Asean

L’IA per prevedere e gestire i disastri naturali

Le nuove applicazioni possono perfezionare i sistemi oggi in uso nel Sud-Est asiatico nelle varie fasi della gestione dei disastri naturali, a partire dalle strategie di mitigazione

Di Emanuele Ballestracci

60.000 morti, 150.000 feriti e altrettanti sfollati all’anno. Non si tratta delle atrocità dovute a conflitti internazionali, guerre civili o attacchi terroristici ma delle conseguenze di ricorrenti fenomeni la cui forza distruttrice viene troppo spesso sottovalutata: i disastri naturali. Tra il 1998 e il 2017 i disastri climatici e geofisici hanno causato la morte di oltre 1,3 milioni di persone e 4,4 miliardi feriti, spesso tra le fasce più deboli della popolazione mondiale. Tuttalpiù, il riscaldamento globale non farà altro che aumentare in numero e intensità questi fenomeni, come stiamo già sperimentando negli ultimi anni. Certe regioni ne soffriranno più di altre e il Sud-Est asiatico è tra quelle più a rischio. Il 99% della sua popolazione è già esposta al pericolo di inondazioni e tra il 2004 e il 2014 ha registrato il 50% dei decessi globali dovuti ad eventi climatici estremi. La situazione non potrà che deteriorare a meno di una rivoluzione nell’impegno mondiale alla lotta al riscaldamento globale, che oggi sembra sempre meno probabile.

Un faro di speranza arriva però dalle innovazioni tecnologiche nel campo dell’intelligenza artificiale (IA). Il suo utilizzo la creazione di modelli predittivi permette infatti di analizzare ampie serie di dati, identificare andamenti e così prevedere potenziali disastri. Le sue applicazioni andrebbero così a perfezionare i sistemi oggi in uso nelle varie fasi della gestione dei disastri naturali: la previsione e il rilevamento dei cataclismi; i sistemi di allarme rapido; la valutazione della vulnerabilità e del rischio; la modellazione spaziale; le strategie di mitigazione. Non solo, sono in via di sviluppo nuovi sistemi di rilevazione che beneficeranno in particolar modo le aree meno resilienti del pianeta, come lo “AI-SocialDisaster”. Si tratta di un sistema di supporto alle decisioni per l’identificazione e l’analisi di disastri naturali come terremoti, inondazioni e incendi utilizzando dati tratti i feed dei social media. Così, utilizzando informazioni prodotte in tempo reale da ogni individuo senza dover far affidamento ad avanzate – e costose – strumentazioni di rilevazione, le capacità governative di gestione delle crisi in aree rurali incrementeranno esponenzialmente. Per esempio, l’azienda giapponese Spectee sta sviluppando un sistema di rilevazione dei disastri naturali adattato alle Filippine, utilizzando proprio le informazioni provenienti dai social media. Il ruolo dei privati è in generale fondamentale per il progresso di queste nuove tecnologie. Microsoft Azure può essere utilizzato per migliorare gli allarmi sui terremoti e le rappresentazioni virtuali degli spazi fisici nella risposta ai disastri, mentre Amazon Augmented AI può prestarsi alla costruzione di modelli integrati per il riconoscimento di scene di disastri da immagini di disastri a bassa quota. Cina e Stati Uniti stanno già collaborando con i rispettivi campioni nell’high-tech, come Xiaomi e Google, mentre in Corea del Sud il governo metropolitano di Seoul ha annunciato lo sviluppo di una “piattaforma digitale di risposta ai disastri” in cui l’IA sarà strumentale. Inoltre, Giappone, Singapore e Cina hanno fatto passi da gigante nello sviluppo di sistemi di allarme rapido, sfruttando tecnologie avanzate come i sensori IoT, i modelli IA e i sistemi informativi geografici.

Oltre a multinazionali e governi anche le organizzazioni internazionali e regionali stanno dando il loro contributo. Nel 2015 le Nazioni Unite hanno adottato il “Quadro di Sendai per la riduzione del rischio di disastri”, che delinea obiettivi e priorità d’azione per prevenire nuovi rischi di disastri e ridurre quelli esistenti. Invece, tra le organizzazioni regionali l’ASEAN è una delle più attive in materia di disastri naturali, riflesso dell’elevata esposizione a tali fenomeni. Nel 2009 è stato firmato l’Accordo ASEAN sulla gestione dei disastri e la risposta alle emergenze, due anni dopo è stato istituito il Centro AHA per rilanciare il coordinamento regionale e in occasione del 28° vertice ASEAN in Laos nel 2016 venne firmata la Dichiarazione congiunta “Un ASEAN, Una Risposta”. Infine, lo scorso 19 agosto è stata istituita l’Alleanza Civile ASEAN per le contromisure regionali e dal 2022 il tema dell’utilizzo dell’IA è stato sempre più discusso tra i vertici dei Paesi membri, soprattutto in occasione dell’annuale dialogo politico strategico sulla gestione dei disastri naturali. Anche l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT), l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ha lanciato un nuovo gruppo di lavoro a tema IA: il Focus Group sull’intelligenza artificiale per la gestione dei disastri naturali (FG-AI4NDM). 

Tuttavia, nonostante il potenziale dell’IA, non mancano certo le problematiche. Prima fra tutte l’incapacità dei modelli IA di fornire “accountability” ed “explainability”. Detto in parole povere, i modelli di intelligenza artificiale funzionano come scatole nere: date determinate previsioni e input, forniscono degli output senza però spiegare la relazioni tra le variabili. Ciò è una seria mancanza quando questi vengono utilizzati per la gestione delle crisi, in cui la massima trasparenza è fondamentale. Tuttavia, se i recenti tentativi di sviluppare modelli di “Intelligenza Artificiale Spiegabile” dovessero riuscire, l’IA diventerebbe senza ombra di dubbio una risorsa ancor più preziosa per controbilanciare gli effetti dei disastri naturali.

L’ASEAN porto sicuro contro i dazi

Alcune economie asiatiche come Malesia, Singapore e Vietnam si stanno posizionando per essere vincenti in una possibile nuova guerra commerciale

Diversi problemi, ma anche alcune opportunità. Come minacciato in campagna elettorale, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha iniziato il suo secondo mandato con l’introduzione di dazi per affrontare un’ampia gamma di questioni, dall’immigrazione alla sicurezza nazionale, fino all’eccessiva dipendenza dalle importazioni per la produzione. Ma le barriere commerciali di Trump sono molto più mirate di quanto paventato in campagna elettorale, sottolinea Trinh Nguyen, economista di Natixis Corporate & Investment Banking, in un editoriale sul Financial Times. Invece di preoccuparsi dei dazi, gli investitori dovrebbero cercare opportunità nei Paesi che possono trarre vantaggio dai probabili cambiamenti, sostiene Nguyen. Le economie dei mercati emergenti asiatici, al di fuori della Cina, dovrebbero essere sulla lista, perché come durante il primo mandato di Trump potrebbero trarre dei vantaggi. Il Vietnam è il grande esempio, si legge sul Financial Times. Dal 2017 al 2023, il Paese ha aumentato la sua quota di esportazioni verso gli Stati Uniti in tutte le categorie di prodotti, risultando vincente tra le economie emergenti dell’Asia. Questa crescita non è semplicemente il risultato di un riorientamento delle esportazioni da parte della Cina sotto l’apparenza di prodotti vietnamiti, ma è il risultato del grande allargamento dei rapporti commerciali internazionali del Vietnam. Secondo Nguyen, anche la Malesia e Singapore hanno beneficiato di una spinta alla diversificazione degli investimenti. Kuala Lumpur ha puntato su settori high-tech come i semiconduttori e i centri dati, mentre Singapore si è espansa nei servizi finanziari e ha attirato sedi aziendali. Quest’anno, inoltre, i due Paesi hanno collaborato alla creazione della Zona Economica Speciale Johor-Singapore per incrementare gli investimenti e i posti di lavoro in settori strategici. L’ASEAN è diventata oggi il principale destinatario di investimenti diretti esteri in Asia. Per alcune economie, il nuovo shock al commercio globale rappresenta secondo l’economista “un’opportunità per rafforzare la resistenza, liberalizzare l’accesso al commercio e migliorare la competitività. Alcune economie asiatiche, come la Malesia, Singapore, il Vietnam e sempre più l’India, si stanno posizionando per essere vincenti nella guerra commerciale”.

