale.

Sviluppo (in)sostenibile

I cambiamenti climatici pongono un’ulteriore sfida al normale funzionamento dell’ecosistema fluviale (e di tutte le attività che dipendono da esso). Il flusso d’acqua, già ridotto dalla presenza delle dighe, è soggetto a stagioni di secca sempre più intense. Nel 2019 il Mekong ha toccato il livello più basso degli ultimi 100 anni, un record che da eccezione sta diventando regola. Davanti alla carenza d’acqua, come segnala anche l’Osservatorio sulle dighe nel Mekong dello Stimson center, alcuni sbarramenti finiscono per contenere ulteriormente il flusso e penalizzano le aree del settore meridionale. Questo accade soprattutto nella sezione cinese del Mekong, accusano gli esperti, anche quando il livello delle precipitazioni è nella norma.

I progetti per la costruzione di nuove centrali idroelettriche non sono comunque fermi. Al contrario: lungo gli affluenti del Mekong continuano ad aumentare i finanziamenti per la costruzione di nuovi impianti, complice la crescente domanda di energia elettrica di Laos, Cambogia, Myanmar, Thailandia e Vietnam. Alcuni di questi paesi sono altamente dipendenti dall’idroelettrico, come evidenziano i dati di Phnom Penh sul mix energetico cambogiano: il 55% della capacità produttiva di elettricità proviene dalle centrali idroelettriche. Al rischio di squilibri nell’approvvigionamento energetico si aggiunge la dipendenza finanziaria: che siano investimenti a opera di compagnie straniere o banche di sviluppo, oppure i debiti maturati nei confronti delle imprese appaltatrici.

Infine, la costruzione di dighe può avere effetti sociali immediati o nel lungo termine. Nel primo caso, le popolazioni limitrofe potrebbero vedersi espropriare i propri terreni – quando il progetto non richieda direttamente la rilocazione dei villaggi. In seconda battuta, il degrado ambientale che fa seguito alla mala gestione dei progetti riduce le opportunità di sostentamento e sviluppo di quei cittadini che dovrebbero beneficiarne.

Soluzioni (o compromessi?)

Come ha sottolineato il professore Massimo Zucchetti, accade che dopo un’attenta revisione i piani per la costruzione di nuove centrali idroelettriche debbano essere cancellati e ripensati dall’inizio: nello stato nordorientale indiano dello Uttarakhand ben 23 progetti su 24 non hanno superato i criteri minimi di sostenibilità. Ciò accade, talvolta, per il mancato coinvolgimento degli attori locali o di esperti capaci di valutare l’impatto delle dighe nel contesto interessato. Le soluzioni per ridurre le esternalità negative esistono, e alcune di queste provengono dal bacino delle cosiddette “nature based solutions”. Queste ultime rappresentano un insieme di accorgimenti che hanno alla base il rispetto delle specificità del territorio e richiedono un intervento umano minimo.

Il problema della gestione dell’idroelettrico nel delta del Mekong non è solo ecologico, ma pone diverse sfide per la costruzione di un diritto ambientale capace di tutelare le comunità locali. L’ultima parte dell’incontro si è concentrata quindi sulle controversie legali che interessano un’area tanto vasta. La crescente scarsità di risorse idriche è riconosciuta da tempo come un fattore di accelerazione dei conflitti, e la mancanza di meccanismi adeguati aumenta i rischi di instabilità (nonché di cattivo adeguamento dei progetti). 

Il ruolo delle organizzazioni transnazionali

Che cosa può fare l’ASEAN in un contesto così complesso che riguarda oltre la metà dei suoi paesi membri? Secondo i ricercatori presenti, sono molti gli interventi che oggi rimangono in mano alle organizzazioni transnazionali. La maggior parte dei progetti per l’idroelettrico lungo il Mekong vede la partecipazione di banche di attori statali e privati, delle banche di sviluppo, dei gruppi di ricerca. La partecipazione pubblica è, inoltre, particolarmente importante per la gestione delle risorse locali. I diversi attori hanno anche le capacità per fornire i dati necessari a comprendere il contesto di riferimento – obiettivi ancora oggi difficili da raggiungere.

Quello che può accadere grazie all’intervento di organizzazioni super partes è la condivisione di esperienze e meccanismi di progettazione virtuosi. Un gruppo come l’ASEAN, inoltre, talvolta ha saputo fare fronte comune davanti ad attori di peso come la Cina, che in questo caso è tra gli interlocutori principali. L’altra faccia della medaglia, però, offre una panoramica ancora troppo attenta alla sostenibilità di facciata e poco all’effettivo sovrasfruttamento delle risorse presenti. Sulla carta, la parola “sviluppo sostenibile” si è diffusa tanto rapidamente quanto sono aumentati i consumi elettrici e l’emissione di gas climalteranti. Qui la sfida per tutti gli attori coinvolti dalle trasformazioni nel bacino del Mekong: saper innovare nel rispetto del territorio, dell’ecosistema e delle sue popolazioni.

