Il Partito per l’Unione, la solidarietà e lo sviluppo (USDP) e i militari del Tamtadaw bloccano le riforme di Aung San Suu Kyi
A partire dal 10 Marzo il Parlamento del Myanmar ha iniziato le votazioni sulla legge di revisione costituzionale fortemente voluta dalla Lega Nazionale per la Democrazia, partito della Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi.
L’attuale Carta Costituzionale birmana è entrata in vigore nel 2008 e garantisce di diritto ai militari un quarto dei seggi in Parlamento. Garantisce loro, inoltre, la maggioranza in diversi organi statali, uno su tutti il Consiglio Nazionale di Difesa e Sicurezza. La stessa Carta prevede una maggioranza dei tre quarti per il procedimento di revisione costituzionale, maggioranza che, de facto, senza il voto dei militari è impossibile da raggiungere.
L’opposizione dei militari in Parlamento è stata quindi efficace. Nei primi giorni di votazione, infatti, sono state bocciate le due principali proposte della riforma: quella riguardante la riduzione, gradualmente e in 15 anni, dei seggi spettanti alle Forze Armate e quella finalizzata alla modifica dell’articolo 59 della Costituzione, che nega ai cittadini con parenti di nazionalità straniera la possibilità di poter concorrere alla Presidenza del Paese. Proprio quest’ultima disposizione rappresenta l’ostacolo più importante per la Consigliera Suu Kyi, vedova dello studioso inglese dell’Università di Oxford, Michael Aris, e madre di due figli con cittadinanza britannica. Le due proposte hanno raggiunto rispettivamente 404 e 393 “sì”, non sufficienti, quindi, per raggiungere il 75% di voti favorevoli previsto dalla Costituzione.
Altro obiettivo della riforma presentata è, inoltre, proprio quello di ridurre la maggioranza necessaria per la revisione della Carta Costituzionale da tre quarti a due terzi.
Il boicottaggio da parte dei militari e del USDP era iniziato già qualche mese fa, quando, i componenti dei due schieramenti, erano fuoriusciti anzitempo dal Comitato per l’Emendamento, organo che avrebbe dovuto studiare e preparare il nuovo assetto istituzionale del Myanmar. Il loro obiettivo è sicuramente quello di arrivare, con l’attuale assetto costituzionale, alle prossime elezioni limitando il potere della Lega Nazionale per la Democrazia.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea aspettano ormai da anni una svolta nel Paese che, nonostante le grandi aspettative riposte in Aung San Suu Kyi, stentano ad arrivare. Il Myanmar è ‘sotto osservazione’ su temi come il riciclaggio di denaro e le violazioni dei diritti umani nei confronti delle minoranze etniche, una su tutte quella dei Rohingya, gruppo a maggioranza musulmano perseguitato e, per questo, costretto a rifugiarsi in Bangladesh. Non sono dello stesso avviso Cina e Giappone che, in una continua “disputa regionale”, non perdono occasione per rafforzare i rapporti con il Paese.
Anche questo tentativo di riformare le istituzioni, con l’obiettivo di ridurre definitivamente il potere dei militari, sembra ormai naufragato. Per ora tutto rinviato alle prossime elezioni nazionali in programma per l’Autunno del 2020.
Articolo a cura di Alessio Piazza