A.I.: l’ascesa del Sud-Est asiatico

L’intelligenza artificiale generativa e i modelli linguistici di grandi dimensioni: il Sud-Est Asiatico sta diventando hub globale dell’Innovazione

Articolo di Luca Menghini

Il Sud-Est asiatico sta vivendo una rapida trasformazione nel campo dell’intelligenza artificiale generativa (Gen AI) e dei modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM). Storicamente considerata un hub per la manifattura e i servizi digitali, la regione sta emergendo come attore chiave nell’innovazione guidata dall’AI. Con investimenti significativi in Ricerca e sviluppo (R&S) e infrastrutture, le nazioni dell’ASEAN si stanno posizionando in prima linea, competendo con leader globali come USA e Cina.

L’interesse crescente per la Gen AI si riflette nelle tendenze di investimento. Il mercato dell’AI nell’ASEAN dovrebbe raggiungere i 2,3 miliardi di dollari entro il 2025, con un tasso di crescita annuo del 41,48% fino al 2030. Paesi come Singapore, Thailandia e Indonesia stanno guidando l’adozione dell’AI, con governi e aziende che collaborano per sviluppare LLM autoctoni, adattati a lingue e culture locali. Singapore, nota per le sue politiche tech-friendly, ha istituito quadri normativi che promuovono un’innovazione responsabile. La Thailandia, attraverso iniziative come ThaiLLM, sta investendo milioni per creare modelli locali che rispondano alle sfumature linguistiche e culturali della regione.

L’ecosistema dell’AI è inoltre alimentato da una crescita esponenziale di startup e investimenti. L’ASEAN ha visto emergere numerose aziende AI-driven, in particolare nei settori fintech, sanitario ed e-commerce. Le imprese stanno sfruttando i LLM per ottimizzare il servizio clienti, automatizzare processi e migliorare la presa di decisioni. Indonesia e Vietnam stanno vivendo un boom di startup AI, attirando capitali da fondi VC globali desiderosi di entrare nel mercato digitale della regione. Le startup basate a Singapore hanno ottenuto importanti round di finanziamento, rafforzando lo status della città-Stato come trampolino di lancio per il settore AI.

Nonostante questi progressi, la governance dell’AI rimane una questione cruciale. L’ASEAN ha affrontato proattivamente le sfide normative introducendo l’Expanded ASEAN Guide on AI Governance and Ethics – Generative AI, che stabilisce linee guida per un uso etico dell’AI, concentrandosi su rischi come disinformazione, bias e proprietà intellettuale. La guida promuove una governance collaborativa, iniziative di condivisione dei dati a livello regionale e framework indipendenti per il testing dell’AI generativa, garantendone un utilizzo sicuro. Inoltre, il framework ASEAN AI Governance and Ethics – Generative AI fornisce una roadmap completa per aiutare policymakers e aziende a orientarsi nel panorama etico dell’AI. Questo modello enfatizza accountability, trasparenza e equità nell’implementazione dell’AI e promuove misure di sicurezza tecnica come digital watermarking, incident reporting e programmi di certificazione indipendenti, tra cui Project Moonshot di Singapore.

Un altro fattore cruciale che sta alimentando la crescita dell’AI nel Sud-Est Asiatico è la giovane popolazione nativa digitale. Uno studio recente evidenzia che oltre l’80% degli studenti universitari e il 62% dei lavoratori nella regione stanno già sperimentando strumenti di intelligenza artificiale generativa. Questa fascia demografica, spesso definita Generazione AI, sta accelerando l’adozione dell’AI, rendendo l’ASEAN uno dei mercati in più rapida espansione per queste tecnologie. L’uso diffuso della Gen AI nei luoghi di lavoro sta spingendo le aziende a integrare soluzioni basate sull’AI, anche se molte faticano a tenere il passo con l’adozione indipendente da parte dei dipendenti.

Oltre alle startup, anche le grandi aziende e le multinazionali stanno investendo nell’infrastruttura AI del Sud-Est Asiatico. Colossi tecnologici globali come Google, Microsoft e NVIDIA stanno collaborando con governi e imprese locali per creare centri di ricerca AI e hub di cloud computing. Queste partnership mirano ad aumentare l’alfabetizzazione AI, fornire risorse di cloud computing e creare opportunità per i talenti locali. Malaysia e Filippine stanno emergendo come destinazioni chiave per i centri di R&S AI, grazie alla crescente forza lavoro tecnologica e a politiche governative favorevoli.

L’impatto dell’AI generativa nell’ASEAN non si limita alle applicazioni commerciali. I governi stanno esplorando il potenziale dell’AI per lo sviluppo nazionale, utilizzando analisi basate sull’AI per previsioni economiche, pianificazione urbana e gestione delle crisi. Le soluzioni AI-driven stanno inoltre rivoluzionando l’istruzione, con piattaforme di apprendimento adattivo alimentate da LLM, che offrono esperienze personalizzate in più lingue, rispondendo alla diversità linguistica della regione.

Tuttavia, permangono delle sfide. Il divario digitale, le infrastrutture AI limitate in alcune aree e le preoccupazioni sulla privacy dei dati rappresentano ostacoli all’adozione su larga scala. Singapore è all’avanguardia nella preparazione all’AI, mentre paesi come Cambogia, Laos e Myanmar affrontano difficoltà dovute a infrastrutture digitali insufficienti e bassi livelli di alfabetizzazione AI. La strategia dell’ASEAN per colmare questo divario include cooperazione regionale, investimenti nei programmi di formazione AI e incentivi per le imprese AI-driven.

Mentre il Sud-Est Asiatico consolida il proprio ruolo nel panorama globale dell’AI, è evidente che la regione non è più un semplice consumatore di tecnologia, ma un nuovo polo emergente di innovazione AI. Con un ecosistema di startup dinamico, iniziative strategiche dei governi e una forza lavoro tech-savvy, l’ASEAN si sta affermando come un hub chiave per l’AI, destinato a plasmare il futuro della Gen AI per gli anni a venire. Policymakers, investitori e leader aziendali continueranno a monitorare e adattare le proprie strategie per garantire che il potenziale trasformativo dell’AI sia pienamente realizzato nella regione.

Aumenta l’export italiano in ASEAN

I dati del 2024: record per la crescita delle esportazioni Made in Italy in Vietnam

