Il modello di sviluppo del Sud-Est asiatico si prepara alla storica svolta dell’economia circolare. Ecco come si stanno muovendo i Paesi del blocco ASEAN per incentivare un sistema che porterà vantaggi su profitti e ambiente
Aumentare i profitti, ridurre gli sprechi e salvare il mondo: questi sono gli obiettivi della circular economy, il sistema economico che si basa sul concetto dell’eco-sostenibilità e della riduzione dei rifiuti e che potrebbe diventare nei prossimi anni l’asso nella manica per i Paesi del Sud-Est asiatico.
D’altronde, proprio i Paesi dell’area ASEAN sono ormai da anni colpiti da gravi problemi d’inquinamento, di sprechi delle risorse non riutilizzate e dall’accumulo dei rifiuti plastici nel mare. Problemi di cui si è occupata la stessa ASEAN in un report del 2019 dal titolo “Asean Framework of Action on Marine Debris”, dove vengono elencati i problemi dell’area asiatica in materia di rifiuti marittimi e le possibili politiche ambientali da adottare per arginarli.
Secondo il World Economic Forum, entro il 2050 non sarà più sostenibile un’economia basata sul modello consumistico del “take, make, dispose” e l’economia circolare sarà il miglior strumento per combattere l’inquinamento e gli sprechi. I dati mostrano che solo il 20% di tutti i materiali prodotti a livello globale vengono riutilizzati, mentre l’80% non viene riciclato: oggi possiamo permettercelo, ma un domani questo non sarà possibile. I dati demografici sono ulteriore motivo di preoccupazione per il Sud-Est asiatico: entro il 2050 la popolazione urbana aumenterà di oltre 260 milioni di abitanti ed è quindi necessario per questi Paesi iniziare ad introdurre politiche ambientali volte all’implementazione, all’interno delle aziende, di una struttura economica di tipo circolare che permetterà un recupero dei materiali stimabile tra l’80 e il 99%.
I Paesi del Sud-Est asiatico non sono preoccupati solo dall’aumento demografico ma anche e soprattutto dai danni provocati dall’inquinamento e dal cambiamento climatico che potrebbero colpirli profondamente. Secondo la società di consulenza Maplecroft, entro il 2050 i danni causati dal cambiamento climatico potrebbero provocare una perdita del 3% del PIL dell’area dei Paesi del Sud-Est asiatico, a fronte di una stima dell’1-2% per il PIL globale. Nel rapporto, due città che presentano un rischio particolarmente elevato sono Giacarta e Manila: Indonesia e Filippine, secondo la ricerca “Plastic Waste Inputs from Land Into the Ocean” del 2015, risultano essere il secondo e terzo Paese del mondo per produzione di rifiuti plastici dispersi nel mare.
Per contrastare il fenomeno dell’inquinamento, l’Indonesia ad inizio anno ha pubblicato un report condotto dal Ministerodella Pianificazione dello Sviluppo Nazionale nel quale vengono analizzati gli effetti potenziali che l’adozione di un’economia circolare su cinque settori chiave dell’economia Effetti duplici: da una parte il miglioramento delle condizioni ambientali e dall’altra parte un aumento considerevole dei profitti. Secondo il report, infatti, entro il 2030 l’Indonesia potrebbe accrescere di 45 miliardi di dollari la propria economia, arrivando alla creazione di quasi 4 milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro.
Nel 2020 un altro progetto di particolare rilievo è stato istituito per dare inizio alla svolta green dell’area asiatica: si tratta del progetto “Closing the Loop”, sostenuto dal Giappone e che coinvolge quattro città in Malesia, Indonesia, Thailandia e Vietnam. Obiettivo del progetto è quello di creare un piano organizzativo per combattere lo spreco di rifiuti plastici, individuando le zone a rischio delle città dove è più facile la formazione e l’accumulo di ingenti quantità di rifiuti plastici, in modo tale da permettere alle autorità comunali di adottare strategie nell’ambito della circular economy per la gestione dei rifiuti.
Nonostante i buoni propositi, verosimilmente dettati più dalle possibilità di un aumento di punti del PIL che da motivi ambientali, la strada per i Paesi del Sud-Est asiatico è ancora in salita e sono numerosi gli interventi che devono essere ancora attuati dai rispettivi governi.
Anche se all’Indonesia si sono aggiunti il Vietnam, Singapore e le Filippine, che hanno annunciato dal 2021 di voler implementare nuove politiche green e strategie ad hoc per intraprendere il percorso verso l’economia circolare e le sue 5 R “ridurre, riusare, riciclare, rigenerare e rinnovare”, restano diversi rischi per i governi.
Secondo alcuni esperti, il rischio maggiore per i Paesi del Sud-Est asiatico riguarderebbe il mancato coinvolgimento delle piccole e medie imprese, (il 90% delle aziende registrate nell’area), nella transizione ecologica.
Anche se linea teorica è più facile per una piccola azienda modificare le proprie politiche rispetto ad una grande azienda, la mancanza di adeguati incentivi e supporti economici per attuare programmi incentrati sull’economia circolare, rischia di portare diverse pmi a rinunciare alla svolta ecologica. Per ovviare al problema una buona soluzione è stata attuata in Vietnam, dove vengono proposti prestiti a basso tasso d’interesse alle imprese che vogliono sviluppare progetti a zero impatto ambientale.
Numerose ricerche, specialmente quelle che da dieci anni vengono condotte dalla Fondazione Ellen–MacArthur in tema di economia circolare, mostrano che il cambio di rotta dei Paesi del Sud-Est asiatico è necessario, perché seguire un’economia lineare non sarà più sostenibile nel futuro prossimo.
Quanto prima verranno adottate misure volte a portare cambiamenti concreti sul tema ambientale, prima vi saranno più possibilità di vedere raggiunti i risultati che questi Paesi si sono posti per il 2030 in termini di riduzione d’inquinamento e di rifiuti plastici. Il tutto insieme a un duplice stimolo alla transizione e alla crescita economica.