ASEAN e India, ridefinendo le future strategie energetiche dell’Asia meridionale

Articolo di Aishwarya Nautiyal

L’India e l’ASEAN hanno mostrato la volontà di sviluppare un altro ecosistema rafforzando l’infrastruttura per le risorse rinnovabili condividendo l’esperienza e la conoscenza al massimo delle sue potenzialità tra i paesi membri.

La transizione verso una nuova sinergia con la crescente domanda ed il progresso tecnologico stanno portando ad una nuova necessità di fonti di energia alternative e pulite. L’ASEAN con l’alto livello di potenziale dalla spinta tecnologica all’intraprendenza è stata vista dall’India come uno dei principali partner sia che si tratti di scambi commerciali che di un nuovo potenziale di innovazione per il futuro fabbisogno energetico. Così il mondo sta affrontando scenari fluttuanti a causa dei quali la crescente domanda di energie efficienti e la dipendenza orientata al rischio hanno portato ad una nuova esigenza nell’esplorazione di strade future per settori verdi ed efficienti delle risorse energetiche. Una conferenza di alto livello tra i delegati dell’India e dell’ASEAN nel mese di febbraio 2022 ha mostrato la volontà di sviluppare un altro ecosistema per rafforzare l’infrastruttura per le risorse rinnovabili condividendo l’esperienza e la conoscenza al massimo delle sue potenzialità tra i paesi membri.


È stata data la priorità a nuovi centri energetici e alla creazione di capacità con assistenza tecnica per promuovere iniziative congiunte nella regione dell’Asia meridionale. L’iniziativa dell’India di accogliere l’esperienza dell’ASEAN verso l’integrazione del mercato verde è uno degli aspetti chiave. La rete elettrica dell’ASEAN è una delle aree chiave d’ interesse e il suo funzionamento efficiente ha portato a una fase di integrazione e adattamento attraverso vari progetti di sviluppo infrastrutturale, compresa la cooperazione strategica per affinare le conoscenze ed espandere le opportunità nella regione del subcontinente indiano. L’India è disposta a cooperare con l’Indonesia per facilitare una nuova dimensione di transizione nel settore delle energie rinnovabili. Gli scambi accademici insieme a nuove idee per l’incoraggiamento reciproco con un coordinamento efficace tra ricercatori e studenti è stata anche una prospettiva importante tra i responsabili politici dell’India e dei paesi membri dell’ASEAN.


L’integrazione del Grid tra i paesi dell’ASEAN e il suo piano di progettazione di nuove capacità è stata un’area chiave con i segnali di benvenuto. Il Ministero delle Miniere e dell’Energia della Cambogia ha evidenziato l’importanza di un’ambizione unificata mirata alle azioni pianificate per basse emissioni di carbonio in base alle quali l’idrogeno verde è visto dall’India come una nuova chiave per la decarbonizzazione guidata attraverso una formazione intensiva e competenze reciproche, coordinandosi con i partner del gruppo ASEAN. Alcuni recenti sviluppi nei paesi dell’ASEAN hanno mostrato un enorme potenziale nell’organizzazione e nell’attuazione di nuove strategie per la transizione verso le energie rinnovabili. L’Indonesia non vede l’ora di risolvere la capacità di stoccaggio, mentre l’ RPD del Laos ha mostrato progressi con un aumento dell’89% in nuovi progetti ecologici, tra cui la generazione di energia idroelettrica, l’energia solare, la produzione di energia rinnovabile leader nella biomassa per un totale di oltre 9100 MW.


La Thailandia, d’altra parte, ha lanciato un impianto solare da 2700 MW creando la sua multiutility comprensiva di pompaggio dell’acqua. L’India ha recentemente fatto progressi nella futura quota di energia insieme a nuove innovazioni tecnologiche garantendo la sua efficacia in termini di costi e infrastrutture competitive insieme a partner dell’ASEAN come Brunei, Filippine e Myanmar. Guardare avanti verso le sfide future con opportunità crescenti che utilizzano le competenze tecnologiche della smart intelligence attraverso una delle più grandi reti dell’industria IT dell’India incentrata sull’integrazione robotica per l’ingegneria può portare ad una produzione sostenibile per bilanciare la domanda per il futuro fabbisogno energetico in una regione così vasta e popolata. Il coordinamento reciproco con le nazioni ASEAN vicine può fornire una piattaforma per rafforzare la cooperazione bilaterale e condividere lo sviluppo umano bilaterale.


