Dopo il Vietnam, sarà il Brunei Darussalam il secondo Paese alla guida dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico dall’inizio della pandemia
Non è la prima volta che il Brunei è alla Presidenza dell’Associazione delle Nazione del Sud-Est asiatico, bensì la quinta: prima nel 1989, poi nel 1995, nel 2001, nel 2013 e infine nel 2021, seguendo il sistema a rotazione per ordine alfabetico degli Stati membri. È la prima volta, tuttavia, che il passaggio di testimone avviene in un momento così delicato. Un momento in cui le tensioni geopolitiche globali sono più accese che mai, e la crisi sanitaria aggiunge ulteriore incertezza riguardo al futuro. Il modo in cui il Brunei reagirà alle sfide quest’anno durante la sua Presidenza potrebbe essere decisiva sia per la politica estera, sia per la coesione interna all’ASEAN.
In lingua malese “Dimora della Pace” (Nagara Brunei Darussalam), il Brunei è una monarchia assoluta di stampo islamico situata sull’isola del Borneo, confinante con la Malesia e affacciata sul Mar Cinese Meridionale. La posizione del Sultanato, la cui economia si basa principalmente sul petrolio, è in mezzo ad un quadrato di fuoco della geopolitica globale. Da un lato i Paesi ASEAN, partner strategici, ma con due dei quali (Filippine e Vietnam) condivide anche delle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale contro la Cina. Dall’altro la Cina, il suddetto avversario nelle dispute, ma anche il maggiore partner commerciale e investitore nelle raffinerie di petrolio e nelle infrastrutture locali del Brunei, oltre che il partner con cui proprio nel 2021 viene sancito il 30esimo anniversario delle relazioni. Da un altro lato ancora gli Stati Uniti con il nuovo Presidente Joe Biden, un alleato fondamentale per controbilanciare la Cina e rafforzare la sicurezza internazionale, ma anche uno dei critici più aspri riguardo la legge promulgata dal Sultano del Brunei Hassanal Bolkiah contro gli adulteri e la comunità LGBTQ. Nell’ultimo lato infine il Regno Unito, prezioso alleato che cerca di rafforzare i rapporti con il blocco ASEAN complessivamente dopo la Brexit, ma allo stesso tempo ex potenza coloniale in Brunei. Un altro ostacolo per la cooperazione tra i due è l’economia del Brunei, ancora fortemente dipendente dal petrolio, e che fa storcere il naso a chi vorrebbe un partner dedito a politiche più green.
Data la sua posizione estremamente delicata in questo contesto, il Brunei dovrà muoversi con attenzione e prudenza per non finire invischiato nelle fitte maglie della geopolitica internazionale, e allo stesso tempo riuscire a sfruttare il suo ruolo di Presidenza per promuovere l’agenda ASEAN. Non bisogna dimenticare che il Brunei è stato uno dei quattro Paesi firmatari dell’Accordo P-4, l’accordo commerciale che nel tempo si è evoluto nel Partenariato Trans-Pacifico (in inglese TPP, “Trans-Pacific Partnership”) fino a coinvolgere 12 Paesi, rappresentanti il 40% dell’economia globale. La sua potenza economica e il suo impegno in tal senso lo rendono un hub prezioso per i Paesi membri, che attendono di scoprire cosa includerà in termini concreti il suo programma di azione.
Per ora, ciò che è noto è il tema scelto per quest’anno di Presidenza: “We Care, We Prepare, We Prosper”. Secondo il Sultano, esso rappresenta l’impegno collettivo dei Paesi ASEAN nel prendersi cura della sua popolazione e prepararsi per le future sfide, con l’obiettivo di garantire una prosperità sostenibile a tutta la sua comunità. Le priorità del Brunei sembrano essere il proseguimento dei lavori per raggiungere l’ASEAN Community Vision 2025 e il rafforzamento delle istituzioni interne dell’ASEAN; l’attuazione dell’ ASEAN Comprehensive Recovery Framework per riparare ai danni causati dal COVID-19 all’economia; il rafforzamento della resilienza complessiva della regione contro le sfide future sfruttando i meccanismi dell’ASEAN Plus Three e dell’ East Asia Summit; e l’aumento delle possibilità di collaborazione con partner già esistenti, oltre che la creazione di nuove laddove possibile.
Un programma ambizioso ma non esente da sfide. Oltre a quelle che possono apparire ovvie, per il Brunei la chiave sarà rafforzare il comparto tecnologico e digitale, e soprattutto passare ad un tipo di sviluppo economico più sostenibile. Per quest’ultimo, ci sarà bisogno di maggiore impegno nel settore della sicurezza energetica, negli obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU, e nel supporto alle piccole e medie imprese. A questa agenda, di certo già abbastanza ricca di sfide, si aggiunge la situazione incerta in Myanmar dopo il colpo di stato dello scorso 1° Febbraio. In qualità di Paese di turno alla Presidenza, il Brunei si è già espresso spronando al dialogo, la riconciliazione, e un “ritorno alla normalità” appellandosi ai principi della Carta dell’ASEAN: democrazia, legalità, sana gestione degli affari pubblici, rispetto e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali dell’individuo.
Il cammino per il turno di Presidenza del Brunei quest’anno sarà particolarmente ricco di ostacoli. Ci auguriamo che, nonostante le sfide, il Paese riesca a convogliare le giuste energie per fronteggiare le difficoltà, e lavorare in armonia con gli altri per una regione del Sud-Est asiatico più prospera, pacifica e inclusiva che mai.