Il medico marchigiano, scopritore del virus della Sars, operò in Cambogia, Laos e Vietnam
È il 29 marzo 2003 quando l’Italia viene a sapere che un suo cittadino, il Dottor Carlo Urbani, è morto presso l’ospedale di Bangkok a causa della Sars (Sindrome respiratoria grave), una forma atipica di polmonite comparsa nel Sud-Est asiatico nell’inverno di quello stesso anno.
Solo allora, si viene a conoscenza dello straordinario lavoro svolto dal medico marchigiano, il primo ad aver isolato il virus e uno dei primi a rimanerne vittima. Come dichiara l’Istituto Superiore di Sanità, “la sua segnalazione precoce della Sars ha messo in allarme il sistema di sorveglianza globale ed è stato possibile identificare molti nuovi casi e isolarli prima che il personale sanitario ospedaliero venisse contagiato. Grazie all’isolamento del virus si è potuto in poco tempo sviluppare un vaccino e delle cure efficaci che ne hanno controllato la diffusione”.
Urbani, spostato e padre di 3 figli, dopo la sua specializzazione in malattie infettive all’Università di Ancona, viene subito attratto dalla sfida che la salute internazionale lancia all’umanità, dapprima in Mauritania con l’Oms e successivamente nel in Cambogia con Medici senza Frontiere (MSF). Nell’aprile 1999 viene eletto presidente di Msf Italia e partecipa alla delegazione che ritira il premio Nobel per la pace assegnato all’organizzazione. Dopo la Cambogia, il suo impegno lo porta nel Laos e quindi, nell’aprile del 2001, Urbani si trasferisce con la sua famiglia ad Hanoi come coordinatore delle politiche sanitarie dell’Oms in Vietnam, Cambogia, Laos, Thailandia, Cina e Filippine.
Nonostante le responsabilità organizzative, però, combattere le malattie dimenticate e salvare le vite umane resta sempre la missione principale di Urbani. Cosa che avviene anche in quel 28 febbraio 2003, quando il medico viene chiamato presso un ospedale privato francese di Hanoi, per occuparsi di un caso di polmonite atipica che aveva colpito un uomo di affari americano. Dai sintomi accertati, capisce subito di trovarsi davanti ad un nuovo virus molto contagioso.
Il sospetto principale cade su un focolaio epidemiologico già da tempo diffuso nel Guangdong, la regione della Cina meridionale in cui il virus della Sars si era diffuso ormai da mesi, tenuto nascosto dalle autorità di Pechino alla comunità mondiale. Un ritardo che si rivela fatale e che contribuisce alla diffusione incontrollata del virus.
Urbani intuisce di trovarsi di fronte ad un virus del tutto sconosciuto all’organismo umano, senza protocollo terapeutico né vaccino, e per questo capace di evolvere in brevissimo tempo in una grave polmonite bilaterale, potenzialmente letale. Così il medico italiano, nel lanciare l’allarme al Governo e all’Oms, convince le autorità locali ad adottare misure di isolamento e quarantena preventiva per circoscriverne la diffusione.
Purtroppo non immaginava di essere già stato contagiato. Lo capisce l’11 marzo, durante il volo che da Hanoi lo porta a Bangkok, in Thailandia. Chiede di essere ricoverato in isolamento, ma 18 giorni dopo muore, lasciando disposizione che in seguito al decesso gli venga prelevato un campione dai polmoni per analizzarlo e sperimentare un vaccino contro la Sars.
Le ricerche di Urbani sono tutt’oggi importanti, e, in questi mesi di emergenza sanitaria, acquisiscono un peso ancora maggiore. Le indicazioni fornite dal medico sulle modalità di contenimento del contagio – tra cui la misura della quarantena – sono alla base del protocollo dell’OMS contro le pandemie.
Il suo impegno e abnegazione al lavoro sono stati riconosciuti dallo stesso Kofi Annan, l’allora Segretario Generale della Nazioni Unite, che dopo la sua scomparsa ha così testimoniato: “Non sapremo mai quanti milioni di morti avrebbe provocato la Sars perché il dottor Urbani ha fatto in modo di evitarlo. Egli lascia un esempio illuminante nella comunità e lo ricorderemo come un eroe nel senso più elevato e vero del termine”.