Il rialzo dei dazi da parte degli Stati Uniti potrebbe avere effetti positivi per l’export italiano, soprattutto da parte dei mercati emergenti. Secondo un approfondimento messo a punto dalla Farnesina, dopo la riunione presieduta dal ministro Antonio Tajani con alcuni rappresentanti del tessuto produttivo italiano, un ruolo importante potrebbe avere l’apprezzamento del dollaro sull’euro, verificatosi negli ultimi mesi, unito all’aumento delle scorte di merci da parte delle imprese americane. Anche misure tariffarie più elevate contro Cina e Messico potrebbero avere effetti opposti, aprendo spazi competitivi per il Made in Italy. In particolare, segnala la Farnesina, importanti opportunità per l’export italiano vengono dai mercati emergenti: Mercosur, India, ASEAN, Paesi del Golfo, Africa e Balcani. Le esportazioni italiane nella regione ASEAN hanno raggiunto 9,7 miliardi di euro nel 2023, con una crescita del 5,1%, confermata da un’ulteriore +11% nel 2024. I settori trainanti sono macchinari, chimica, tessile e agroalimentare. Sebbene il saldo commerciale sia negativo, il deficit si è progressivamente ridotto grazie alla crescente competitività del Made in Italy. Nello specifico, nel 2024 l’aumento più significativo è quello verso il Vietnam, dove si registra un ragguardevole +25%. La crescita riguarda anche gli altri Paesi dell’ASEAN e il dato è una chiara testimonianza della crescente apertura del mercato asiatico, che continua a rappresentare una frontiera chiave per l’industria italiana. Il trend si sta addirittura intensificando, visto che il solo dato di dicembre 2024 è addirittura di un aumento del 39,9%. Negli ultimi sei anni, l’interscambio commerciale complessivo tra Italia e ASEAN è cresciuto circa del 40%, più di Regno Unito, Germania e Francia, evidenziando il grande dinamismo delle relazioni economiche Italia-ASEAN. Gli strumenti di cooperazione economica tra l’ASEAN e l’Italia sono diversi e sfaccettati. Comprendono accordi commerciali, trattati di investimento, joint venture e programmi di cooperazione economica e tecnica. Questi strumenti mirano a ridurre le barriere commerciali, a promuovere gli investimenti, a favorire il trasferimento di tecnologia e a rafforzare i legami economici tra le due regioni. Insieme, costruiscono partenariati economici resistenti e reciprocamente vantaggiosi. Ad oggi, gli IDE italiani nell’ASEAN valgono 7,7 miliardi di euro, mentre gli IDE ASEAN ammontano a più di 800 milioni di euro. Si tratta di aumenti esponenziali da quando è stata fondata l’Associazione Italia-ASEAN. 

Arriva Trump, l’ASEAN guarda ai BRICS

L’Indonesia è entrata ufficialmente nel gruppo. Malesia, Thailandia e Vietnam tra i Paesi partner

L’ingresso ufficiale dell’Indonesia nei BRICS è una novità rilevante. L’immenso arcipelago, quarto Paese più popoloso al mondo, è uno snodo cruciale su diversi fronti. Innanzitutto, si tratta della principale economia del Sud-Est asiatico, regione dove tra venti di guerre commerciali e minacce di dazi, da tempo diversi colossi internazionali hanno messo radici. L’Indonesia sta attraendo diversi investimenti. Elon Musk sta lavorando alla costruzione di un impianto di batterie per veicoli elettrici Tesla, mentre il governo indonesiano sta trattando con Apple un piano di ampio respiro. Non è un caso, visto che il Paese è ricco di risorse cruciali per l’industria tecnologica verde. Come il nichel, su cui le imprese cinesi hanno conquistato una posizione di privilegio. Ma l’Indonesia ha ruolo notevole anche sul fronte politico-diplomatico. Giacarta ha spesso giocato un ruolo di stabilizzatore regionale, mediando su temi sensibili come il Mar Cinese meridionale. L’Indonesia è anche l’unico rappresentante ASEAN al G20, dove si è spesso fatto portavoce di una visione di mondo basata su libero commercio, neutralità, pacifismo e pragmatismo. Per il neo presidente Prabowo Subianto, aderire al gruppo significa portare avanti gli obiettivi di sicurezza alimentare, indipendenza energetica, riduzione della povertà e sviluppo del capitale umano. Secondo gli analisti, la mossa è una svolta della storica politica indonesiana di non allineamento, che si sta tramutando in un multi allineamento che rafforzi i legami sia coi Paesi occidentali che con quelli del cosiddetto Sud globale. Non a caso, l’Indonesia porta contestualmente avanti il suo processo di adesione all’Ocse. “Tuttavia, i BRICS sono sempre più attraenti per le potenze emergenti”, scrive Richard Heydarian su Nikkei, secondo cui questo non solo riflette il rapido spostamento dell’equilibrio di potere sulla scena globale, ma, cosa fondamentale, consente ai Paesi emergenti di esprimere il proprio malcontento nei confronti dell’ordine internazionale guidato dagli Stati Uniti e di proteggersi collettivamente dall’impatto potenzialmente dirompente della seconda presidenza Trump. Dopo l’allargamento del 2023, il gruppo rappresenta ora circa metà della popolazione mondiale e il 30% del prodotto interno globale, contribuendo a oltre il 50% della crescita. Dopo l’Indonesia, potrebbero presto aderire anche Turchia e Malesia, mentre il Brasile ha già annunciato l’inclusione nella nutrita lista dei paesi partner di Cuba, Bolivia, Kazakistan, Uzbekistan, Thailandia e Uganda.

Gli investimenti cinesi nel Sud-Est asiatico

Un hub in crescita per la manifattura globale

Di Luca Menghini

Gli investimenti cinesi nel Sud-Est asiatico sono cresciuti significativamente negli ultimi anni, trasformando la regione in un importante hub manifatturiero. Questo trend è sostenuto dall’aumento dei costi di produzione in Cina, dalle crescenti tensioni geopolitiche e da un cambiamento strategico verso la diversificazione delle catene di approvvigionamento. I Paesi dell’ASEAN, grazie alla loro posizione strategica, ai costi del lavoro competitivi e alle politiche favorevoli agli investimenti, sono in prima linea in questa trasformazione, attirando consistenti investimenti cinesi in vari settori.

L’impulso per questo cambiamento deriva dalle continue tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti, che hanno interrotto i tradizionali flussi delle catene di approvvigionamento. I dazi statunitensi e le regole sull’origine dei prodotti più rigide hanno spinto le aziende cinesi a spostare le operazioni manifatturiere all’estero per aggirare queste barriere. Il Sud-Est asiatico rappresenta un’alternativa attraente grazie alla sua vicinanza alla Cina, agli accordi commerciali già consolidati e ai vantaggi in termini di costi. Paesi come Vietnam, Thailandia, Malesia e Indonesia sono diventati destinazioni fondamentali per questi investimenti, rafforzando il loro ruolo di attori indispensabili nelle catene di approvvigionamento globali.

Un chiaro indicatore di questa tendenza è la rapida crescita delle esportazioni di beni intermedi dalla Cina verso i Paesi dell’ASEAN. Da gennaio a novembre 2024, le esportazioni di questi beni verso il solo Vietnam sono aumentate del 32% rispetto all’anno precedente, rappresentando oltre il 70% delle esportazioni cinesi di prodotti meccanici ed elettrici. Questo riflette un modello più ampio di aziende cinesi che trasferiscono le catene di approvvigionamento verso i Paesi dell’ASEAN per mitigare i rischi associati alle tensioni geopolitiche e ai dazi. Questo cambiamento segna un nuovo capitolo nella globalizzazione della manifattura, in cui il Sud-Est asiatico assume un ruolo sempre più centrale.

L’attrattiva della regione per gli investitori cinesi risiede nel suo mercato del lavoro competitivo. I salari medi nel settore manifatturiero nei Paesi dell’ASEAN rimangono significativamente inferiori rispetto a quelli in Cina, con tariffe orarie che vanno da 1,50 a 3 dollari USA in Vietnam, Thailandia e Malesia, rispetto agli 8,27 dollari USA della Cina. Questa disparità salariale offre un forte incentivo per le industrie con un’alta intensità di manodopera a trasferirsi. Tuttavia, persistono sostanziali differenze di produttività e gli industriali cinesi stanno affrontando questa sfida investendo nella formazione della forza lavoro e adottando tecnologie avanzate di automazione, una strategia che mira a replicare il successo della Cina nella costruzione di una base industriale efficiente.

L’infrastruttura del Sud-est asiatico, sebbene ancora in fase di sviluppo, sta subendo significativi miglioramenti per sostenere questo boom manifatturiero. I governi della regione stanno investendo pesantemente in sistemi di trasporto, porti e sistemi energetici per aumentare la loro attrattività agli occhi degli investitori stranieri. Ad esempio, l’Indonesia sta sfruttando le sue ricche riserve di nichel per creare una solida filiera di veicoli elettrici (EV), inclusa la produzione di batterie e componenti. Nel frattempo, la Thailandia si sta posizionando come un hub per l’assemblaggio di veicoli elettrici, supportata da sussidi e requisiti di localizzazione volti a promuovere le capacità produttive domestiche.