Una risposta richiesta per una nuova sicurezza energetica è stata mantenuta come uno dei settori ad alta priorità dai responsabili politici indiani insieme all’ASEAN promuovendo alternative ai biocarburanti come olio di palma, canna da zucchero e cocco è emersa come una componente importante dell’alternativa per guidare la futura produzione di energia. L’India produce grandi quantità di canna da zucchero nella sua terraferma nella parte settentrionale del suo territorio, mentre la produzione di cocco nell’India meridionale, insieme all’essere il più grande importatore di olio di palma dalla Malesia e dall’Indonesia, mostra una strada di risorse reciproche guidata dalla cooperazione tecnica e dalla condivisione delle conoscenze. Secondo la Planning Commission indiana, una delle principali preoccupazioni riguarda la sua vasta popolazione di 1,36 miliardi di persone la cui domanda è in aumento a causa dell’aumento del tenore di vita e della forza lavoro che ha bisogno di un nuovo tipo di politiche di sicurezza che garantiscano il futuro fabbisogno energetico.


Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, la sola India ha speso quasi 10,2 miliardi di dollari nel 2015 mitigando gli effetti dei cambiamenti climatici e concentrandosi su nuove strategie per la transizione solare ed eolica che sono diventate un campo dominante nel nuovo ecosistema indiano di sostenibilità energetica. Nuove sfide crescenti nelle città alle prese con un massiccio livello di inquinamento e l’urgenza di trovare nuove strade attraverso la ricerca e la fiducia reciproca negli investimenti in progetti infrastrutturali, visione collaborativa guidata dall’impegno dell’ASEAN India per avere successo oltre la strategia del singolo stato in una politica regionale unificata integrata attraverso l’armonizzazione mediante impegni in vari passaggi e aspetti con una visione di superamento di un compito arduo di differenza a livello nazionale di obiettivi e impegni che possono variare quantitativamente a causa della variazione degli obiettivi e del suo lasso di tempo per superare il meccanismo delle fonti energetiche convenzionali.

Il Crypto Gaming nel Sud-Est asiatico

Negli ultimi mesi, la popolarità dei giochi play-to-earn basati sulla tecnologia blockchain ha continuato a crescere. Il videogioco online Axie Infinity, sviluppato dalla società vietnamita Sky Mavis, è diventato il simbolo di questa tendenza. Tuttavia, la corsa alla realizzazione di un universo digitalesostenuto datransazioni decentralizzatepotrebbe aver subito una prima battuta d’arresto. 

“Axie è una nazione digitale dove le persone in tutto il mondo si riuniscono con i loro Axie per giocare, guadagnare e vivere. Benvenuti nella nostra rivoluzione.” Così Sky Mavis presenta la propria mission. L’esperimento lanciato dalla startup vietnamita ha reso effettivamente reale – per i giocatori più dediti – la possibilità di guadagnare migliaia di dollari al mese allevando, collezionando e scambiando i propri avatars unici, digitalizzati come NFT, dando vita così a un’economia di proprietà degli utenti. Moneta degli scambi, nonché principale fonte di reddito sulla piattaforma Axie, sono i token ERC-20 chiamati Smooth Love Potion (SLP). Fino a qualche mese fa, questa criptovaluta poteva essere accumulata illimitatamente completando missioni o vincendo battaglie e riscattata per nuove funzionalità di gioco, o alternativamente convertita in moneta reale. 

Secondo Aleksander Larsen, co-fondatore e COO di Axie Infinity, il segreto del successo di Axie risiederebbe proprio nel sostanzioso incentivo monetario offerto agli utenti in cambio del tempo speso quotidianamente sul videogioco. Tuttavia, lo scorso 4 febbraio gli sviluppatori del gioco hanno deciso di intervenire drasticamente per bilanciare il sistema, azzerando le ricompense per la “Modalità Avventura” e la “Ricerca Quotidiana”, ponendo di fatto un tetto alla quantità di SLP emessi ogni giorno, al fine di limitare l’inflazione. Se, nel momento di massimo splendore, un giocatore poteva guadagnare fino a 150 SLP al giorno, per un valore di 54 dollari statunitensi, a dicembre dello scorso anno il bottino massimo è stato dimezzato a 75 SLP, dal valore non superiore a due dollari. Simultaneamente, il prezzo base degli Axie è sceso da circa 300 dollari ad agosto a soli 25 dollari a febbraio.

