Il delicato processo di integrazione commerciale dell’Asia Orientale ha individuato il suo polo propulsore nell’ASEAN. L’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico è infatti l’epicentro di una fitta rete di accordi di liberalizzazione, che ha creato le basi politiche e diplomatiche per promuovere relazioni mutuamente vantaggiose tra le economie asiatiche. Pur essendo stata definita una noodle bowl per via della confusione di aree di libero scambio non coordinate a livello regionale, la proliferazione di questi accordi ha contribuito notevolmente a fabbricare la fiducia reciproca tra i Paesi dell’area. Attraverso l’individuazione di misure di compromesso, sono state tutelate anche le economie più deboli – come ad esempio il Myanmar, da decenni impegnato in una complessa transizione democratica, recentemente frenata dal colpo di stato dei militari.
Il ricorso alla formula dei free trade agreements (FTAs) ben si concilia infatti con la preferenza di negoziazioni su base bilaterale, cui da sempre tendono le economie asiatiche, specie quelle in via di sviluppo. La conclusione di ben sette accordi di libero scambio nella regione – il primo tra i Paesi membri dell’ASEAN, gli altri tra l’Associazione e i suoi “partner di dialogo” – ha gettato le basi per la promozione della Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP). Grazie agli encomiabili sforzi dei suoi fautori, la cosiddetta ASEAN way ha di fatto realizzato le condizioni necessarie affinché i 15 Paesi firmatari della RCEP potessero dar vita a questo mega accordo commerciale nel novembre 2020.
Ma andiamo con ordine. All’indomani della creazione dell’area di libero scambio tra i Paesi membri dell’ASEAN nel 1993, sono stati promossi sei accordi con una serie di altre economie dell’Asia-Pacifico: Cina e Hong Kong, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, e India.
Quello con la Cina è stato il primo accordo commerciale con uno dei dialogue partners dell’ASEAN. Le relazioni tra Pechino e i Paesi del Sud-Est asiatico sono andata via via migliorando dopo un lungo periodo di diffidenza, a partire dagli anni Settanta e poi con rinnovato vigore dagli anni Novanta. Infatti, nel 2002 è stato promosso il Framework Agreement on Comprehensive Economic Co-operation, cui ha fatto seguito un accordo di libero scambio sui beni che prevede la progressiva liberalizzazione economica tra le parti. Data l’imponenza dell’economia cinese rispetto ai Paesi membri dell’ASEAN alcuni membri dell’Associazione godono di un trattamento speciale e differenziato, con finestre temporali per la liberalizzazione più rilassate. Secondo i dati raccolti dall’Associazione, il valore del volume totale degli scambi tra ASEAN e Cina tra il 2003 e il 2019 ha conosciuto una crescita esponenziale dall’inizio del millennio: la crescita dell’interscambio di beni è pari a +692%, essendo incrementata da circa $64 miliardi a $507 miliardi. Ma è il tasso di crescita medio annuo a lasciare di stucco: il suo valore percentuale è pari al 13%, mentre il valore del volume totale degli scambi con il resto del mondo cresceva in media del 7% annuo (da circa $871 miliardi a $2.816 miliardi tra il 2003 e il 2019). All’accordo ASEAN-Cina ha fatto seguito quello con la regione amministrativa speciale di Hong Kong, siglato nel 2017, di cui l’ASEAN è il secondo partner commerciale. Nonostante il rapporto tra ASEAN e Cina sia complesso, entrambi desiderano mantenere la stabilità regionale, sfruttando rapporti commerciali mutualmente vantaggiosi.
Quella con il Giappone è considerata una delle relazioni più rilevanti tra l’ASEAN e una delle massime economie mondiali. Per resistenza e longevità, nonostante gli alti e i bassi, il legame economico-commerciale è sempre stato molto proficuo. Il volume totale del commercio di beni era già nell’ordine dei 119 miliardi di dollari nel 2003, ed è passato a $153 miliardi nel 2005, in seguito alla stipula dell’accordo, mentre nel 2019 invece ammontava a $226 miliardi. A questo ha fatto poi seguito la Joint Declaration con la Corea del Sud del 2004, che ha lanciato una Comprehensive Cooperation Partnership, poi seguita da un accordo sul libero scambio di beni (2006), di servizi (2007) e sulla mobilità degli investimenti (2009).
Seguono infine gli ultimi due accordi: uno con Australia e Nuova Zelanda, e l’altro con l’India. Il primo riguarda un esteso orizzonte di settori. Infatti, oltre a promuovere una moderata liberalizzazione attraverso il progressivo abbattimento delle barriere commerciali, include disposizioni su una serie di altri ambiti che vanno dalle regolamentazioni sulla proprietà intellettuale e sulla competizione, alla promozione della cooperazione. Il secondo accordo è quello con l’India, che ha dato vita ad un mercato enorme che nel 2019 contava quasi due miliardi di persone, secondo la Banca Mondiale. A partire dal Framework Agreement siglato nel 2003, nel 2010 è entrato in vigore l’accordo sul libero scambio di beni, poi seguito da quello sulla liberalizzazione dei servizi. All’indomani della stipula dell’accordo, il volume totale dell’interscambio tra paesi ASEAN e India è quasi raddoppiato (+89%), passando in tre anni da circa $39 miliardi (2009) a circa $74 miliardi (2011).
Gettando le basi commerciali necessarie per creare spazi di prossimità politica, l’ASEAN ha giocato quindi un ruolo cruciale nel processo di fabbricazione dell’identità regionale dell’Asia Orientale – nonostante i suoi sviluppi siano ancora in divenire. La RCEP ne è l’epilogo positivo, anche se più che rappresentare un traguardo è l’unità elementare per costruire relazioni politico-economiche più salde e inclusive in futuro. Tali accordi di liberalizzazione nel complesso hanno dato vita ad un circolo virtuoso di interscambi anche sociali e politici all’insegna dell’ASEAN way che si innestano in un contesto di crescita positivo, nonostante la pandemia. Inoltre, seppur i recenti sviluppi in Myanmar rappresentano uno scenario imprevedibile, l’ASEAN saprà progredire nell’integrazione commerciale regionale sfruttando l’approccio inter-governativo, che le consentirà di superare le criticità attraverso la promozione del dialogo tra i Paesi.
A cura di Agnese Ranaldi