Tra i principali beneficiari degli investimenti cinesi infatti, ci sono le industrie dell’elettronica e dell’automotive. Il Vietnam, ormai uno dei principali esportatori di elettronica, ha registrato un notevole afflusso di investimenti diretti esteri (FDI) da parte di aziende cinesi interessate a sfruttare le sue crescenti capacità manifatturiere. Allo stesso modo, Malesia e Thailandia sono diventate centrali per il settore automotive, con numerose aziende cinesi che hanno avviato operazioni per produrre componenti e assemblare veicoli. Questi investimenti sono in linea con le tendenze globali che favoriscono soluzioni energetiche sostenibili, come la rapida crescita della produzione di veicoli elettrici (EV).

Le aziende cinesi stanno inoltre sfruttando le favorevoli politiche commerciali dell’ASEAN per accedere a mercati più ampi. Iniziative come il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) hanno semplificato le procedure commerciali e ridotto i dazi, rendendo la regione più attraente per le imprese. Consentendo ai prodotti di attraversare più volte i confini con costi e burocrazia minimi, il RCEP ha rafforzato il ruolo del Sud-est asiatico nelle catene globali di approvvigionamento. Inoltre, l’integrazione della regione con la Belt and Road Initiative (BRI) ha ulteriormente approfondito i legami economici tra Cina e ASEAN, favorendo un maggiore flusso di investimenti.

Nonostante questi vantaggi, permangono delle sfide importanti, come l’instabilità politica, le discrepanze normative e le carenze infrastrutturali che in alcuni paesi dell’ASEAN rappresentano rischi per gli investimenti a lungo termine. Ad esempio, quadri legislativi incoerenti e procedure doganali frammentate possono aumentare i costi di conformità per le aziende che operano in diverse giurisdizioni. Inoltre, sebbene i paesi dell’ASEAN vantino costi del lavoro più bassi, la disponibilità di lavoratori qualificati nei settori ad alta tecnologia rimane limitata. Questo ha spinto le aziende cinesi a investire in programmi di formazione professionale e iniziative educative, affrontando il divario di competenze e garantendo operazioni sostenibili.

Le considerazioni ambientali rappresentano un altro fattore cruciale che influenza le decisioni di investimento. Il Sud-est asiatico è tra le regioni più vulnerabili ai cambiamenti climatici, con l’innalzamento del livello del mare e fenomeni meteorologici estremi che pongono rischi significativi per le infrastrutture e gli impianti produttivi. Per rispondere a questo fenomeno i governi dell’ASEAN stanno dando sempre più priorità alla sostenibilità nelle loro strategie di sviluppo. Iniziative sulle energie rinnovabili, come la rapida espansione dell’energia solare in Vietnam, evidenziano l’impegno della regione per una crescita verde. Questi sforzi sono fondamentali per attirare investitori attenti all’ambiente e rispettare gli standard globali di sostenibilità.

Anche la geopolitica gioca un ruolo significativo nel plasmare le dinamiche degli investimenti cinesi nell’ASEAN. La posizione strategica della regione, all’incrocio di importanti rotte commerciali, ne aumenta l’importanza nei network economici globali. I paesi dell’ASEAN sono riusciti abilmente a mantenere un equilibrio tra le partnership economiche con la Cina e le alleanze di sicurezza con gli Stati Uniti. Questa delicata diplomazia ha permesso loro di attrarre investimenti da entrambe le superpotenze, riducendo al minimo il rischio di essere coinvolti nella loro rivalità geopolitica.

Guardando al futuro, il ruolo del Sud-est asiatico come hub manifatturiero è destinato a crescere, ma difficilmente sostituirà completamente la posizione dominante della Cina. Il successo della regione dipenderà dalla sua capacità di affrontare le sfide esistenti, come il miglioramento delle infrastrutture, l’aumento della produttività della forza lavoro e la promozione di una maggiore integrazione regionale. Iniziative come l’ASEAN Highway Network e i progetti energetici transregionali dimostrano l’impegno della regione a costruire un blocco economico più interconnesso ed efficiente.

In conclusione, gli investimenti cinesi stanno trasformando il Sud-est asiatico in un hub manifatturiero fondamentale, con implicazioni di vasta portata per il commercio globale e le catene di approvvigionamento. Sebbene la regione debba affrontare sfide significative, i suoi vantaggi strategici, uniti a investimenti costanti e a politiche di supporto, la posizionano come un attore chiave nel panorama economico globale in evoluzione. Man mano che l’ASEAN continua ad attrarre e integrare investimenti esteri, la sua influenza sulla manifattura globale si approfondirà, offrendo opportunità di crescita e sviluppo economico negli anni a venire.

Commercio e diplomazia ASEAN alla prova del Trump bis

Articolo di Pierfrancesco Mattiolo

Donald Trump presta giuramento per la seconda volta, generando preoccupazione e incertezza tra i governi ASEAN. I dazi commerciali sembrano minacce più che promesse, utili per spingere i partner a fare concessioni senza dover arrivare alla loro adozione. Dopo gli sforzi di Joe Biden per rafforzare cooperazione e presenza americana nella regione, Trump potrebbe essere meno interessato al Sud Est asiatico e seguire una logica do ut des.

La nuova amministrazione Trump è pronta a entrare nella West Wing della Casa Bianca. Gli analisti e i paesi terzi si aspettano un secondo governo più aggressivo e preparato del primo. Trump promette di portare cambiamenti rapidi in certe regioni del mondo, chiudendo la guerra tra Russia e Ucraina e stabilizzando il Medio Oriente, e di tenere una linea dura verso la Cina. Su altre aree invece, come nel Sud Est asiatico, è più difficile fare previsioni su quali saranno gli impatti della nuova amministrazione. Hoang Thi Ha e William Choong, due Senior Fellow dell’ISEAS-Yusof Ishak Institute di Singapore, prevedono che l’ASEAN potrebbe scontare altri quattro anni di assenza e disinteresse da parte di Trump, come avvenuto durante il suo primo mandato, durante il quale non si era preoccupato neppure di nominare degli ambasciatori presso l’ASEAN e Singapore. Al contrario, Barack Obama e Joe Biden si erano contraddistinti per il loro impegno nell’intessere legami forti con l’Organizzazione e i suoi governi. 

Il punto chiave dell’agenda trumpiana, almeno in apparenza, sono i dazi e il riequilibrio delle bilance commerciali con i paesi che esportano negli USA più di quanto importino. Nella narrativa di Trump e dei suoi alleati più protezionisti, questa politiche dovrebbero riportare posti di lavoro sul suolo americano e avvantaggiare la classe lavoratrice penalizzata dalla globalizzazione. Il primo passo in questo senso prevede di terminare o ridurre i programmi con un effetto favorevole sugli scambi, come il Generalized System of Preferences (GSP, la stessa sigla che utilizza l’UE per il suo programma omologo) o l’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF) promosso da Biden. Il GSP riduce i dazi sulle merci importate dai paesi in via di sviluppo e, durante la prima amministrazione Trump, India e Turchia erano state escluse dalla lista dei beneficiari a causa del loro surplus commerciale. Quasi il 60% delle merci coperte dal GSP esportate dall’ASEAN verso gli States è prodotto in Tailandia e Indonesia, quindi una revoca delle preferenze li colpirebbe duramente – insieme ai loro clienti americani, che dovrebbero pagare di più le forniture. L’IPEF invece mirava a stabilire regole comuni su certi ambiti, senza però ridurre le tariffe commerciali tra i membri. Trump ha bollato l’iniziativa come un “TPP due”, facendo riferimento alla ben più ambiziosa Trans-Pacific Partnership che aveva bloccato durante il suo primo mandato, quindi anche questo progetto verrà probabilmente accantonato.