Il crollo del prezzo dell’SLP si spiegherebbe con la tendenza dei giocatori a convertire i token in valuta reale invece che reinvestirli all’interno del videogioco, causando un eccesso di offerta: le modalità con cui gli SLP venivano “bruciati” attraverso l’allevamento di nuovi Axie non riuscivano a stare al passo con la velocità con cui grandi quantità di token venivano emesse sul mercato.

Jeffrey Zirlin, altro co-fondatore del gioco, non si è detto stupito di fronte a questi squilibri e ha paragonato la volatilità in termini di flusso di capitale a quella che tipicamente caratterizza le nazioni con un mercato emergente. Al contrario, ha sottolineato la forza innovatrice di Axie Infinity, pioniera nella tendenza a trasformare le piattaforme di gioco digitali in economie di proprietà dei giocatori reali e, di conseguenza, prima a dover fronteggiare eventuali risvolti negativi.

In effetti, è bastato l’annuncio della versione aggiornata con i relativi aggiustamenti in termini di fornitura di SLP – a invertire un trend ribassista che durava ormai da tempo. Nel giro di sole 24 dal lancio della “Stagione 20”, il valore della criptovaluta del gioco è cresciuto del 40%. Inoltre, le significative modifiche apportate lascerebbero intravedere una serie di altri vantaggi, tra maggiori possibilità che l’economia del gioco possa svilupparsi in maniera sana e sostenibile nel tempo. “Riteniamo che il modo più veloce per ridurre questa volatilità sia per tutti noi fare i conti con le nostre responsabilità collettive all’interno di Axie e lavorare rapidamente per creare consenso e consentire gli sforzi reciproci della comunità”, si legge nella presentazione ufficiale dell’aggiornamento. “La prosperità in una comunità arriva quando collettivamente crea più valore di quello che consuma”.

Tuttavia, l’incertezza nel mondo delle criptovalute non dipende solo dalle oscillazioni del mercato. Alla fine di marzo, Ronin, la rete blockchain che supporta il videogioco, è stata presa di mira in un attacco hacker durante il quale al celebre videogioco è stato sottratto l’equivalente di oltre 600 milioni di dollari (reali) in Ethereum. Larsen ha riaffermato la solidità finanziaria di Sky Mavis, che nel frattempo si è messa all’opera per risarcire completamente i giocatori delle perdite subite. Tuttavia, ha riferito a Bloomberg che il recupero parziale dei fondi rubati potrebbe richiedere fino a due anni. Resta da vedere se la popolarità del gioco sopravviverà alle questo furto da record e se la società di Ho Chi Minh sarà capace di rispondere con prontezza ed efficacia a questi attacchi inediti e imprevisti ai propri sistemi di sicurezza, confermandosi capofila nel settore del Crypto Gaming.

Il post Ucraina delle economie asiatiche

Articolo di Lorenzo Riccardi

La guerra avrà un effetto diretto sulle economie asiatiche che hanno più scambi con i paesi in conflitto ma sarà esteso in modo indiretto all’intera regione del Far East in relazione all’impatto sulle relazioni economiche Europa-Asia

Oltre alle sofferenze della crisi umanitaria causata dal conflitto in Ucraina, l’intera economia globale dovrà affrontare gli effetti di un impatto diretto in ogni regione e di una crescente inflazione.

Russia ed Ucraina sono tra i principali produttori di materie prime, gas naturale e petrolio, oltre a rappresentare il 30 per cento delle esportazioni mondiali di grano.

La Russia è il terzo maggior produttore di petrolio, il secondo esportatore di gas naturale e tra i primi produttori di acciaio e alluminio.

L’Ucraina è uno dei primi produttori di mais, grano, barbabietola da zucchero, orzo e soia; il loro ruolo strategico è interconnesso con molti paesi e regioni del mondo.

Nelle ultime settimane sono stati pubblicati molti rapporti dalle principali istituzioni finanziarie sulle stime per il commercio, gli investimenti e la crescita economica, dal Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale tutte le stime prevedono un rallentamento causato dal conflitto.

La guerra avrà un effetto diretto sulle economie asiatiche che hanno più scambi con i paesi in conflitto ma sarà esteso in modo indiretto all’intera regione del Far East in relazione all’impatto sulle relazioni economiche Europa-Asia.

