A maggio sono in calendario le attese elezioni presidenziali nell’arcipelago del Sud-Est asiatico, strategico nella contesa tra Stati Uniti e Cina. Manila cerca di dare un volto al dopo Duterte, anche se la figlia Sara potrebbe occupare un posto di primo piano al fianco di un altro figlio, quello dell’ex dittatore che controllò il Paese tra il 1972 e il 1986. Dal mini e-book di China Files “In Cina e Asia 2022”, realizzato in collaborazione con Associazione Italia-ASEAN.
Articolo a cura di Luca Sebastiani
Ex pugili, figli di dittatori e presidenti, attivisti e attori. La corsa alla presidenza delle Filippine che si terrà il 9 maggio 2022 è accesissima. La popolazione del paese del Sud-Est asiatico il prossimo anno andrà alle urne per decidere chi governerà per i prossimi anni, sia a livello nazionale che locale. In tutto, gli aventi diritto di voto saranno circa 67 milioni, per una tornata elettorale particolarmente importante. L’attesa è molto alta per la corsa alla successione di Rodrigo Duterte, presidente dal 2016 a cui la Costituzione nega la possibilità di ricandidarsi e che quindi ha ripiegato sulla candidatura per un posto al Senato.
I pretendenti
Al momento più di 90 candidati si sono presentati con la speranza di ricoprire la carica più alta delle Filippine. Il favorito dai sondaggi è per ora Ferdinand “Bongbong” Marcos Jr., figlio del defunto omonimo dittatore Ferdinand Marcos, che controllò il paese tra il 1972 e il 1986. Marcos, senatore fino al 2016, corre con il partito Pfp (Partido Federal ng Pilipinas) e, in caso di una sua vittoria, gli analisti ritengono possa verificarsi una sostanziale continuità con Duterte (nonostante quest’ultimo non lo appoggi). Tra l’altro, come sua vicepresidente, si dovrebbe candidare la figlia maggiore dello stesso Duterte, Sara, che dopo mesi di indiscrezioni su una sua discesa in campo per succedere al padre, ha deciso di sostenere Marcos. Un’intesa che potrebbe rafforzare l’asse tra due delle dinastie politiche più importanti delle Filippine ed esponenti del nord e del sud del paese. Il cambio di passo più evidente potrebbe verificarsi in politica internazionale, con un maggior equilibrio delle Filippine tra Cina e Stati Uniti, rispetto a quanto avvenuto con Duterte, più proteso verso Pechino, soprattutto nella prima parte del suo mandato.
La principale sfidante di Marcos Jr sembrerebbe poter essere l’attuale vicepresidente Leni Robredo, un’attivista per i diritti civili che punta a intercettare il voto di chi vuole un forte cambiamento dopo gli ultimi anni. Si tratta di una figura contrapposta rispetto a quella di Duterte e contraria alla violenta “guerra alla droga” condotta dal presidente, in cui sono state uccise migliaia di persone dalle forze di polizia (più o meno regolari) con omicidi extragiudiziali. Robredo ha dichiarato, in modo diplomatico, che in caso di vittoria collaborerà con la Cina solo nelle aree e nei dossier dove non ci sono tensioni esistenti, sottintendendo comunque l’importanza dei rapporti commerciali con Pechino. A correre per la presidenza anche il senatore Panfilo Lacson, già capo della polizia delle Filippine, e l’ex ministro della Difesa Norberto Gonzales.
Tra i nomi di peso presenti ai nastri di partenza c’è quello del sindaco di Manila, l’ex attore Francisco “Isko Moreno” Domagoso, che spera nel sostegno ufficiale di Duterte, ma anche Manny Pacquiao, tra i più grandi pugili di tutti i tempi e attualmente senatore, che ha deciso di candidarsi alla presidenza dopo aver appeso i guantoni al chiodo a settembre. Negli scorsi mesi Pacquiao si è scontrato in maniera aspra con Duterte – nonostante siano entrambi esponenti del Pdp-Laban (Partido Demokratiko Pilipino-Lakas ng Bayan) – criticandolo per l’approccio troppo accondiscendente con Pechino. La sua campagna elettorale si baserà sulla lotta alla corruzione nel paese e un atteggiamento più intransigente con la Cina. Insieme a loro sono decine i candidati, alcuni inevitabilmente in cerca di visibilità e notorietà in un paese duramente colpito dalla pandemia e con l’economia in difficoltà.
L’equilibrio tra Stati Uniti e Cina
A prescindere dalle priorità di politica interna su cui i diversi candidati discuteranno da qui fino alle elezioni, emerge con forza un tema cardine del prossimo futuro per le Filippine: il proprio posizionamento nella contesa tra Cina e Stati Uniti. Il Covid-19 ha accelerato il processo competitivo tra le due potenze, evidenziando la centralità strategica della regione indo-pacifica. Dall’inizio della presidenza di Duterte i rapporti economici e politici tra Manila e Pechino sono andati via via rafforzandosi, indebolendo di conseguenza l’intesa con gli Usa dell’allora presidente Donald Trump. Una tendenza durata fino allo scontro diplomatico della scorsa primavera quando le Filippine e la Cina sono arrivate ai ferri corti a causa della vicenda delle isole Spratly/Kalayaan, storica controversia territoriale tra i due paesi.
In quell’occasione Pechino inviò più di 200 pescherecci nelle acque dell’atollo Juan Felipe (o “Whitsun Reef” per usare il nome internazionale), definite vere “milizie marittime” da parte delle Filippine. Il rifiuto cinese di abbandonare le acque fece salire la tensione. Per Manila fu una chiara manifestazione delle volontà cinesi di occupare territori in quella zona, tanto che il ministro degli Esteri delle Filippine, Teodoro Locsin Jr. reagì rivolgendosi ai cinesi con parole molto dure: “Get the fuck out”. Nonostante queste dichiarazioni, Duterte ha sempre cercato di tenere basso il livello di tensione con la Cina. D’altronde da Pechino giungevano milioni di dosi di vaccino essenziali per il paese. Anche a novembre è avvenuto un incidente nel Mar cinese meridionale, con le navi della Repubblica Popolare che hanno sparato colpi di avvertimento vicino a imbarcazioni delle Filippine.
Gli Stati Uniti hanno subito sfruttato la questione per dare il pieno sostegno a Manila, cercando di ampliare la distanza tra le Filippine e Pechino. Per Washington l’arcipelago è fondamentale, visti la vicinanza geografica con Taiwan e il legame storico che lega gli Usa e Manila. Anche per questo che con Joe Biden alla Casa Bianca, l’amministrazione americana si è mostrata più attenta verso il paese del Sud-Est asiatico, che dopo le ripetute dichiarazioni in senso contrario ha rinnovato il Visiting Forces Agreement.
Le recenti tensioni con la Cina hanno scaldato gli animi della popolazione delle Filippine, che potrebbero ricordarsene quando si recheranno alle urne. Sebbene, non ci siano tra i principali pretendenti, candidati che sono dirette espressioni di Pechino o Washington, è certo che in questi mesi di campagna elettorale verrà dedicato ampio spazio alle relazioni del paese asiatico con le due superpotenze. E nel frattempo Cina e Stati Uniti osservano.