Il secondo passo sarebbe poi ridurre gli scambi attraverso l’imposizione di nuove tariffe e altri strumenti protezionistici. Il programma elettorale di Trump prevedeva l’imposizione di dazi generalizzati tra il 10 e il 20% per tutti, salendo al 60% per le merci cinesi. Misure del genere avrebbero effetti negativi non solo sui partner commerciali, ma anche sull’economia e i consumatori americani. I dazi trumpiani dovrebbero essere considerati forse come una minaccia eventuale, più che come una promessa concreta. Gli analisti parlano di ritorno del “transazionalismo” a Washington (e nella politica internazionale). Per scongiurare il rischio di essere colpiti dagli ordini esecutivi di Trump, i paesi terzi (e le aziende, anche americane, rispetto alle politiche interne) preferiscono fare concessioni preventive al presidente-imprenditore, evitando così di doverle fare a seguito di un braccio di ferro commerciale costoso per entrambe le parti. In altre parole, la minaccia delle tariffe può essere più efficace e veloce delle tariffe stesse per ottenere i successi promessi da Trump agli elettori. Anziché un aumento dei dazi generalizzati, la nuova amministrazione potrebbe utilizzare questo strumento in modo piu’ flessibile (e imprevedibile). Un indizio in questo senso proviene dall’esclusione di Robert Lighthizer, Rappresentante per il Commercio (USTR) internazionale del primo governo Trump e influente “teorico” dei dazi orizzontali, dal suo nuovo gabinetto. Lighthizer era stato per mesi uno dei favoriti per la nomina a Segretario del Tesoro o del Commercio, ma alla fine sono stati scelti due esponenti di Wall Street, rispettivamente Scott Bessent e Howard Lutnick. Il nuovo USTR sarà Jamieson Greer, ex capo dello staff di Lighthizer, con l’insolita novità che il suo ufficio verrà posto sotto la “diretta responsabilità” del Segretario del Commercio Lutnick. Tale organigramma ha in parte allarmato gli alleati più protezionistici di Trump e rasserenato gli ambienti finanziari statunitensi sul fatto che i dazi saranno utilizzati in modo opportunistico più che ideologico.

Tornando al Sud Est asiatico e allo scenario ipotetico di dazi tra 10 e 20%, gli export dall’Asia (Cina esclusa) verso gli USA calerebbero del 3%, mentre quelli di segno opposto dell’8%, considerando che i prodotti americani verrebbero probabilmente colpiti da tariffe di pari entità come rappresaglia e ne calerebbe la domanda. Anche i flussi di investimenti potrebbero cambiare: Trump favorirà le aziende che investono in America, quindi parte dei capitali americani potrebbe rimanere da quel lato del Pacifico, anziché finanziare lo sviluppo in ASEAN. Anzi, le aziende ASEAN potrebbero investire sul suolo americano in modo da mantenere l’accesso al mercato USA. Sarà inoltre necessario diversificare la provenienza degli investimenti, guardando a partner alternativi come l’UE e il Giappone. Le sfide poste da Trump potrebbero però essere accompagnate anche da delle opportunità per i paesi ASEAN, considerando che la Cina sarà colpita più duramente e le aziende potrebbero spostarsi da lì verso sud per evitare i dazi più severi. Tale fenomeno si era verificato già durante il primo mandato di Trump ed era accelerato con Biden, promotore di una politica di friendshoring, ossia di spostamento delle catene di approvvigionamento a favore dei paesi alleati. 

Il possibile decoupling tra USA e Cina non è però privo di rischi per l’ASEAN, i cui prodotti destinati verso gli Stati Uniti hanno spesso componentistica cinese e che fornisce a sua volta a Pechino materie prime e parti per i prodotti da esportare in America. Una riduzione di export cinesi potrebbe avere impatti anche sull’export ASEAN. Inoltre, la crescita dell’import da Vietnam, Tailandia e Malesia, quasi o più che raddoppiato tra 2017 e 2023, potrebbe però spingere Washington a voler “riequilibrare” la bilancia commerciale rispetto a questi paesi stavolta. Ad Hanoi c’è una certa preoccupazione, dato che il paese è diventato il terzo esportatore verso gli Stati Uniti (dopo Cina e Messico) e nel 2019 Trump lo aveva definito il “peggior approfittatore” del commercio internazionale. Forse per ingraziarselo, il Partito Comunista Vietnamita ha favorito un investimento da 1.5 miliardi di dollari della Trump Organization per l’apertura di un campo da golf poco distante da Hanoi. 

Le tensioni tra America e Cina avranno anche grande impatto sulla sicurezza della regione e le nomine di Mike Walz a Consigliere per la Sicurezza nazionale e Marco Rubio a Segretario di Stato hanno portato i “falchi” sulla Cina alla ribalta nella nuova amministrazione repubblicana. Anche in questo settore Trump potrebbe seguire una logica di do ut des, come dimostra il suo paragone tra la Corea del Sud e una money machine: secondo il nuovo presidente, Seoul potrebbe pagare 10 miliardi di dollari l’anno in cambio della presenza dei soldati statunitensi sul proprio territorio. Anche in questo caso, è bastata una dichiarazione suggestiva di Trump per portare il governo sudcoreano ad alzare dell’8.3% il suo contributo annuale alle spese militari americane, arrivando a 1.13 miliardi di dollari nel 2026. Tra i paesi ASEAN, sono soprattutto le Filippine ad essere esposte ai possibili cambi di marcia USA, dato che dal 2022, con Ferdinand Marcos Jr. e Joe Biden alla guida dei rispettivi paesi, la cooperazione nella difesa è stata molto approfondita. Un’altra preoccupazione è che Trump, desideroso di dimostrare l’art of the deal su cui ha costruito il suo personaggio, offra gli interessi dei partner come contropartite alla Cina per chiudere gli accordi che gli premono personalmente, magari rispetto al Mar Cinese Meridionale o Taiwan. Infine, è molto probabile che Washington tagli i fondi destinati alla cooperazione e allo sviluppo, portando a un peggioramento delle condizioni delle comunità locali che beneficiano dei progetti americani.

In conclusione, la diplomazia transazionale del deal making di Trump presenta dei forti rischi (e qualche opportunità) per i paesi ASEAN. Di sicuro segna un cambio di passo con la strategia di Biden nella regione, basata sulla cooperazione e il sostegno politico ed economico agli alleati in cambio di un loro impegno contro la Cina. Se Biden è stato talvolta criticato per aver “chiuso un occhio” sulle violazioni dei diritti umani e politici nei paesi alleati, questo tema probabilmente neppure si porrà con Trump. La nuova amministrazione cercherà comunque di spingere gli attori regionali a seguire le sue iniziative per contenere la Cina. Per molti governi ASEAN sarà più complicato, ma ancora più importante, mantenere la propria strategia di “equilibrismo”  tra Washington e Pechino, considerati entrambi partner strategici ed economici necessari, anche se in contrapposizione e talvolta ingombranti. Inoltre, non rinunciare al multilateralismo ASEAN potrebbe metterli al riparo dalle tattiche divide et impera delle grandi potenze. Partner alternativi come UE e Giappone potrebbero acquisire un’importanza maggiore. Infine, rimarrà da osservare l’impatto di Trump nelle competizioni elettorali di certi paesi, con un suo possibile effetto galvanizzante sui movimenti populisti nelle Filippine o in Indonesia.

Petronas e Pertamina, i pilastri dell’energia ASEAN

Analisi comparativa di due dei giganti energetici del Sud-Est asiatico

DI Luca Menghini

Petronas, la compagnia petrolifera statale della Malesia, e Pertamina, la sua corrispondente indonesiana, rappresentano due dei principali attori nel settore energetico del Sud-est Asiatico. Queste aziende sono state fondamentali nel promuovere la crescita economica e nella gestione delle risorse energetiche dei rispettivi paesi. Nonostante il ruolo comune di campioni nazionali dell’energia, le loro strategie, priorità operative e approcci alla transizione energetica globale differiscono significativamente, influenzati da realtà interne e considerazioni geopolitiche diverse. Mentre Petronas ha perseguito una strategia orientata all’export per affermarsi come leader globale nel settore energetico, Pertamina si è concentrata sulle ampie esigenze energetiche interne dell’Indonesia, spesso dando priorità all’accessibilità economica rispetto alla redditività.