La Cina, in base ai dati ufficiali delle dogane, ha registrato un volume di scambi con la Russia per 147 miliardi di dollari nel 2021 con un incremento del 36 per cento su base annua, mentre gli scambi con l’Ucraina sono stati pari a 19 miliardi di dollari nel 2021, con un incremento pari al 30 per cento sul trade aggregato. Questi dati rappresentano percentuali minori rispetto agli scambi con i principali partner commerciali di Pechino che sono la regione del Sud Est Asiatico, con le dieci economie dell’ASEAN, l’Unione Europea e gli Stati Uniti.

Gli effetti immediati sull’economia potrebbero essere minori grazie allo stimolo fiscale voluto dal Pechino per promuovere gli obiettivi di crescita 2022 e in relazione al fatto che il commercio con la Russia ammonta a meno dell’1% del prodotto interno lordo. Tuttavia, i prezzi delle materie prime e l’indebolimento della domanda nei grandi mercati di esportazione rappresentano una sfida.

Di fronte all’intensificarsi delle sanzioni da parte dei paesi occidentali, la leadership russa cercherà sempre più di rivolgersi a Pechino per promuovere nuovi flussi commerciali e nuovi strumenti finanziari con il sistema dei pagamenti internazionali CIPS alternativo al SWIFT e lo yuan cinese come moneta sostituita al dollaro americano.

La posizione della Cina non è né di condanna né di supporto verso la Russia, si è però espressa a gran voce contro le sanzioni, ritenendole inefficaci per la risoluzione del problema.  Questa posizione è diffusa in quasi la totalità dell’Asia Pacifico con l’unica eccezione per Giappone, Sud Corea, Singapore e Taiwan in Asia e Australia, Micronesia, e Nuova Zelanda nel Pacifico; che sono stati inseriti da Mosca in una lista di paesi e territori ostili per aver aderito alle sanzioni.

Per il blocco dei paesi ASEAN il commercio con la Cina vale il 20 per cento del trade internazionale in base ai dati 2021 comparato con 11 per cento verso Stati Uniti e 8 per cento con Unione Europea per tanto alcuni analisti valutano un possibile aumento dell’interazione economica intra-regionale nel Far East. Il volume degli scambi coi paesi in guerra sarà fortemente impattato ma tra le economie asiatiche solo Vietnam e Giappone hanno un surplus nella bilancia commerciale con Russia e Ucraina ed in generale il peso del volume di trade con questi paesi occupa quote minori del prodotto interno lordo locale. 

I paesi asiatici hanno vari livelli e tipi di esposizione all’economia russa e a quella ucraina, con maggiori criticità date dall’incremento nei prezzi dei settori energetico e alimentare oltre agli shock sulla catena di approvvigionamento manifatturiero che avranno un impatto diverso sui paesi della regione.

La Russia è un importante esportatore di energia, ma l’esposizione diretta dei paesi membri dell’ASEAN a questo riguardo è piuttosto limitata. ING Bank ha emesso un rapporto che stima l’impatto della guerra sulle economie asiatiche con indicatori legati al commercio, alle esportazioni, agli approvvigionamenti di gas e petrolio e all’incremento dei prezzi in ambito alimentare e con una classifica dei paesi asiatici più colpiti che risultano essere in ordine di rilevanza: Vietnam, Tailandia, Giappone e Sud Corea.

Secondo l’Asian Development Bank, l’impatto principale del conflitto sulle economie del Sud-est asiatico non sarà sulla crescita, ma bensì influenzerà il tasso di inflazione. Secondo la Banca Mondiale, i paesi della regione che vedranno la crescita maggiore nel 2022 sono le Filippine (5,7 per cento) la Malesia (5,5 per cento), il Vietnam (5,3 per cento), e l’Indonesia (5,1 per cento).

Il Fondo Monetario Internazionale ha previsto nel suo outlook di aprile un rallentamento dell’economia globale dovuto in primis al conflitto. Il rapporto del FMI prevede per la crescita mondiale una variazione dal +6.1 per cento nel 2021 al + 3.6 per cento nel 2022 con effetti anche sulla regione dell’Asia emergente che passerà da un incremento del 7.3 per cento del 2021 ad una performance 5.4 per cento nel 2022.

L’autore

Lorenzo Riccardi insegna presso Shanghai Jiaotong University ed è managing partner di RsA Asia (rsa-tax.com). Vive in Cina da 15 anni dove segue gli investimenti esteri nel Far East e ha ricoperto ruoli nella governance dei piu grandi gruppi industriali italiani. A gennaio 2020 ha completato un progetto di viaggio in ogni paese del mondo raccogliendo trend e dati economici da Shanghai, in ogni regione, lungo le nuove vie della seta (200-economies.com).