Isole, rocce e bambù: le acque agitate del Vietnam

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In pieno stile bamboo diplomacy, il Vietnam ha avuto una reazione modesta all’invasione dell’Ucraina. L’eco del conflitto, però, si è sentita ad Hanoi forse più che a Taiwan

Articolo a cura di Lucia Gragnani

1979. La Cina lancia un’offensiva contro il Vietnam in risposta all’opposizione di Hanoi al regime degli Khmer rossi e alla firma del trattato di partnership sovietico-vietnamita. Sono passati più di quarant’anni, ma nei libri di scuola vietnamiti ancora non c’è pressoché traccia dell’attacco cinese. Con la stessa reticenza, il Vietnam si è astenuto dal condannare la Russia al tavolo delle Nazioni Unite, e si è opposto all’esclusione di Mosca dal Consiglio dei diritti umani. Questo tipo di neutralità strategica non è solo pro forma, ed è tanto radicata da essere riuscita a conquistarsi il nome su misura di bamboo diplomacy. Piantato solidamente nel terreno, ma agile nel flettersi secondo il vento. Nei paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN), questo approccio ha comportato reazioni modeste all’invasione dell’Ucraina.

L’ambiguità della politica vietnamita si manifesta sotto molteplici aspetti. La Cina si batte con gli Stati Uniti per il ruolo di primo partner commerciale, mostrandosi capace di dare una risposta alla crescente domanda di investimenti del Vietnam nel settore delle infrastrutture. Per questo motivo Hanoi ha, come altri membri ASEAN, tradizionalmente preferito rimanere moderato nei confronti di Pechino, temporeggiando per non farsi trascinare dalle avances americane nelle politiche di contenimento della Cina. Gli Stati Uniti hanno un forte interesse nel costruire una relazione con l’ASEAN nel campo della sicurezza marittima in quanto componente chiave della Strategia Indo-pacifica, come annunciato nella comunicazione pubblicata in vista del summit USA-ASEAN di maggio. Dopo aver ricucito le ferite della guerra, Washington e Hanoi hanno stabilito un rapporto di collaborazione solido ma cauto. Ma, con il divieto di esportare armi letali al Vietnam valido fino al 2016, ancora non militare.

Il settore è di competenza russa, così come quello della produzione di macchinari per l’estrazione del petrolio. I rapporti tra Hanoi e Mosca sono amichevoli da decenni, radicati nei legami tradizionali dell’ex Unione Sovietica. La dipendenza all’80% dalla fornitura di armi da parte di Mosca a partire dal 2000 in poi ha provveduto a cementificarli. A fine 2021, i governi dei due paesi hanno siglato un nuovo accordo per espandere ulteriormente la cooperazione militare. Guardando alla postura vietnamita nei confronti di Russia e Usa, lo scorso anno è stato emblematico. Nell’arco di quattro mesi a partire da aprile, si sono succedute le visite del presidente russo Vladimir Putin, del ministro della difesa cinese Wei Fenghe, e della vicepresidente USA Kamala Harris.

In stile bamboo diplomacy, il Vietnam ha avuto una reazione modesta all’invasione dell’Ucraina. L’eco del conflitto, però, si è sentito anche ad Hanoi e forse più che a Taiwan. Con lo scoppio della guerra e le successive sanzioni che hanno complicato il commercio internazionale con Mosca anche per i paesi rimasti “amichevoli”, sono diminuite le possibilità di accedere all’arsenale russo. Senza poter contare sul suo principale partner strategico, il Vietnam rimane adesso con un fianco scoperto. 

Questo fianco, in particolare, è vicino alla lunga costa est che guarda al mar Cinese meridionale, conosciuto in Vietnam come mare dell’Est. Davanti, una serie di atolli e formazioni rocciose costellano il panorama marittimo, su cui si affacciano anche Cina, Taiwan, Filippine, Brunei, Malesia e Indonesia. Ciascun paese dichiara sovranità su una parte più o meno vasta del mar Cinese meridionale. Oltre ad essere uno snodo di scambio commerciale fondamentale da cui passa un terzo del commercio marittimo mondiale, il mar Cinese meridionale ha importanti riserve di gas nel sottosuolo. Negli ultimi anni è diventato luogo di attrito per i rapporti Cina-USA. Per attori più piccoli come il Vietnam, navigare queste acque agitate rimanendo moderati è questione strategica.

Nel 2016 il tribunale della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) ha dichiarato che non tutte le terre emerse hanno diritto a ricevere lo status di isola. Secondo il Tribunale, nel mar Cinese meridionale non ci sono, infatti, formazioni permanentemente sopra al livello dell’acqua capaci di sostenere vita umana. Lo status di isola permetterebbe di esercitare una zona economica esclusiva (ZEE) di 200 miglia nautiche e condurre esplorazioni del sottosuolo. Le rivendicazioni marittime però non sono solo una questione di strategia, ma anche di politica e sovranità. Isole o no, le ambizioni dei vicini di casa non sono cambiate.

Tra questi, Pechino è il dirimpettaio più problematico. La Cina rivendica, infatti, la totalità delle formazioni rocciose del mar Cinese meridionale e le loro corrispondenti acque sulla base della storica U-shaped line. Questa linea immaginaria abbraccia l’intera massa marina, e si sovrappone in larga parte alle dichiarazioni di sovranità territoriali del Vietnam. Queste dispute sono ancora il principale motivo di tensione tra Pechino e Hanoi. Nel 1974 la Cina ha occupato le isole Paracelso, precedentemente vietnamiti, dopo uno scontro che ha causato decine di morti. Nel 1988 un altro scontro a Johnson Reef, nelle Spratly, ha provocato circa 70 vittime. Più di recente, nel 2014 il movimento della piattaforma petrolifera cinese Haiyang Shiyou 981 nei pressi delle isole Paracelso aveva generato proteste ad Hanoi, e fatto immaginare un primo parallelismo con l’annessione della Crimea. Il Vietnam ha reagito in modo composto alle provocazioni cinesi. Danneggiare il rapporto con Pechino per delle rocce nel mar Cinese meridionali avrebbe più costi che benefici.

Quando, dopo il 24 febbraio, Pechino ha annunciato nuove esercitazioni militari vicino alla costa vietnamita, il rumore dei colpi in Ucraina è sembrato più vicino. Nel settore della sicurezza è necessario ampliare il portafoglio dei partner, ma abbracciare Washington esporrebbe il paese a possibili ripercussioni sui rapporti con la Cina. Allo stesso tempo, staccarsi da Mosca dopo decenni di quasi-monopolio risulta difficile. La Russia ha dichiarato di avere in programma per la fine del 2022 delle esercitazioni militari con il partner dell’ASEAN, e Hanoi non ha ritrattato. L’ambiguità strategica del Vietnam permette di avere molteplici partner, e la centralità data al tema del mar Cinese meridionale all’ultimo incontro tra il primo ministro indiano Narendra Modi e il segretario del Partito comunista vietnamita Nguyễn Phú Trọng non è casuale. Avvicinarsi all’India però non vuol dire avvicinarsi al QUAD, e se da un lato si rafforza il partenariato strategico Vietnam-India e l’aria nel mar Cinese meridionale si fa tesa, dall’altro Hanoi e Pechino si congratulano per i 72 anni di relazioni diplomatiche e promettono di rafforzare la cooperazione. Il bambù vietnamita resiste anche in acqua salata, ma è da vedere per quanto tempo questa ambiguità sarà sostenibile.

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