Fondata nel 1974, Petronas è nata come un’iniziativa strategica della Malesia per assumere il controllo delle proprie risorse naturali e ridurre la dipendenza dalle compagnie petrolifere straniere. L’azienda è rapidamente passata dalla gestione dei giacimenti petroliferi domestici alla costruzione di una solida presenza internazionale, con oltre il 70% dei suoi ricavi attualmente derivanti da esportazioni e operazioni all’estero. Progetti emblematici come il complesso RAPID a Johor rappresentano l’ambizione di Petronas di integrare le attività downstream con le esigenze dei mercati globali, sfruttando tecnologie avanzate per migliorare efficienza e sostenibilità. Al contrario, Pertamina, fondata nel 1957, ha operato come un pilastro della sicurezza energetica dell’Indonesia. Il suo obiettivo principale è stato il mercato interno, che rappresenta la maggior parte dei suoi ricavi, riflettendo il suo ruolo nel garantire un accesso all’energia a prezzi accessibili per la vasta e crescente popolazione dell’Indonesia. I sussidi e i controlli sui prezzi hanno storicamente limitato le performance finanziarie di Pertamina, ma hanno anche consolidato la sua posizione come strumento chiave delle politiche governative.

La transizione energetica globale ha presentato sfide e opportunità uniche per entrambe le aziende. Petronas ha abbracciato il passaggio verso un’energia più pulita con una chiara strategia per raggiungere le emissioni nette di carbonio pari a zero entro il 2050. Le sue iniziative includono investimenti significativi nelle energie rinnovabili, nell’idrogeno e nelle tecnologie di cattura del carbonio. Progetti di rilievo come l’impianto di cattura e stoccaggio del carbonio Kasawari e la collaborazione per la bioraffineria con Eni ed Euglena dimostrano l’impegno di Petronas verso l’innovazione e la sostenibilità. Pertamina, pur impegnandosi nello sviluppo delle energie rinnovabili, ha adottato un approccio più orientato alle risorse. Sfruttando le ricche riserve geotermiche dell’Indonesia, l’azienda ha dato priorità a progetti come l’espansione dell’energia geotermica, la produzione di biocarburanti e l’esplorazione dell’idrogeno verde. Il Sustainable Finance Framework di Pertamina sottolinea il suo impegno a lungo termine verso i principi di governance ambientale e sociale, allineando la sua strategia di investimento all’obiettivo dell’Indonesia di raggiungere emissioni nette zero entro il 2060.

Le dinamiche geopolitiche differenziano ulteriormente le traiettorie di questi due giganti energetici. Petronas opera in un contesto complesso, caratterizzato da dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale. Le sue attività di esplorazione in acque contese, come il giacimento di gas Kasawari, evidenziano l’intersezione tra sicurezza energetica e diplomazia regionale. Pur mantenendo solide relazioni commerciali con la Cina, la Malesia deve gestire con attenzione le tensioni legate a queste operazioni per garantire la stabilità delle entrate di Petronas e del mercato energetico più ampio. Pertamina, meno coinvolta in tali dispute internazionali, si è concentrata su priorità nazionali, come l’autosufficienza energetica e lo sviluppo delle infrastrutture. Tuttavia, la partecipazione dell’Indonesia ai forum globali sul clima e il crescente focus sulla sostenibilità indicano il ruolo sempre più importante di Pertamina nella diplomazia energetica internazionale.

Nonostante queste differenze, entrambe le aziende affrontano sfide comuni nell’adattarsi a un panorama energetico in rapida evoluzione.  I rapporti suggeriscono che le loro strutture di produzione petrolifera ad alto costo potrebbero rappresentare rischi fiscali mentre il mondo si sposta verso le energie rinnovabili e una minore dipendenza dai combustibili fossili. Per Petronas, la transizione richiede un equilibrio tra il suo ruolo di leader energetico globale e la responsabilità di contribuire all’economia della Malesia attraverso dividendi e tasse. Pertamina, d’altra parte, deve conciliare il suo ruolo di fornitore di energia domestica con l’ambizione di diventare un leader regionale nelle energie rinnovabili e nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio.

Il modello orientato all’export di Petronas le ha permesso di reinvestire i profitti nell’innovazione tecnologica e nell’espansione globale, posizionando l’azienda come un attore lungimirante nella transizione energetica. La sua controllata Gentari esemplifica questo approccio, concentrandosi sulle energie rinnovabili e sullo sviluppo dell’idrogeno. Pertamina, pur vincolata dal suo mandato nazionale, ha compiuto progressi significativi nell’allineare le sue operazioni agli obiettivi di sostenibilità globale. Iniziative come lo sviluppo di biocarburanti e i progetti di energia geotermica riflettono il suo impegno a ridurre le emissioni di carbonio, soddisfacendo al contempo la crescente domanda energetica dell’Indonesia. Entrambe le aziende hanno abbracciato le collaborazioni per migliorare le proprie capacità, con Petronas impegnata in progetti internazionali e Pertamina che forma alleanze con aziende come Hitachi Energy e Genvia per sviluppare tecnologie per le energie rinnovabili.

Il confronto tra Petronas e Pertamina rivela le più ampie dinamiche economiche e politiche del Sud-est Asiatico. Il mercato interno più ridotto della Malesia ha permesso a Petronas di concentrarsi sulle esportazioni e sulla crescita internazionale, creando un modello che punta sulla redditività e sull’innovazione. La popolazione più numerosa e le maggiori esigenze energetiche dell’Indonesia hanno posizionato Pertamina come uno strumento fondamentale delle politiche sociali, dando priorità all’accessibilità economica e alla disponibilità. Questi approcci divergenti evidenziano la complessità della gestione delle imprese statali in una regione in cui si intrecciano le esigenze energetiche, le sfide ambientali e le pressioni geopolitiche.

Sempre più partner di sviluppo dell’ASEAN

L’Italia conferma il suo ruolo di partnership con una nuova missione in Indonesia

Il 28 novembre, una delegazione dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, AICS, Ufficio di Hanoi, composta da Margherita Lulli, Responsabile della Cooperazione allo Sviluppo, Michele Boario, Coordinatore del Programma e Luciana Andreini, Coordinatore del Partenariato Italia-ASEAN, ha partecipato alla quarta riunione dello Steering Committee presso il Segretariato dell’ASEAN a Giacarta, in Indonesia, insieme all’Ambasciatore italiano a Giacarta, Benedetto Latteri e al Consigliere Ruben Caruccio. Durante l’incontro, entrambe le istituzioni hanno rinnovato i loro impegni per il Partenariato, che vede l’Italia come partner di sviluppo di supporto nella Cooperazione per la politica e la sicurezza, economica e socio-culturale, per la promozione della connettività e la riduzione del divario di sviluppo. “Questo Comitato per l’Italia è uno strumento utile per condividere esperienze e progetti di reciproco interesse per una crescita economica e sociale comune. Il Comitato è anche uno strumento per sostenere l’ASEAN e la sua centralità nell’Indo-Pacifico, come ribadito durante la sessione di outreach per l’Indo-Pacifico del G7 appena tenutasi a Fiuggi”, ha dichiarato l’Ambasciatore Latteri. L’Ufficio AICS di Hanoi, con la recente apertura dell’ufficio progetti di Giacarta, come unità tecnico-operativa, rappresenta un volano per una Cooperazione innovativa nella Regione, soprattutto per quanto riguarda le tematiche ambientali. “La Cooperazione italiana guarda all’ASEAN come motore di sviluppo sostenibile ed equo per l’intera Regione, particolarmente esposta agli effetti dei cambiamenti climatici e dei disastri naturali. In questo contesto, il contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo si inserisce nell’ambito dell’Agenda ASEAN Net Zero e dello sviluppo di un’economia a basse emissioni e inclusiva attraverso la realizzazione di iniziative a beneficio di tutta la popolazione dell’area” ha dichiarato Margherita Lulli a margine dell’incontro. Attualmente, l’AICS di Hanoi ha tre iniziative di cooperazione allo sviluppo attive con l’ASEAN, in particolare per quanto riguarda la lotta al cambiamento climatico, la salute, la sicurezza alimentare e lo sviluppo rurale sostenibile, compresa la pesca e l’acquacoltura. La presenza dell’ufficio AICS di Hanoi a Giacarta è stata anche l’occasione per confermare l’impegno per una più ampia integrazione all’interno dell’area, riducendo i divari di sviluppo tra gli Stati membri dell’ASEAN e condividendo un modello di cooperazione incentrato su cambiamenti misurabili, trasparenza e sostenibilità attraverso l’approccio della Gestione Basata sui Risultati e la Teoria del Cambiamento nella definizione e nell’implementazione di iniziative di interesse comune.

Il settore agroalimentare dell’ASEAN

Affrontare le sfide del clima e della tecnologia in un settore economico chiave

Articolo di Luca Menghini

Il settore agroalimentare riveste un ruolo essenziale nell’economia dell’ASEAN, sia come pilastro della sicurezza alimentare che come fonte cruciale di occupazione, in particolare nelle aree rurali. In una regione in cui colture di base come riso, olio di palma, frutti di mare e frutta sono centrali per la vita quotidiana, l’agricoltura sostiene milioni di persone e rimane una componente chiave del PIL di paesi come Myanmar, Cambogia e Laos. Tuttavia, con l’accelerazione dei cambiamenti climatici, le pressioni ambientali minacciano queste risorse vitali, ponendo sfide significative sia alla stabilità regionale che alla crescita economica. Il panorama agroalimentare dell’ASEAN, che è stato a lungo il fulcro dell’approvvigionamento alimentare nel Sud-est asiatico, sta affrontando pressioni senza precedenti causate dal cambiamento climatico, dalla deforestazione e dalla perdita di biodiversità.

Il Sud-est asiatico è sempre stato suscettibile a condizioni meteorologiche estreme. Oggi, ci sono modelli meteorologici sempre più irregolari, come inondazioni, ondate di calore e siccità, che interrompono i raccolti e rendono la produzione alimentare meno prevedibile. Il riso, un alimento di base per milioni di persone, è particolarmente vulnerabile alle fluttuazioni di temperatura e alla scarsità d’acqua, mettendo a rischio sia i mezzi di sussistenza che la sicurezza alimentare. Va sottolineato che l’agricoltura è un importante contributore alle emissioni di gas serra, in particolare attraverso le risaie, l’allevamento di bestiame e il disboscamento per le piantagioni. La coltivazione del riso, ad esempio, produce emissioni significative di metano, mentre l’espansione delle piantagioni di olio di palma e di altre colture porta spesso alla deforestazione e alla perdita di biodiversità. Bilanciare la necessità di nutrire una popolazione in crescita con l’esigenza di ridurre l’impatto ambientale è una sfida complessa che evidenzia la necessità di un’azione strategica da parte degli Stati membri dell’ASEAN.

I paesi dell’ASEAN stanno iniziando a riconoscere questi problemi, come evidenziato da iniziative come l’ASEAN Vision and Strategic Plan of Action for Food, Agriculture, and Forestry, che mira ad affrontare le sfide del cambiamento climatico e della sicurezza alimentare. A livello individuale, i paesi stanno implementando i propri programmi nazionali, come il progetto “One Million Hectare Low Emission Rice” del Vietnam. Attraverso questa iniziativa, il Vietnam punta a ridurre le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione del riso del 30% entro il 2030, dimostrando come riforme agricole mirate possano contribuire sia agli obiettivi climatici che alla sicurezza alimentare. Tuttavia, la portata e l’urgenza di questi sforzi sottolineano la necessità di una maggiore collaborazione tra i paesi dell’ASEAN per mitigare in modo efficace gli impatti ambientali.

Per affrontare queste sfide, l’adozione di nuove tecnologie è sempre più riconosciuta come una soluzione valida per aumentare la produttività riducendo al contempo l’impatto ambientale dell’agricoltura. Strumenti innovativi, come droni e sensori dell’Internet delle cose (IoT), permettono agli agricoltori di monitorare la salute delle colture, le condizioni del suolo e i livelli d’acqua con una precisione senza precedenti. L’analisi dei dati e il machine learning offrono anche informazioni utili per ottimizzare l’uso di fertilizzanti e acqua, migliorando così i rendimenti e riducendo la pressione ambientale. Questa transizione verso l’“agricoltura intelligente” consente un’allocazione più efficiente delle risorse e riduce l’impronta ecologica della produzione agroalimentare. Grazie all’applicazione precisa di acqua e nutrienti, questi strumenti aiutano a stabilizzare i raccolti anche in climi volatili, rafforzando così la sicurezza alimentare. Il ruolo del settore privato in questo cambiamento, dallo sviluppo della tecnologia alla formazione, è cruciale per garantire che i piccoli agricoltori della regione possano accedere e implementare questi progressi.

L’ASEAN ha gettato le basi per risposte collaborative a queste sfide. Programmi come l’ASEAN Integrated Food Security Framework e l’ASEAN Climate Resilient Network supportano standard e pratiche agricole condivise, promuovendo la resilienza oltre i confini nazionali. La cooperazione transfrontaliera permette la condivisione delle risorse, la diffusione di tecniche agricole sostenibili e l’implementazione di sistemi di allerta precoce, essenziali per costruire capacità di adattamento in tutta la regione. Ad esempio, il Centro di Ricerca sul Clima di Singapore ha offerto di condividere i dati climatici con i paesi vicini, con l’obiettivo di migliorare la pianificazione agricola e la resilienza. Iniziative collaborative come queste dimostrano come l’integrazione regionale possa migliorare la resilienza e ottimizzare l’uso delle risorse.

Guardando al futuro, le strategie agroalimentari dell’ASEAN oltre il 2025 dovranno dare priorità alle pratiche agricole sostenibili e all’adozione di tecnologie. I governi possono costruire su iniziative già esistenti creando politiche che supportino la diffusione delle tecnologie, come l’agricoltura intelligente basata sull’IoT, che ridurrà gli sprechi e aumenterà l’efficienza dei raccolti. Inoltre, espandere iniziative come il progetto del Vietnam sul riso a basse emissioni ad altri paesi membri sarebbe un passo forte verso la sostenibilità regionale. Un quadro post-2025 che includa partenariati pubblico-privato sarà vitale per raggiungere gli obiettivi climatici del settore agroalimentare. Progetti collaborativi tra governi e settore privato possono anche fornire supporto finanziario e tecnico ai piccoli agricoltori, aiutandoli ad adottare pratiche efficienti in termini di risorse e a partecipare a mercati ambientalmente responsabili. Un maggiore coordinamento regionale e meccanismi di condivisione delle informazioni, come l’ASEAN Food Security Information System, supporterebbero ulteriormente questi sforzi, fornendo dati tempestivi sulle forniture alimentari e sulle condizioni meteorologiche.

Mentre il settore agroalimentare dell’ASEAN affronta queste sfide complesse, mantenere un equilibrio tra produttività agricola e resilienza climatica è essenziale per uno sviluppo sostenibile. L’adozione della tecnologia e la cooperazione regionale offrono percorsi per raggiungere questo equilibrio, ma il successo richiederà sforzi concertati da parte di tutti gli Stati membri dell’ASEAN. Con continui investimenti in pratiche sostenibili e un impegno condiviso verso l’azione climatica, il settore agroalimentare dell’ASEAN può continuare a garantire sicurezza alimentare, occupazione e stabilità economica per milioni di persone nella regione. Di fronte alle sfide climatiche e ambientali, l’ASEAN deve rafforzare la propria azione collettiva e promuovere un sistema agroalimentare resiliente e adattabile per tutelare il benessere delle sue popolazioni e assicurare una crescita sostenibile negli anni a venire.

Le iniziative dell’ASEAN sul cyberspazio

La particolarità dell’attivismo dell’ASEAN in materia di cybersicurezza è legata alla sua stretta collaborazione con le organizzazioni internazionali e soprattutto con l’INTERPOL

Di Emanuele Ballestracci

Il cyberspazio è una rete digitale globale che è incorporata in ogni aspetto della vita quotidiana moderna. Non comprende solo Internet, ma anche le infrastrutture critiche che sostengono le società moderne, come le reti elettriche, i sistemi di approvvigionamento idrico, le transazioni bancarie e i sistemi di trasporto. Negli ultimi due decenni, la rapida evoluzione del cyberspazio ha influenzato il modo in cui le società comunicano e interagiscono nella sfera politica, economica e sociale. Dal 1988 con la creazione dell’ICANN sono quindi emersi i primi tentativi di creare un sistema di governance globale di Internet, inizialmente focalizzato sulla gestione di aspetti tecnici. Con l’ampliarsi del cyberspazio, soprattutto dall’inizio del nuovo millennio, i tentativi di regolamentare questa “nuova” dimensione di vita pubblica e privata sono aumentati esponenzialmente.

Oggi esiste una costellazione di iniziative pubbliche e private per la gestione multilaterale del cyberspazio, la promozione della cooperazione tra i vari stakeholder e la tutela dei singoli utenti. Negli ultimi anni particolare attenzione è stata data al tema della cybersicurezza e la quasi totalità delle organizzazioni regionali hanno lanciato delle iniziative in materia. Le iniziative dei vari G7, NATO, BRICS, Lega Araba e Unione Eurasiatica hanno però in comune il difetto di collaborare limitatamente con le organizzazioni internazionali, nonostante il loro grande attivismo in materia. Le Nazioni Unite hanno infatti lanciato negli anni una lunga serie di gruppi di lavoro e conferenze per rilanciare la governance globale in questo campo. Anche l’INTERPOL tramite il suo Global Cybersecurity Programme si propone come un partner efficace per la lotta al crimine nel cyberspazio. Tutte queste iniziative non vengono tuttavia sfruttate adeguatamente da Stati e organizzazioni regionali, con l’unica eccezione dell’ASEAN. 

Nel 2016 l’ASEAN lanciò la sua prima iniziativa sulla cybersicurezza: l’ASEAN Cyber Capacity Programme. Il Programma si concentra sullo sviluppo delle capacità tecniche, legali e istituzionali dei Paesi membri per affrontare le sfide della sicurezza informatica. Fornisce inoltre formazione, condivisione delle conoscenze e risorse per sostenere la cooperazione e il coordinamento regionale nell’affrontare le minacce informatiche. Nel 2017 al Programma è susseguita la pubblicazione dall’ASEAN Cybersecurity Cooperation Strategy, di durata quadriennale e rinnovata nel 2021. La prima Strategia si è concentrata sul rafforzamento della cooperazione e del potenziamento delle capacità dei CERT (Squadra per la risposta informatica d’emergenza) nazionali e sul coordinamento delle iniziative regionali di cooperazione in materia di cybersicurezza. L’obiettivo era aumentare le capacità informatiche regionali contro minacce informatiche, in continua evoluzione e sempre più sofisticate, evitando la duplicazione delle risorse. È stato inoltre fondato un CERT regionale facente direttamente riferimento all’ASEAN. La seconda Strategia, in continuità con la prima, si focalizza su cinque principali dimensioni: promozione della cooperazione in materia di prontezza informatica; rafforzamento del coordinamento delle politiche regionali; rafforzamento della fiducia nel cyberspazio; sviluppo delle capacità regionali; cooperazione internazionale.

Tuttavia, come accennato precedentemente, la particolarità dell’attivismo dell’ASEAN in materia di cybersicurezza è legata alla sua stretta collaborazione con le organizzazioni internazionali e soprattutto con l’INTERPOL. Quest’ultimo offre sostegno alle forze dell’ordine a livello mondiale nella prevenzione e nella lotta alla criminalità informatica tramite la promozione di maggiore cooperazione e la formazione degli agenti locali. Nel 2018 INTERPOL ha quindi istituito l’ASEAN Cybercrime Operations Desk al fine di affrontare le crescenti minacce informatiche nella regione. L’ASEAN Desk è l’hub regionale per lo scambio di informazioni e d’intelligence sulla criminalità informatica. Tramite la capacità del Cyber Fusion Centre dell’INTERPOL e i partenariati pubblico-privati fornisce una serie di prodotti di analisi strategica che consentono alle autorità dell’ASEAN di prendere decisioni efficaci sulla prevenzione e la lotta alla criminalità nel cyberspazio. Nel 2020 è stato inoltre lanciato l’ASEAN Cybercrime Knowledge Exchange Workspace, che consente alle forze dell’ordine di condividere informazioni non operative come le migliori pratiche e le informazioni open source sulle minacce nella regione. Infine, sempre dal 2020, viene pubblicato con cadenza annuale l’ASEAN Cyber Threat Assessment. Il rapporto offre analisi e approfondimenti sull’attuale panorama dei rischi per la cybersicurezza, nonché consigli di policy per le azioni future.

L’ASEAN alla COP29

Il documento programmatico approvato dall’ASEAN sul contrasto al cambiamento climatico, apripista alla partecipazione al vertice in corso a Baku

I Paesi membri dell’ASEAN esprimono profonda preoccupazione per il continuo aumento delle emissioni globali di gas a effetto serra e per la conseguenza dell’aumento dei rischi climatici e degli impatti sui sistemi naturali e umani, che rimane una minaccia significativa per la diversità ecologica nella regione dell’ASEAN e, in generale, per la sostenibilità dei guadagni di sviluppo che abbiamo raggiunto finora. Vogliamo richiamare l’attenzione sul costo dei cambiamenti climatici per le economie dell’ASEAN, che rappresenta una perdita economica stimata di 97,3 miliardi di dollari tra il 2009-2020 e un costo di adattamento stimato in 422 miliardi di dollari fino al 2030 per la regione. Vogliamo evidenziare i progressi significativi e le nuove opportunità offerte dalla COP28 e dal Consenso degli Emirati Arabi Uniti per garantire un clima stabile, che costituisce una base importante per sostenere i guadagni in termini di sviluppo nella regione dell’ASEAN, tenendo conto delle responsabilità comuni ma differenziate degli Stati Parte dell’ASEAN. Per questo motivo, chiediamo che venga accelerata l’attuazione delle azioni per il clima e dei meccanismi finanziari previsti dall’UNFCCC, come prova dell’impegno a favore di un’azione per il clima e di una transizione energetica rapida ed equa. Chiediamo di riconoscere le persistenti lacune nell’attuazione delle ambiziose azioni concordate in materia di clima, tra cui la mitigazione, l’adattamento e la finanza. E auspichiamo l’adempimento dei mezzi di attuazione, come da impegni assunti dai Paesi sviluppati, ossia finanziamenti, sviluppo e trasferimento di tecnologie e sviluppo di capacità, compreso lo sviluppo e l’attuazione di tecnologie a basse emissioni e di infrastrutture abilitanti, che sono fondamentali per la nostra transizione verso un’economia regionale a basse emissioni di carbonio e per garantire la capacità dell’ASEAN e dei Paesi in via di sviluppo di accedere ai finanziamenti per il clima. Auspichiamo inoltre l’attuazione delle decisioni adottate nelle precedenti COP per rafforzare il sostegno finanziario all’azione per il clima nei Paesi in via di sviluppo. Chiediamo poi di riconoscere i contributi potenziali degli Stati membri dell’ASEAN attraverso l’evitamento delle emissioni, la riduzione delle emissioni, l’eliminazione delle emissioni e l’aumento dello stock di carbonio, in funzione dei progressi scientifici e tecnologici, della cooperazione internazionale e di un maggiore sostegno da parte dei Paesi sviluppati, comprese le iniziative pertinenti relative ai mercati del carbonio da parte degli Stati membri dell’ASEAN per fungere da modello per un approccio integrato allo sviluppo sostenibile e alla resilienza climatica nella regione.

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